Diritto dei trasporti
1995 833 836

Enzo Fogliani
   SULLA NATURA DEI DIRITTI SPETTANTI AL RAI PER LE  ATTIVITA' DI CONTROLLO SULLA COSTRUZIONE DI AEROMOBILI

1. - Nell'ambito della controversia che ha opposto il Ministero ed il Registro aeronautico italiano ad alcune fra le maggiori industrie aeronautiche italiane in relazione ai poteri ispettivi del R.A.I. su parti di aeromobili destinate ad essere montate su velivoli in costruzione all'estero (1), appaiono interessanti alcune considerazioni svolte dalle sentenze d'appello in relazione alla natura dei diritti dovuti al R.a.i. per la sua attività di controllo.

L'orientamento dei due giudici relatori della I sezione della corte d'appello (2) è stato infatti diametralmente opposto. Mentre la sentenza 1892/95 ha ritenuto che i diritti pretesi da R.a.i. non siano "frutto di una imposizione tributaria, bensì il corrispettivo di un'attività effettivamente svolta" (3), la più meditata sentenza 2586/95 ha ritenuto invece che "la corresponsione dei diritti dovuti al R.a.i. per l'attività svolta è assimilabile, più che al pagamento di un prezzo, a quello di una tassa".

Per valutare quale delle due affermazioni, diametralmente opposte, sia condivisibile, occorre esaminare quale sia in effetti il tipo di attività di controllo svolta dal R.A.I. Al riguardo, è da osservare che mentre la normativa primaria relativa al R.A.I. è rimasta dagli anni successivi all'entrata in vigore del codice della navigazione ad oggi sostanzialmente immutata, l'evoluzione tecnica delle costruzioni aeronautiche ha compiuto enormi passi. A tale evoluzione tecnica si è accompagnata una evoluzione nei metodi di controllo la cui ultima fase, con l'introduzione della normativa JAR, è tutt'ora in corso.

In origine, l'attività di controllo veniva svolta sui singoli pezzi prodotti. In seguito, l'attività di controllo si è andata focalizzando non tanto sul singolo pezzo costruito, quanto sul progetto e sul prototipo. Da questa impostazione, vigente in relazione ai fatti presi in esame dalla corte di appello di Roma, ci si va oggi spostando verso la certificazione non più del prodotto, ma dell'impresa che lo produce.

Si tratta ovviamente di situazioni di fatto non prive di rilevanza giuridica, se correlate al fatto che i diritti pretesi dal R.A.I. per la propria attività di certificazione e controllo sono commisurati in una percentuale del valore dei pezzi controllati e certificati.  Nell'ipotesi in cui controllo e certificazione sono effettuati su ogni singolo pezzo, l'ammontare dei diritti spettanti al R.A.I. risulta strettamente correlata all'attività resa al costruttore aeronautico. Anche se può discutersi sulla equità di una tariffa che sia commisurata al valore del bene certificato indipendentemente dalla complessità dell'attività di controllo, sussiste comunque un rapporto ben preciso fra attività svolta, ammontare del numero di pezzi prodotti (e controllati) e ammontare dei diritti pretesi dal R.A.I.

In questo caso, quindi, l'affermazione della sentenza 1892/95 secondo cui i diritti dovuti al R.A.I. costituirebbero il "corrispettivo di un'attività effettivamente svolta" sarebbe condivisibile. Peraltro, non è questa la situazione che generalmente nella pratica si verifica oggi (e si verificava al tempo dei fatti esaminati dalla sentenza), perlomeno nelle produzioni di serie. In questi casi, infatti, il R.A.I. non controlla in genere ciascun pezzo costruito, ma si limita a controllare il prototipo e a svolgere qualche volta controlli a campione sulla produzione.

Ciò non ostante, l'ammontare dei diritti pretesi dal R.A.I. rimane ancorato ad una percentuale del valore: ma non dei pezzi effettivamente controllati, bensì di quelli prodotti. In questa ipotesi, appare arduo ritenere che i diritti pretesi dal R.A.I. abbiano natura di corrispettivo anziché di tributo. Anzitutto, essi sono del tutto svincolati dalla effettiva attività di controllo svolta. A parità di pezzo costruito e di attività di controllo resa, i diritti spettanti al R.A.I. finiscono con il dipendere dal diverso tipo di materiale usato (4). Non solo: due pezzi identici (e quindi comportanti attività di controllo identica) pagano diritti diversi a seconda di quanto sia il loro valore di vendita; ossia, il diritto percepito dal R.A.I. varia non in ragione dell'attività di controllo e del costo di produzione, ma del prezzo cui la ditta costruttrice riesce a collocarlo sul mercato.

Queste considerazioni pongono in serio dubbio che i diritti del R.A.I. (anche se per il loro incasso l'Ente emette regolare fattura) possano considerarsi corrispettivo di un'attività anche quando i pezzi sono controllati e certificati uno ad uno. Tali dubbi diventano certezza allorché i controlli vengono effettuati solo sul prototipo ed eventualmente a campione sulla successiva produzione. E' evidente in tal caso che a fronte di un'attività di controllo che sostanzialmente non varia, i diritti dovuti al R.A.I. sono proporzionali al valore complessivo dei pezzi prodotti. Il che induce a ritenere che si tratti, più che di un corrispettivo per un'attività svolta, di un tributo che va ad incidere sul fatturato delle aziende aeronautiche.

In concreto, quindi, appare più corretto ritenere che i diritti spettanti al R.A.I. per la propria attività di certificazione e di controllo abbiano natura tributaria, come ritenuto dalla corte d'appello di Roma con la sentenza n. 2586/95.
 

2. - Se quanto sopra può affermarsi nella situazione attuale, a maggior ragione lo sarà allorché sarà completamente recepita in Italia la normativa internazionale JAR (5) orientata alla certificazione del produttore piuttosto che a quella del prodotto . Tale sistema, già in uso e ben collaudato da alcuni paesi (e primi fra tutti gli Stati Uniti) sposta sull'azienda privata l'onere e la responsabilità del controllo dei singoli pezzi prodotti. L'ente di controllo si limita a verificare i progetti, gli impianti, i metodi produttivi e la qualificazione della mano d'opera impiegata dall'industria, i cui dirigenti tecnici dovranno poi garantire che i pezzi sono stati prodotti con le modalità prescritte (6).

La completa introduzione di tale normativa, già iniziata in alcuni settori, rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto al sistema presupposto dal codice della navigazione; ed imporrebbe quindi una conseguente rivoluzione della normativa primaria, che peraltro non appare ancora all'orizzonte. Le norme JAR, che vengono introdotte nel nostro ordinamento mediante atti regolamentari, appaiono sotto alcuni aspetti in aperto contrasto con la normativa primaria prevista dal codice della navigazione, o comunque viziati sospetti di illegittimità per violazione di principi costituzionali.

Si può citare ad esempio il fatto che le tariffe del R.A.I., qualora rimanessero ancorate al fatturato delle imprese, acquisterebbero indubbia valenza tributaria; e non potrebbero quindi essere stabilite - come sono adesso - a mezzo di normativa secondaria, stante la riserva di legge per le norme tributarie (7).

Anche la imposizione ai dirigenti delle imprese aeronautiche di prestazioni di attestazione o controllo sui pezzi prodotti - per i quali non è prevista al momento per essi alcun corrispettivo  - sarebbe illegittima se non supportata da un atto normativo primario, stante, anche in questo caso la riserva di legge sulla imposizione di prestazioni personali (8).

Appare quindi necessario che all'introduzione della normativa Jar si accompagni l'adeguamento della normativa inerente al R.A.I., onde evitare che i vantaggi inerenti all'adozione dei nuovi, più efficienti metodi di certificazione e controllo adottati in sede internazionale vengano vanificati da una inadeguata normativa interna.
 

 (Enzo Fogliani)

 

 Note:
 

(1) La giurisprudenza è stata sinora assolutamente favorevole alla tesi delle industrie italiane, che hanno sostenuto la non assoggettabilità al controllo del R.a.i. della costruzioni di parti staccate di aeromobili costruiti in Italia destinati al montaggio su cellule di velivoli, cui è correlata l'inesistenza (sostenuta invece dal R.a.i.) di un obbligo di denuncia quale quello previsto dagli art. 848 e 849 cod. nav.
L'iniziale risalente parere favorevole al R.a.i. del consiglio di Stato (sez. II, n. 336/1985, il cui testo può rinvenirsi in Dir. Trasp. 1993, 514 ss., nota 15) è stato ribaltato da quattro sentenze del tribunale di Roma (n. 1024/93 del 26 gennaio 1993 [Alenia], pubblicata  in Dir. Trasp. 1993, 505, con nota di E. FOGLIANI, Il controllo del R.a.i. sulla costruzione di aeromobile e cooperazione internazionale, n. 1025 del 26 gennaio 1993 [Aermacchi], 1039/93 del 26 gennaio 1993 [Piaggio] e 1463/93 del 2 febbraio 1993 [Agusta]). Appellate, la decisione sulla prima sentenza non è stata ancora pubblicata; mentre le rimanenti tre sono state confermate dalla corte d'appello di Roma rispettivamente con le sentenze 2586/95 del 31 luglio 1995, 1892/95 del 29 maggio 1995 e 117/96 del 15 gennaio 1996.
 Di recente, la stessa linea è stata confermata da altre sei sentenze del Tribunale di Roma (11174/96 del 3 luglio 1996, 11175/96 del 3 luglio 1996, 11176/96 del 1 agosto 1996, 11237/1996 del 3 luglio 1996 e 11238/1996 del 3 luglio 1996, a quel che risulta al momento inedite).

(2) Interessante notare che, pur trattandosi di collegi diversi della stessa sezione, di essi faceva parte uno stesso giudice.

(3) Conforme alla sentenza 1892/95, la successiva 117/96, che peraltro ne è la esatta copia testuale (salvo ovviamente il nome delle parti e dei giudici).

(4) Si può fare l'esempio di uno  stesso pezzo (che necessiti della stessa attività di controllo) che possa essere costruito con metalli diversi. L'impiego di un diverso metallo comporta per il R.a.i. l'incasso di diritti che sono proporzionali solo al valore del materiale impiegato per la fabbricazione e non all'attività di controllo svolta.

(5) La normativa uniforme JAR trae origine dal Regolamento (CEE) n. 3922/91 del Consiglio, del 16 dicembre 1991, concernente l'armonizzazione di regola tecniche e di procedure amministrative nel settore dell'aviazione civile (in Gazz. uff. CEE, 31 dicembre 1991, L. 373).

(6) Esemplare al riguardo il regolamento JAR 145, relativo alle imprese di manutenzione approvate. In esso è previsto che ogni areomobile sottoposto a manutenzione può essere riammesso alla navigazione solo dietro certificazione di una impresa approvata dell'ente di controllo (JAR 145.1 a, b). Tale certificazione deve essere rilasciata dal personale tecnico dell'impresa autorizzato allo scopo (JAR 145.30 a, d; 145.35; 145.50).

(7) Di per sè il R.a.i. si è affrettato ad adeguare i propri regolamenti alle nuove normative JAR, ma esclusivamente a proprio favore. Per rimanere nel settore manutenzione, il nuovo regolamento delle tariffe Il R.A.I. ha prontamente previsto nuovi corrispettivi  per la certificazione delle imprese e del personale (cfr., p. es., art. 26 e 26 bis), anche questi ancorati al fatturato aziendale, in aggiunta a quelli già previsti in precedenza. Tale politica si pone in netto contrasto con la ratio che ha ispirato la normativa JAR; l'affidamento del controllo al personale delle aziende interessate aveva fra gli altri scopi quello di diminuire per le imprese aeronautiche i costi per i controlli e le certificazioni. Con i nuovi regolamenti per le tariffe emanati dal R.A.I. il risultato raggiunto in Italia è esattamente contrario; ed aggiungendosi al fatto che il R.A.I. era già prima uno degli enti più costosi in tema di certificazioni (ricordiamo che in un certo numero di stati esteri esiste attività di controllo addirittura gratuita), ciò pone le industrie italiane in posizione deteriore rispetto a quelle straniere.

(8) La questione appare particolarmente delicata in quanto il personale delle imprese aeronautiche, secondo i regolamenti JAR, non solo svolge attività di certificazione senza che per essa sia prevista alcuna remunerazione, ma dovrebbe anche essere responsabile di essa.
Sul punto le norme JAR non si sbilanciano, limitandosi ad affermare che le persone dell'impresa "cui è affidata la responsabilità di assicurare, tra l'altro, che l'impresa soddisfi i requisiti del regolamento è responsabile" sono "definitivamente e direttamente responsabili nei confronti del dirigente responsabile, il quale, a sua volta, deve essere accettato dall'autorità" (così testualmente, ad esempio, JAR 145.30 a); ma appare indubbio che la responsabilità per le certificazioni finisca con il gravare sul personale dell'azienda che le rilascia.