Pretura di Civitavecchia - sez. lavoro
17 novembre 1994

 PRETURA DI CIVITAVECCHIA 17 NOVEMBRE 1994

 Est. A. Giannino
Avellino Francesco e altri (avv. Benni) c. Cooperativa Garibaldi (avv. Romanelli e Di Chirico) e Ferrovie dello Stato s.p.a. (Avvocatura dello Stato).

Lavoro nelle imprese - equipaggio di nave - arruolamento - personale non dipendente dall'armatore

Lavoro marittimo - appalto di servizi a bordo di nave - interposizione nei rapporti di lavoro.

RIASSUNTO DEI FATTI
La Cooperativa Garibaldi ottenne da parte dell'Ente ferrovie dello Stato l'appalto dei servizi di camera e di mensa sulle navi traghetto in servizio di linea fra Civitavecchia e Golfo Aranci, e sullo stretto di messina.  I dipendenti della Cooperativa, che svolsero i suddetti servizi, dedussero la ricorrenza nella specie del'art.1 della l. 1369/1960, che vieta l'intermediazione nei rapporti di lavoro e chiesero che venisse accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra loro e le Ferrovie dello Stato. A sostegno della tesi rilevarono di essere iscritti nelle liste della gente del mare, di essere arruolati dalle Ferrovie dello Stato con contratto stipulato davanti al comandante del porto di Civitavecchia, di essere iscritti nei ruoli d'imbarco dell'armatore, di essere sottoposti al potere disciplinare del comandante della nave, di essere iscritti a cura dell'armatore alla Cassa marittima tirrena ed alla Cassa della previdenza marinara.

MASSIME:
    Posto che per equipaggio deve intendersi il complesso delle persone arruolate dall'armatore per il servizio della nave e che a servizio della nave possono essere adibite anche persone non dipendenti dell'armatore, la circostanza che all'arruolamento (ovvero all'iscrizione nel ruolo dell'equipaggio delle persone che prestano servizio a bordo) debba necessariamente provvedere l'armatore non vuol dire che all'assunzione del personale non possa provvedere altro datore di lavoro, anche se poi tale personale, per essere immesso sulla nave, deve necessariamente stipulare, per ragioni di sicurezza, un contratto di arruolamento. (1)
        La disciplina di cui all'art. 1, comma 3 della legge 1369/1960 che vieta l'intermediazione di mano d'opera non è applicabile all'ipotesi di appalto di servizi che debbano essere svolti a bordo di una nave, qualora l'appaltatore assuma il rischio d'impresa e predisponga, per fornire il servizio, un' autonoma organizzazione imprenditoriale. (2)


SENTENZA:

(omissis)
    Nel merito, ritiene il Pretore non siano condivisibili le argomentazioni dei ricorrenti poste a fondamento della tesi della nullità del contratto di appalto.
    Non va certamente condivisa la tesi che sulla nave non possano coesistere "marittimi arruolati con contratto tipico e marittimi assunti con contratto di diritto comune", con la conseguenza che unico contratto valido sarebbe quello di arruolamento.
    In effetti, la Suprema Corte ha più volte ribadito il principio che la circostanza che il codice della navigazione indichi nell'armatore uno dei soggetti del contratto di arruolamento non equivale a dire che questo sia l'unico datore di lavoro e che non possa esservene altro appositamente ad altra categoria (come nel caso di servizio radiotelegrafico organizzato da società diversa da quella armatoriale e di marconista dipendente da società concessionaria e non dall'armatore).
    Lo stesso codice della navigazione all'art. 316 prevede, del resto, la figura del pilota come quella di un membro dell'equipaggio non dipendente dell'armatore e gli stessi ricorrenti riconoscono, (come comunemente ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza) la legittimità dell'appalto di servizi a bordo della nave, tant'è che per escluderne la validità hanno dedotto la la contrarietà di alcune sue clausole e norme imperative.
    In effetti, posto che per equipaggio deve intendersi il complesso delle persone "arruolate per un servizio della nave" e che a servizio della nave possono essere adibite (come sopra specificato) anche persone non dipendenti dell'armatore, l'arruolamento (ovvero l'iscrizione nel ruolo dell'equipaggio delle persone che prestano servizio a bordo della nave) non presuppone e non significa necessariamente che debba esistere un rapporto di lavoro subordinato tra arruolato ed armatore.
    La circostanza che all'arruolamento debba necessariamente provvedere l'armatore (che è l'unico che deve tenere il ruolo dell'equipaggio) non vuol dire che all'assunzione del personale non possa provvedere altro datore di lavoro, anche se poi tale personale per essere immesso in servizio sulla nave deve necessariamente stipulare, per ragioni di sicurezza, un contratto di arruolamento.
    Altrettanto  infondata è la tesi della nullità del contratto di appalto per illiceità della causa, avendo la società Garibaldi assunto gli arruolati con contratto di diritto comune per scopi diversi da quelli del contratto di lavoro nautico.
    La tesi avrebbe avuto fondamento nella ipotesi inversa in cui le parti avessero posto in essere un contratto di lavoro nautico senza perseguire la funzione di tale contratto, ma quella di un contratto comune.
    Nella fattispecie, invece, non è stato utilizzato un contratto di arruolamento in senso privatistico, bensì un contratto di diritto comune avente ad oggetto il servizio di camera, di mensa, del bar.I ricorrenti, infine, hanno sostenuto la nullità del contratto di appalto in quanto con esso la società Garibaldi si sarebbe limitata nella sostanza a fornire alla società appaltante il personale necessario per assicurare l'espletamento dei servizi di bordo, incorrendo, così nella violazione dell'art. 1 della legge 23.10.1960, che vieta l'appalto di "mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore".
    Orbene, nella delibazione della sussistenza o meno di una interposizione (vietata) di manodopera è opportuno muovere dalla premessa che la disciplina prevista dal comma 3 del predetto art. 1 (che ritiene l'esistenza di un appalto di mere prestazioni di lavoro ove l'appaltatore utilizzi capitali, attrezzature e macchinari forniti dall'appaltante) non è applicabile nelle ipotesi in cui  i servizi debbano essere resi all'interno di un'azienda, ma con mezzi ed organizzazione da parte dell'appaltatore.
    E' intuitivo, infatti, che per fornire in appalto, ad esempio, un servizio di manutenzione, di vigilanza o di pulizia all'interno di uno stabilimento o di un'azienda debbano esserne necessariamente utilizzate alcune attrezzature, usati i locali in cui svolgere tale servizio e sfruttata l'energia elettrica esistente in tale azienda.
    Analogamente, non si può fornire il servizio di mensa, di camera e di coperta a bordo delle navi se l'armatore non fornisca una nave attrezzata e, cioè, provvista di camere, di bagni, di cucine, di sale in cui servire i pasti.
    Ciò che è necessario accertare, invece, è se l'appaltatore, oltre a fornire la manodopera, assuma il rischio di impresa in relazione al servizio fornito e predisponga per fornire tale servizio una autonoma organizzazione di impresa.
    Orbene, nella fattispecie la società Garibaldi per gestire i servizi in appalto a bordo ha dovuto organizzare dei servizi a terra ed è tenuta, tra l'altro, ad assicurare la disponibilità di uffici per il personale di terra, di celle frigorifere per il deposito di provviste alimentari, di generi di vestiario, di materiali di consumo per la pulizia delle navi, di materiali per provvedere alla lavatura, stiratura della biancheria, di materiale di medicazione per assicurare il pronto soccorso sulla nave, di attrezzature elettroniche per la contabilità delle retribuzioni a tutto il personale.
    Non si tratta soltanto della necessità di disporre di immobili, di attrezzature e di un ingente capitale, ma è necessario organizzare i servizi nel modo più funzionale per eliminare al massimo i rischi di perdite e per incentivare i profitti.
    E' ben vero che il rischio di impresa è alquanto ridotto per effetto della clausola del capitolato che prevede un corrispettivo fisso rapportato al numero di persone impiegato su ciascuna nave ed un adeguamento del compenso in relazione alle variazioni del costo del lavoro, ma l'entità dell'utile di impresa dipende dalla capacità organizzativa ed imprenditoriale dell'appaltatore.
    D'altra parte, il compenso come sopra determinato, se riduce i rischi derivanti dall'aumento del costo di lavoro, non copre i rischi d'impresa costituiti dall'immobilizzo di capitali, dal deperimento di alimenti ed i altra merce immagazzinata, dalla responsabilità per danni "al personale, alle cose delle Ferrovie od a terzi" che derivassero dall'espletamento dei servizi in appalto (art. 4 capitolato).
    Di fronte ad un'impresa con autonoma organizzazione, ad un dispiego di materiali e mezzi economici, ad un innegabile rischio di impresa, è difficile sostenere che l'appaltatore si sia limitato a fornire le sole energie lavorative.
    Ed a tale conclusione non si può pervenire neppure in presenza di un contratto  di appalto così dettagliato ed articolato da consentire all'appaltante  vaste zone di ingerenza nella gestione dei servizi (quali il potere di gradimento sulle assunzioni, la fissazione dei prezzi dei pasti a bordo, l'imposizione al personale di un tipo di divisa, la determinazione della quantità di personale da impiegare su ciascuna nave ed altro).
    Neppure il potere disciplinare del comandante della nave su tutto l'equipaggio può essere indicato come elemento a favore della tesi dell'approvvigionamento di forze di lavoro che poi, sarebbe gestito dall'armatore.
    Va evidenziato, infatti, che il potere di vigilanza del comandante durante la navigazione (e che, peraltro, è previsto che venga esercitato per il tramite del maestro di camera, che riceve le disposizioni del comandante ed organizza il lavoro sulla nave nel modo migliore per garantirne la sicurezza) non fà certamente venir meno la soggezione del personale imbarcato alle direttive ed al potere disciplinare dell'appaltatore.
    Non può certamente contestarsi che sia sempre l'appaltatore che decide sulla predisposizione dei turni di imbarco, che concede permessi e ferie, che dispone trasferimenti, che inizia procedimenti disciplinari o intima licenziamenti.
    Deve escludersi, pertanto, l'esistenza di una interposizione di manodopera e, quindi, la nullità del contratto di appalto, con la conseguenza che deve essere rigettata la domanda dei ricorrenti di essere inquadrati alle dipendenze  della società Ferrovie dello Stato.
(omissis).

 


Diritto dei trasporti
1995 581

Enzo Fogliani
LEGITTIMITA' DELL'APPALTO DEI SERVIZI A BORDO

    La sentenza del Pretore dirigente di Civitavecchia offre lo spunto per tornare sul tema della interposizione fittizia di mano d'opera in tema di lavoro a bordo delle navi.

    Le convinzioni sostanzialmente pacifiche della dottrina e della precedente giurisprudenza circa la possibilità di coesistenza a bordo della nave di personale alle dipendenze dell'armatore e personale alle dipendenze di altri datori di lavoro, erano state recentemente scosse da una pronuncia del Pretore di Roma dott. Conte. Questi, applicando al settore marittimo del personale navigante (a quel che risulta, per la prima volta) la normativa della l. 1369/1960 in tema di interposizione fittizia di mano d'opera, aveva sostanzialmente escluso che a bordo di una nave potessero lavorare membri dell'equipaggio che non siano dipendenti dell'armatore (1).

    Tale sentenza, che aveva accolto la domanda dei lavoratori volta a sentir dichiarare l'esistenza di un rapporto di lavoro diretto con l'armatore della nave su cui prestavano servizio come personale di camera, aveva destato alcune perplessità nella dottrina. La sentenza del Pretore di Roma sembrava infatti aver applicato sic et simpliciter la normativa civilistica in tema di interposizione fittizia senza tenere in alcun conto nè, in punto di fatto, la peculiarità del luogo di lavoro in cui dette prestazioni si svolgevano, nè, in punto di diritto, la specialità del diritto della navigazione.

    In particolare, il pretore di Roma aveva considerato la nave (e le sue attrezzature) quale azienda in tutto e per tutto identica a qualsiasi altra azienda terrestre. La sua sentenza dichiarativa dell'esistenza di una interposizione fittizia si era quindi basata sul rilievo che lo svolgimento del servizio appaltato nei locali dell'imprenditore appaltante e l'uso di mezzi di proprietà di quest'ultimo costituiscono elemento di presunzione di illecita intermediazione di mano d'opera;  senza peraltro considerare che l'utilizzo delle attrezzature di bordo costituiscono l'unico modo attraversi i quali può essere svolta un'attività a bordo della nave in navigazione.

    I principi enunciati da tale sentenza, per quanto discutibili come discutibile era l'iter logico che ad essi aveva portato, apparivano di portata dirompente, in quanto in sostanza negavano in linea teorica la possibilità che i servizi di bordo potessero essere appaltati dall'armatore a terzi. Nel settore marittimo tale pratica è, al contrario, piuttosto diffusa, in quanto risponde a criteri di economicità, specializzazione e razionalizzazione (2).

    L'applicazione generalizzata  di un principio quale quello enunciato dal Pretore di Roma avrebbe avuto quindi come effetto la necessità che l'armatore organizzasse in proprio e con propri dipendenti tutti quei servizi a bordo (di camera, di mensa, di intrattenimento, radiotelegrafico, etc.) che normalmente vengono appaltati a ditte specializzate del settore; con effetti senz'altro negativi in relazione alla competitività in sede internazionale della nostra marineria.

    La sentenza del Pretore dirigente di Civitavecchia va dunque in senso del tutto contrario a quello seguito dal magistrato di Roma, ricollocandosi nel solco del tradizionale orientamento generalmente accolto dalla dottrina.

    La sua sentenza si presenta poi di particolare interesse, in quanto il giudizio innanzi a lui instaurato vedeva convenute le stesse parti del giudizio di Roma in relazione al medesimo contratto di appalto, ed aveva ad oggetto le medesime prestazioni di lavoro rese sulle stesse navi; il che, ponendo identici termini di base del problema, rende ancor più interessante il confronto fra le due diverse soluzioni raggiunte.

    La chiara e condivisibile motivazione della sentenza non sembra aver necessità di ulteriori commenti, enunciando essa stessa con indubbia chiarezza gli aspetti specifici navigazionistici che impongono l'ammissibilità di personale che presti lavoro a bordo pur non essendo dipendente dell'armatore.

    Resta comunque la perplessità del cittadino nel constatare come, in alcune situazioni, l'interpretazione delle norme affidata alla giurisprudenza possa essere in alcuni casi fonte di assoluta incertezza (3); come nell'emblematico caso di specie, nel quale la stessa identica fattispecie è stata risolta da giudici diversi in maniera diametralmente opposta.
 

                                  Enzo Fogliani


 NOTE:

(1) Pretura Roma 2 novembre 1990, in Dir. Trasp. II/1992, pag. 593, con nota di FOGLIANI, In tema di appalto di servizi a bordo ed interposizione fittizia di mano d'opera.

(2) Tipico esempio, già vagliato in passato dalla corte di cassazione, è quello dei marconisti imbarcati, dipendenti della società concessionaria del servizio radiotelegrafico (cass. 14 luglio 1964, n. 1900, in Foro it. 1964, I, 1338; cass. 25 agosto 1971 n. 2570, in Dir. Mar. 1972, 346)

(3) Il problema è particolarmente sentito in relazione al diritto della navigazione, nel quale l'applicazione delle norme - sia sostanziali che processuali - in tribunali che per posizione geografica non abbiano particolare dimestichezza con questioni marittime appare in genere piuttosto aleatoria. Pur avendo infatti la materia della navigazione e dei trasporti in genere un'importanza essenziale nell'economia nazionale, e pur avendole il legislatore espressamente dedicato un completo codice, essa non appare neppure fra le materie oggetto dell'esame per l'accesso alla magistratura. Tanto che l'idea di istituire sezione specializzate in diritto della navigazione, a suo tempo scartata dai redattori del codice, appare oggi degna della migliore considerazione.