Il
naufragio della Costa Concordia presso l’isola del Giglio,
avvenuto il 14 gennaio 2012, ha visto fiorire sui media una
vasta messe di navigazionisti improvvisati che si sono avventurati in
improbabili pareri circa i risarcimenti che spetterebbero ai passeggeri
coinvolti nel naufragio. Al
Tg1
delle 20.00 del 15 gennaio 2012 la giornalista, intervistando
un
rappresentante di una associazione di consumatori, preconizzava
un’azione di massa contro la Costa Crociere affermando che ai
passeggeri sarebbe spettato un indennizzo di 430 mila euro ciascuno
(1).
Più cauti gli avvocati intervistati da
Repubblica
che il 16
gennaio 2012 (pag. 13), sotto il titolo «
Dalla
Costa per ogni
vittima fino a 430 mila euro» (quasi che alla
Costa
già stessero firmando gli assegni) affermavano che
«
i 4344
turisti che si sono salvati incasseranno fra i 10 e i
20 mila euro tra il rimborso del biglietto, danno da shock e da vacanza
rovinata», mentre nei confronti delle vittime
l’armatore avrebbe «una responsabilità
oggettiva per tutti i danni fino a 430 mila euro per passeggero sulla
base del Protocollo del 2002 alla Convenzione di Atene». La
stessa somma
di 430.000 euro era riportata come «
indennizzo
previsto per
la morte della persona» nei titoli di
pag.
8 del
Corriere
della Sera del giorno successivo, salvo poi, nel testo
dell’articolo, affermare che «
il
risarcimento non
può superare i 500.000 euro».
Innumerevoli poi i
siti web che riportano acriticamente tali affermazioni
(2).
Nella speranza che si sia trattato di un fraintendimento dei
giornalisti di Repubblica nel riportare le affermazioni degli avvocati
intervistati, si osserva che esse non hanno riscontro nella normativa
vigente, ma sembrano quasi il frutto di una frettolosa ricerca su
internet che chiunque potrebbe fare. Effettivamente, fra i risultati
nella ricerca sulla responsabilità del vettore marittimo,
compare anche la
Convenzione
di Atene del 1974 con le modifiche del
Protocollo del 2002; ma che essa sia in vigore o dica quanto
affermato
sui giornali, è tutt’altro discorso.
La Convenzione, infatti, non è stata ratificata
dall’Italia né nel suo testo originale,
né nel suo testo modificato dai Protocolli che si sono via
via succeduti nel tempo (1976, 1990, 2002). Nel 2009 la Convenzione
è stata “adottata” dall’Unione
Europea nel suo testo più recente; è stata
infatti inserita come allegato I del
Regolamento 392/2009, disciplinante
appunto la responsabilità del vettore marittimo di persone.
Peraltro, l’art. 12 del Regolamento prevede che esso sia
«
applicabile a
decorrere dalla data di entrata in vigore
della Convenzione di Atene per la Comunità, e in ogni caso
non più tardi del 31 dicembre 2012».
Dato che la
Convenzione ad oggi non è entrata in vigore (e
verosimilmente non vi entrerà entro la fine
dell’anno) non è né essa né
il Regolamento 392/2009 la normativa applicabile.
Trattandosi di naufragio di nave italiana di armatore italiano in acque
territoriali italiane sarà applicabile la normativa del
codice della navigazione e nello specifico
l’art.
409 cod.
nav. secondo cui il vettore risponde dei danni alla persona
del
passeggero senza limitazione alcuna, salva la prova contraria della non
imputabilità del danno al vettore stesso.
Ma anche qualora fosse stata applicabile la Convenzione di Atene (o il
Reg. 392/2009), la relativa disciplina non sarebbe affatto quella
riportata dalla stampa. La Convenzione, infatti, non prevede affatto
una responsabilità oggettiva sino a 430 mila euro, come
invece sostenuto dai nostri «navigazionisti per
caso», ma un regime del doppio binario analogo quello della
Convenzione
di Montreal del 1999 sul trasporto aereo. Il vettore,
infatti, nel caso di morte o lesioni personali subiti dal passeggero a
causa di un incidente marittimo, risponde sino a 250 mila DSP con una
responsabilità pressoché oggettiva, essendo
esclusi soltanto gli incidenti marittimi dovuti ad atti di guerra o
fenomeni naturali inevitabili ed irresistibili, o intenzionalmente
causati da terzi. Oltre la somma di 250 mila DSP e fino al limite di
400 mila DSP il vettore è responsabile secondo gli usuali
canoni soggettivi, potendo esonerarsi da responsabilità solo
provando che il danno non è imputabile a sua colpa o
negligenza (
art.
3 Conv. Atene). Per il caso di morte il Regolamento
392/2009 prevede poi a carico del vettore un’anticipazione
non ripetibile di 21 mila DSP (
art. 6 Reg.).
Ovviamente il dettaglio della disciplina della Convenzione di Atene e
del Regolamento 392/2009 è molto più complesso ed
articolato di quanto qui brevemente esposto, ma certamente non prevede
la responsabilità oggettiva fino a 430 mila euro affermata
da Repubblica, né tantomeno un risarcimento
pressoché automatico per tale somma, come ritenuto dalla
giornalista che ha intervistato per il TG1 il
rappresentate dei consumatori.
Ma tant’è. Oggi, con internet, ad alcune persone
basta una semplice ricerca con Google per diventare esperti in
qualsiasi settore (come ad esempio il diritto della navigazione);
laddove una volta (ma forse ancora oggi?) erano necessari anni di
studio per conoscere appieno il complesso e variegato mondo del diritto
marittimo.
Poco importa che poi magari ci sia anche qualche passeggero coinvolto
nel naufragio che faccia affidamento in tali roboanti dichiarazioni e
confidi nella competenza di chi le ha fatte. Si tratta evidentemente di
un elemento secondario ed accidentale, del quale i media che raccolgono
le dichiarazioni di questi «navigazionisti per
caso» sembrano curarsi ben poco.
P.S.: Per dare a Cesare quel che è di Cesare, è
opportuno specificare che non tutte le testate hanno seguito
l’esempio di quelle sopra citate. Fra le altre, si segnalano
per l’esattezza dell’inquadramento normativo
TG24
di Sky TV del 16 gennaio 2012 ed il
Sole
24 ore del 17 gennaio 2012
(pag. 21).