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SEZ. 3 SENT. 09810 DEL 09/10/1997
PRES. Grossi M. REL. Perconte Licatese R.
PM. Scardaccione E.V. (Diff.)
RIC. Aeroporti Roma SpA (avv. G. Romanelli)
RES. Gastaldi International Srl (avv. Sorrentino)
cassa app. Roma 12 aprile 1994
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 6 luglio 1985 perveniva all'Aeroporto di Roma Fiumicino una
partita
di uova di cefalo congelate, del peso lordo di Kg. 1.380, venduta dalla
ditta australiana Arafura alla S.r.l. Cabras di Oristano, trasportata a
Roma per via aerea dalla Qantas Linee Aeree Australiane e da questa
affidata
alla S.p.A. Aeroporti di Roma, affinché ne curasse la
riconsegna
alla destinataria.
La merce, lasciata in giacenza nei magazzini aeroportuali per
difficoltà
che ne avevano impedito la consegna all'avente diritto, era risultata
avariata
a causa di un aumento della temperatura delle celle frigorifere in cui
era conservata e, per ordine dell'autorità sanitaria, era
stata
distrutta, con un danno, per la società Cabras, di 24.288
dollari
U.S.A.
Sia la vettrice aerea sia la destinataria della merce, con atti del
9 dicembre 1985 e del 3 febbraio 1986, avevano ceduto i loro diritti
verso
la S.p.A. Aeroporti alla S.r.l. Gastaldi International, la quale
pertanto,
dopo un'inutile richiesta di risarcimento in via amichevole, nella
qualità
di duplice cessionaria conveniva in giudizio la depositaria innanzi al
Tribunale di Roma, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni,
da
liquidare nell'indicata somma, oltre agli interessi dal 30 luglio 1985
al saldo.
La società convenuta eccepiva la carenza di legittimazione
attiva
dell'attrice e negava la propria responsabilità.
Il Tribunale respingeva la domanda, affermando l'eccepito difetto di
legittimazione attiva in relazione a entrambe le cessioni.
La Corte di Appello, con la sentenza ora impugnata, emessa il 2
dicembre
1993 - 12 aprile 1994, in accoglimento del gravame principale della
società
Gastaldi, ne ha invece riconosciuto la legittimazione quale cessonaria
dei diritti del vettore Qantas e ha condannato la società
Aeroporti
a pagare l'equivalente in lire italiane di dollari U.S.A. 22.080
secondo
il corso del cambio del 6 agosto 1985, data di distruzione della merce,
rivalutato fino al momento della decisione e con gli interessi legali
sulla
somma rivalutata, dalla domanda al saldo. Ha rigettato il gravame
incidentale
condizionato con cui la società Aeroporti aveva dedotto
l'inesistenza
del diritto oggetto della cessione posta in essere dal vettore Qantas e
la nullità della cessione medesima per mancanza dell'oggetto
e per
inesistenza della causa.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la
società
Aeroporti di Roma, sulla base di tre motivi, cui resiste con
controricorso
l'intimata società Gastaldi. Entrambe le parti hanno
depositato
una memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La resistente Gastaldi solleva "in limine" l'eccezione di
inammissibilità
del ricorso, assumendo che la procura speciale di cui all'art. 365
c.p.c.
è stata rilasciata da due soggetti, Fabrizio Fabrizi e
Antonio De
Feo, di cui non consta la capacità rappresentativa della
società
ricorrente, avendo solo veste, rispettivamente, di dirigente
responsabile
dell'Unità organizzativa "Assistenza aeroportuale" e di
dirigente
responsabile dell'Unità organizzativa "Affari legali,
fiscali e
societari". La direzione di un'unità aziendale si esaurisce
infatti
nei rapporti interni e non implica la rappresentanza in giudizio della
società né per legge né per statuto. E
nella specie
i sottoscrittori della procura non l'hanno rilasciata nella
qualità
di delegati dal presidente della società o dal consiglio di
amministrazione
o infine da un amministratore rappresentante giudiziale dell'azienda.
L'eccezione è priva di pregio.
La capacità di agire o resistere in giudizio, in nome e per
conto di una società di capitali, spetta, come è
noto, alla
persona che la rappresenta a norma della legge o dello statuto (art. 75
c.p.c.), ovvero a chi abbia da quest'ultima ricevuto mandato. E'
infatti
acquisito che l'art. 75 cit. non vieta che la rappresentanza giudiziale
dell'ente sia assunta da una persona diversa dal legale rappresentante,
che da questo abbia ricevuto specifico incarico, naturalmente esteso
anche
al campo sostanziale (art. 77 c.p.c.). Tale potere può
essere conferito
anche a un soggetto estraneo alla società, e a maggior
ragione a
un dipendente della stessa, ossia al direttore generale o ad altre
figure
di dirigenti, preposti, con ampi poteri di gestione, a determinati
settori
organizzativi. Il conferimento dei poteri rappresentativi della
società
non deriva dunque, come conseguenza immediata, dall'attribuzione della
qualifica di direttore generale, ma esige una specifica investitura, in
conformità di una disposizione statutaria o in base a una
delega
da parte dell'organo che ne sia ordinariamente titolare (cfr. Cass. 12
gennaio 1989 n. 92 e 8 novembre 1984 n. 5640).
Atteso il necessario collegamento tra la carica di amministratore della
società e il potere rappresentativo (artt. 2328 n. 9 e 2384
c.c.),
qualora sia parte in causa una società per azioni, la
persona fisica
che, spendendo tale qualità, abbia rilasciato la procura "ad
litem"
al difensore, non ha l'onere di dimostrarla, restando a carico della
controparte,
che eccepisca l'inesistenza del rapporto organico, di fornire la
relativa
prova (cfr. Cass. 3 dicembre 1993 n. 12012).
Qualora invece la procura "ad litem" sia rilasciata dal direttore
generale
che si assuma munito del potere rappresentativo della
società, ossia
da un soggetto diverso da quelli aventi per legge la rappresentanza
sociale
e per i quali soltanto, una volta adempiute le prescritte
formalità,
può presumersi la capacità processuale, occorre
la positiva
dimostrazione della speciale "legitimatio ad processum", ossia della
sussistenza
dell'asserito potere rappresentativo, quale eccezione alla regola della
esclusiva spettanza di questo agli amministratori.
Non manca tuttavia, in tema, qualche precedente contrario di questa
Corte, secondo cui, nell'ipotesi del direttore generale di una
società
di capitali che proponga ricorso per cassazione in rappresentanza,
anche
processuale, della società medesima,
l'ammissibilità dell'impugnazione
non è subordinata alla specificazione o allegazione della
fonte
di tale potere, spettando alla controparte, la quale alleghi
l'esistenza
di limiti al potere stesso nell'atto di delega, di fornire la relativa
dimostrazione (Cass. 12 gennaio 1989 n. 92). La contestazione non della
stessa esistenza della delega ma solo dei suoi limiti avrebbe
cioè
il duplice effetto di esonerare il direttore generale dal provare il
suo
potere rappresentativo e di onerare nello stesso tempo l'altra parte
della
prova positiva degli eccepiti limiti. Se ne dovrebbe pertanto desumere
che il direttore generale sia tenuto a provare la qualità di
rappresentante
processuale della società solo nell'ipotesi che sia
contestata in
radice.
E' tuttavia da osservare che, con il deposito, ai sensi dell'art. 372
c.p.c., dell'atto autenticato il 6 luglio 1994 dal notaio Bruno, la
ricorrente
ha dimostrato che il proprio amministratore delegato, Cuccurullo
Antonio,
unico titolare, con firma singola, dei poteri di rappresentanza nei
confronti
dell'autorità giudiziaria ordinaria, ha conferito al
Dirigente responsabile
dell'Unità organizzativa "Affari legali, fiscali e
societari", in
persona di De Feo Antonio, "la rappresentanza e la firma sociale per
gli
affari di ordinaria amministrazione di propria competenza per importi
fino
a lire un miliardo", incluso il potere di "rappresentare in giudizio la
Società (...), in posizione attiva e passiva, nei confronti
dell'autorità
giudiziaria ordinaria (...), per tutte le controversie di interesse
della
Società"; potere da esercitare, come nella specie
è avvenuto,
"congiuntamente con un Dirigente responsabile (...) competente per la
materia
trattata", ossia, per l'appunto, con Fabrizi Fabrizio, Dirigente
responsabile
dell'Unità organizzativa "Assistenza aeroportuale".
Avendo entrambi rilasciato, nella rispettiva qualità, la
procura
speciale di cui all'art. 365 c.p.c., non è possibile
dubitare della
ritualità e ammissibilità del presente ricorso,
che va dunque
esaminato nel merito.
Col primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli
artt. 1761, 1771, 1777, 1218 e ss. c.c. e 100 c.p.c. nonché
il vizio
di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, la ricorrente
osserva
che la Corte di Appello, col ritenere il vettore Qantas, depositante
della
merce, titolare, nei confronti della società Aeroporti, in
base
al contratto di deposito, indipendentemente dall'avere o meno risarcito
il danno alla Cabras, destinataria della merce, del diritto alla
restituzione
delle cose depositate e quindi, quale prestazione sostitutiva, al
risarcimento
del danno pari al valore della merce; e col riconoscere per conseguenza
la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni alla Gastaldi,
quale cessionaria dei diritti del vettore nei confronti della
società
predetta, ha male interpretato l'art. 1777 c.c. e violato tanto il
fondamentale
principio per cui non può darsi un risarcimento se non
c'è
stato un danno quanto l'altro principio, non meno essenziale,
dell'interesse
ad agire, non derogato dal cit. art. 1777 c.c. laddove svincola i
diritti
del depositante (alla restituzione o in mancanza al risarcimento) dalla
sua qualità di proprietario della merce depositata.
L'interesse ad agire in capo alla Qantas, e, per derivazione, in capo
alla cessionaria Gastaldi, andava invece escluso, giacché,
come
risulta incontroverso, la compagnia aerea non ha mai risarcito la
società
destinataria della perdita della merce trasportata.
Ed invero, prosegue la ricorrente, da una parte l'art. 2697 c.c. impone
all'attore in giudizio di provare i fatti costitutivi del diritto fatto
valere, dall'altra si desume dall'art. 1218 c.c. la regola che il
creditore
può chiedere il risarcimento dei danni da inadempimento solo
a patto
di averne subiti. E nel caso di specie, deve ribadirsi, la Qantas, non
avendo risarcito la società destinataria del carico, non ha
sofferto
alcun danno.
La Corte di Appello ha trascurato che il contratto eseguito dalla
Qantas
è un trasporto aereo internazionale, regolato dall'art. 18
1º
e 2º comma della Convenzione di Varsavia, a norma del quale il
vettore
risponde della custodia delle merci dal momento in cui le riceve in
consegna
dal mittente al momento in cui le riconsegna al destinatario, ossia di
tutti i danni che intervengono sia a bordo dell'aeromobile sia in
aeroporto;
che il rapporto tra il vettore e l'impresa aeroportuale (fatto valere
dalla
Gastaldi come cessionaria della Qantas), avendo ad oggetto la
prestazione
di una serie di servizi aeroportuali, s'inquadra nell'appalto di
servizi,
da cui esula ogni contratto di deposito; che infine solo se abbia
risarcito
il danno al destinatario il vettore può far valere il suo
diritto
di rivalsa verso il gestore aeroportuale. Essendo pertanto nella specie
indubbio che la Qantas, come si è già ricordato,
non ha risarcito
alcun danno alla Cabras, e che neppure è esposta a doverlo
fare
in futuro, nessuna azione compete al vettore nei confronti della Soc.
Aeroporti.
L'accertata insussistenza di un'azione risarcitoria a favore della
Qantas, conclude la ricorrente, rende altresì il contratto
di cessione
privo di oggetto e di causa e dunque nullo, come già
dedotto, senza
successo, innanzi al giudice di appello. Diversamente opinando, e senza
che possa soccorrere il principio della variabilità della
causa
della cessione, la Gastaldi conseguirebbe un ingiusto arricchimento, in
violazione del divieto espresso negli artt. 2041 e 2042 c.c.
Queste censure sono infondate.
Il trasporto in questione (da Brisbane, Australia, a Roma), in quanto
trasporto aereo internazionale, è regolato dall'art. 18
1º
e 2º comma della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929,
resa
esecutiva in Italia con legge 19 maggio 1932 n. 841 e in questa parte
non
modificata dal Protocollo dell'Aia 28 settembre 1955, reso esecutivo in
Italia con legge 3 dicembre 1962 n. 1832, a tenore del quale il vettore
risponde della perdita della merce trasportata avvenuta durante il
trasporto
aereo, che a sua volta comprende il periodo durante il quale la merce
si
trova nella custodia del vettore, in un aeroporto o a bordo di un
aeromobile
o in un qualsiasi luogo in caso di atterraggio fuori di un aeroporto.
Tale Convenzione non regola dunque il contratto di deposito a terra,
in quanto la fase del trasporto, come da essa definita, si svolge solo
fin quando la merce sia nella custodia ("sous la garde") del vettore
aereo
e si esaurisce nel momento in cui, con la stipulazione del contratto di
deposito presso un terzo delle merci sbarcate, la custodia si
trasferisce
dal vettore al depositario.
A sua volta il servizio di assistenza a terra ("handling"), predisposto
dalla società di gestione aeroportuale, comprende una serie
di prestazioni
a favore dei vettori aerei e dei passeggeri, che si atteggiano col
più
vario contenuto e, formando oggetto di distinti rapporti giuridici
obbligatori,
sono disciplinati secondo la loro peculiare natura. Se dunque tra detti
servizi di assistenza sia incluso, come del resto è
abituale, anche
il deposito in aeroporto delle merci sbarcate, non v'è
ragione di
escludere tale autonomo contratto dalla disciplina del contratto di
deposito
dettata in generale, per tutto quanto non dispongono le norme speciali
(art. 454 in rel. all'art. 955 c.d.Nav.), dalla normativa del codice
civile
(artt. 1766 e ss.).
Ha argomentato la Corte di merito che il contratto di deposito si
instaura
tra il depositante, anche se non sia proprietario della cosa, e il
depositario,
e solo tra questi due soggetti insorgono i diritti e gli obblighi
reciproci.
Ciò significa che le azioni derivanti dal deposito, tra cui
quella
primaria diretta ad ottenere la restituzione della cosa depositata o,
nel
caso di perdita, il suo equivalente pecuniario (quale prestazione
sostitutiva),
competono esclusivamente al depositante e non anche al proprietario
della
cosa, che sia persona diversa dal depositante medesimo. Nella specie
pertanto,
prosegue la sentenza impugnata, il vettore della merce, ossia la
Qantas,
quale depositante, vantava nei confronti della società
Aeroporti
di Roma, in base al contratto di deposito, indipendentemente dal fatto
di avere o meno risarcito il danno alla destinataria della merce, il
diritto
alla restituzione delle cose depositate, sebbene non ne fosse
proprietario,
essendo espressamente stabilito (art. 1777 c.c.) che il depositario
deve
restituire le cose al depositante (o alla persona indicata per
riceverle)
e "non può esigere che il depositante provi di esserne
proprietario".
Inadempiuta l'obbligazione di restituzione, il vettore, ai sensi
dell'art.
1218 c.c., vantava, quale depositante, il diritto al risarcimento del
danno
commisurato al valore della cosa: di qui l'indubbia legittimazione
della
Gastaldi, quale cessionaria dei diritti del vettore nei confronti della
società Aeroporti, ad agire nei confronti di tale ultima
società
per il. risarcimento del danno. Infondato altresì, ad avviso
della
Corte territoriale, l'assunto difensivo della società
Aeroporti,
secondo cui, non avendo il vettore Qantas dimostrato di avere risarcito
il danno alla destinataria della merce, non esisteva alcun diritto in
capo
allo stesso vettore che potesse essere oggetto di cessione
all'appellante
società Gastaldi. Ed invero l'esistenza dell'oggetto della
cessione
posta in essere dal vettore Qantas in favore della Gastaldi
è concretamente
individuabile nel diritto del vettore medesimo al risarcimento del
danno
derivato dall'inadempimento della società Aeroporti
all'obbligazione
di restituzione della merce affidatale in deposito; la qual cosa
esclude
che possa ritenersi fondato il riferimento della società
Aeroporti
(appellante incidentale) all'ipotesi dell'illecito arricchimento.
La Corte di Appello ha così disatteso quella che
è ancora
adesso la tesi fondamentale della ricorrente, secondo cui, non avendo
la
vettrice Qantas risarcito alla destinataria Cabras il danno derivato
dalla
perdita della merce trasportata, e non avendo perciò subito,
a causa
della stessa perdita, alcun danno, non poteva cedere alcun diritto alla
Gastaldi; e che solo se avesse risarcito alla destinataria Cabras il
danno
derivatole dalla perdita della merce trasportata, avrebbe vantato un
diritto
di rivalsa verso la depositaria società Aeroporti, che
avrebbe potuto
cedere a sua volta alla Gastaldi; tesi questa nascente dall'equivoco di
confondere le obbligazioni derivanti dal trasporto con quelle derivanti
dal deposito.
Si potrebbe aggiungere che la Qantas ha ceduto alla Gastaldi, come
da accertamento insindacabile, né sindacato, del giudice di
merito,
non già un (ipotetico) diritto di rivalsa, conseguente al
danno
risarcito alla Cabras, verso la società Aeroporti,
responsabile
della perdita, ma per l'appunto i soli diritti nascenti a suo favore
dal
contratto di deposito; e che sarebbe inammissibile che la depositaria
società
Aeroporti si esonerasse dal risarcire il danno alla depositante (e per
essa alla cessionaria) per la perdita delle cose affidatele in custodia
per il solo fatto occasionale che la depositante, in base a un titolo
diverso
(il contratto di trasporto), non abbia risarcito la Cabras, in tal modo
avvantaggiandosi di un fatto che le è estraneo e che semmai
riguarda
le pretese azionabili contro la Qantas dalla destinataria Cabras.
In quest'ordine di idee è palese l'assenza dell'errore
denunciato,
che sarebbe consistito nel riconoscere in capo alla Qantas, e per
conseguenza
alla cessionaria Gastaldi, un diritto al risarcimento invece
inesistente.
La cessione dalla Qantas alla Gastaldi è infatti tutt'altro
che priva di causa e di oggetto, concernendo il trasferimento, a titolo
particolare, di una posizione soggettiva attiva sorta in capo alla
Qantas
e dunque ben trasmissibile con lo strumento della cessione dei crediti
di cui agli artt. 1260 e ss. c.c.
Osserva la Corte che tuttavia le ragioni più vere e profonde
della decisione impugnata (sostanzialmente esatta e conforme al
diritto)
vanno ricercate altrove.
Nel particolare servizio di "handling" aeroportuale, avente ad oggetto,
tra le varie attività di assistenza a terra, la custodia e
il deposito
delle merci sbarcate, la giurisprudenza di legittimità
ravvisa,
per effetto della consegna, da parte del vettore aereo, delle cose
trasportate
all'impresa esercente, con l'obbligo di questa di custodirle e
restituirle
al destinatario, il perfezionamento, tra i predetti soggetti, di un
contratto
di deposito a favore del terzo destinatario, il quale, in caso di
avaria
della merce in fase di deposito, è dunque legittimato a
proporre
l'azione risarcitoria direttamente nei confronti dell'impresa esercente
l'"handling" (Cass. 11 settembre 1990 n. 9357).
La figura del contratto di deposito a favore del terzo destinatario
della merce ricorre anche nell'ipotesi di affidamento della merce, da
parte
del vettore marittimo, all'impresa di sbarco (cd. sbarco in
amministrazione),
secondo quanto previsto dall'art. 454 2º comma C.d.Nav. (Cass.
17
novembre 1978 n. 5363 e 24 luglio 1969 n. 2798); norma quest'ultima
applicabile,
atteso il richiamo dell'art. 955, anche al trasporto aereo di cose.
La Qantas, la società Aeroporti e la destinataria Cabras
assunsero
quindi, rispettivamente, la veste di stipulante, di promittente e di
terzo.
Orbene, nel contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.), l'azione
diretta del terzo, sebbene estraneo al contratto, verso il promittente,
a conferma che l'acquisto in capo al beneficiario (senza bisogno di
accettazione
o adesione, la quale ha l'unico effetto di rendere definitivo
l'acquisto
ove l'adesione intervenga prima dell'eventuale revoca del beneficio da
parte dello stipulante: Cass. 6 luglio 1983 n. 4562) ha per oggetto non
un mero vantaggio ma un vero e proprio diritto, è
generalmente ammessa,
in forza del principio che tale diritto è autonomo rispetto
a quello
dello stipulante (cfr. Cass. 1º settembre 1994 n. 7622;
costante la
giurisprudenza che, nel caso di un preliminare di vendita immobiliare a
favore di un terzo, ammette quest'ultimo ad avvalersi, verso il
promittente,
della tutela dell'art. 2932 c.c.: Cass. 5 dicembre 1987 n. 9034; per il
diritto del terzo destinatario di agire per il risarcimento contro
l'impresa
di "handling" depositaria, cfr. Cass. n. 9357/1990 cit.). Per quanto
concerne
lo stipulante, si deve considerare che solo con l'adempimento nei
confronti
del terzo il promittente si libera, al tempo stesso, verso quest'ultimo
e verso lo stipulante, e, inversamente, il mancato o l'inesatto
adempimento
lasciano intatta la responsabilità del promittente nei
confronti
di entrambi. D'altro canto l'inadempimento del promittente arreca
pregiudizio
anche allo stipulante, atteso l'interesse che egli deve avere alla
stipulazione
(artt. 1411 c.c.). Non si potrà perciò contestare
allo stipulante,
per tale sua qualità, la legittimazione concorrente ad agire
per
l'adempimento oppure per la risoluzione del contratto, salvo in ogni
caso
il risarcimento del danno (art. 1453 c.c.), e quindi anche per il solo
risarcimento dei danni dipendenti dalla mancata esecuzione del
contratto
da parte del promittente (cfr. Cass. 29 luglio 1968 n. 2727, secondo
cui
lo stipulante conserva la legittimazione ad agire verso il promittente
per l'esecuzione della prestazione promessa e accettata dal terzo;
Cass.
22 giugno 1978 n. 3089, secondo cui lo "stipulator", quale contraente,
può agire per l'adempimento nei confronti del promittente;
Cass.
10 marzo 1993 n. 2493, per un caso di concorrente legittimazione a
pretendere
dal promittente l'adempimento della prestazione tanto del terzo
beneficiario
quanto dello stipulante). Né si obietti che la riparazione
del danno
del promissario si limiti al danno proprio, ossia al danno da lui
patito,
senza estendersi al danno sofferto dal terzo, perché al
contrario
è preferibile l'opinione che lo stipulante possa chiedere il
risarcimento
del danno patito dal terzo come danno proprio, e quindi, in definitiva,
sia legittimato a chiedere il risarcimento anche del danno patito dal
terzo
per la mancata esecuzione del contratto. In questo senso è
l'unico
precedente in termini di questa Corte (Cass. 19 luglio 1968 n. 2590),
che,
in un caso di mancata attuazione, da parte del promittente,
dell'obbligo
di assumere al lavoro un terzo, riconobbe allo stipulante il diritto di
conseguire il risarcimento del danno subito dal terzo medesimo, pari a
due anni di mancata retribuzione.
In conclusione la Qantas validamente cedette alla Gastaldi i diritti
da essa vantati, quale stipulante, in base al contratto di deposito a
favore
della terza destinataria Cabras, tra cui quello di agire per i danni,
in
concorso alternativo con la stessa Cabras, e altrettanto validamente
agì,
facendo valere il medesimo diritto ad essa pervenuto a titolo
particolare,
la cessionaria Gastaldi.
Col secondo mezzo, basato sulla violazione e falsa applicazione degli
artt. 1341 c.c. e 7.1 del Regolamento di assistenza a terra
nonché
sul vizio di omessa e insufficiente motivazione, la ricorrente sostiene
che, seppure dovesse considerarsi depositaria, non dovrebbe rispondere
della custodia, essendo mancata la prova del dolo o della colpa grave.
Erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto la nullità
della clausola
limitativa della responsabilità ai casi di dolo o colpa
grave, per
effetto della sua mancata specifica approvazione per iscritto. Infatti
il Regolamento non è stato unilateralmente predisposto dalla
società
Aeroporti, bensì dall'associazione di categoria dei vettori
aerei,
la I.A.T.A., cui appartiene la Qantas, la quale perciò non
ha sottoscritto
un contratto per adesione. Peraltro il Regolamento, in quanto approvato
col D.M. 1º luglio 1974, è stato sottoposto a un
controllo
amministrativo che "costituisce già di per sé un
idoneo filtro
ai possibili abusi dell'asserito predisponente derivanti dalla presenza
di eventuali clausole vessatorie". Pertanto la richiamata clausola di
esonero,
contrariamente a quanto opina il giudice di merito, è valida
ed
efficace.
Anche questo secondo complesso di censure è infondato.
Osserva la Corte di Appello, sul tema, che il Regolamento di assistenza
a terra, "predisposto dalla società Aeroporti di Roma",
contiene
le condizioni generali di una serie indefinita di rapporti, alle quali
il vettore aderisce nel momento stesso in cui richiede le relative
prestazioni.
Valgono perciò le disposizioni dell'art. 1341 2º
comma c.c.,
il quale sancisce l'inefficacia, in mancanza di una specifica
approvazione
scritta, delle clausole vessatorie, tra cui è espressamente
annoverata
quella che prevede limitazioni di responsabilità a favore
del contraente
che l'ha predisposta. Pertanto, essendo pacifico che il vettore Qantas
non l'ha mai approvata per iscritto, è priva di efficacia la
clausola
n. 7.1 del Regolamento, la quale circoscrive la
responsabilità della
società Aeroporti ai soli casi di dolo o colpa grave.
A bene intendere la censura, la ricorrente prospetta la tesi che la
redazione del Regolamento risalga all'associazione dei vettori aerei
(I.A.T.A.),
di cui farebbe parte anche la Qantas, la quale pertanto, per il tramite
della sua associazione, avrebbe predisposto interamente il testo dei
futuri
contratti, da stipularsi dagli associati con la società
Aeroporti;
testo che quest'ultima avrebbe soltanto recepito, in tal modo non
assumendo
la veste di parte "predisponente", qualità che spetterebbe
invece
alla sola associazione professionale dei vettori aerei, e per essa agli
associati. In tal modo verrebbe meno il presupposto di
applicabilità
dell'art. 1341 2º comma c.c., sia perché la
clausola favorevole
alla società Aeroporti non sarebbe stata da questa
predisposta;
sia perché, nello stesso tempo, non potrebbe la Qantas
considerare
a sé "vessatoria" una clausola della quale, per il semplice
fatto
di averla concepita e redatta, per il tramite della propria
associazione
di categoria, avrebbe accettato in anticipo il contenuto, sì
da
non potersi ad essa Qantas riconoscere la veste di contraente
più
debole nella singola convenzione derivata, ossia nel contratto di
deposito
nell'ambito del quale la clausola viene fatta valere.
E peraltro la stessa approvazione delle condizioni generali di
contratto
col D.M. 10 luglio 1974 starebbe ad attestare che l'autorità
amministrativa
avrebbe preventivamente valutato la natura della clausola, escludendone
ogni carattere di vessatorietà.
Il primo profilo della questione sottoposta all'esame di questa Corte
(che sembra riconnettersi alla giurisprudenza in materia di contratti
stipulati
in conformità ad una convenzione, detta contratto tipo,
concordata
tra le associazioni di appartenenza e connotata da una situazione
originaria
di parità tra le parti contraenti, tra le quali pertanto, al
fine
dell'approvazione per iscritto di clausole limitative della
responsabilità,
non può distinguersi tra un soggetto forte e un soggetto
debole:
Cass. 26 gennaio 1987 n. 713 e 26 ottobre 1976 n. 3882), contrasta con
un accertamento di fatto compiuto dalla Corte di merito, che assume il
Regolamento come "predisposto dalla società Aeroporti di
Roma",
implicitamente disattendendo le contrarie (e non provate) asserzioni
dell'appellata,
impugnate dalla controparte anche nel presente giudizio; e, a conferma
dell'esattezza, in punto di fatto, delle conclusioni della Corte
territoriale,
la ricorrente non si duole del mancato esame o della mancata
ammissione,
da parte del giudice di merito, di prove decisive allo scopo.
Quanto al secondo aspetto della questione, la qualificazione, come
vessatoria, di una clausola contrattuale va fatta, in
conformità
della legge, dal giudice, al quale non potrebbe validamente sostituirsi
l'autorità amministrativa, né un semplice decreto
ministeriale
di approvazione delle condizioni generali potrebbe rendere obbligatoria
una siffatta clausola anche in mancanza della specifica approvazione
per
iscritto richiesta dagli artt. 1341 20 comma e 1342 20 comma c.c.,
derogabili
solo da un atto normativo avente pari forza di legge.
A ben vedere, comunque, tutte le censure racchiuse nel secondo mezzo
si palesano addirittura ininfluenti.
Ed invero, dal coordinamento delle disposizioni di cui agli artt. 1229
(che consente le clausole escludenti o limitanti la
responsabilità
del debitore per colpa lieve nell'inadempimento) e 1218 c.c. (che pone,
in via presuntiva, tale responsabilità a carico del
debitore, salva
la prova che l'inadempimento o il ritardo sia derivato esclusivamente
da
una causa, esattamente individuata, a lui non imputabile) deriva che,
in
presenza di una clausola siffatta e qualora l'adempimento sia mancato,
il debitore ha l'onere di provare o l'esistenza di una causa a lui
estranea,
cioè al di fuori del suo potere di controllo, che abbia
determinato
l'inadempimento, oppure che la sua attività (o
inattività)
concreti semplicemente una colpa lieve, senza trascendere nella colpa
grave
o nel dolo, restando altrimenti a suo carico la
responsabilità per
l'inadempimento o inesatto adempimento (Cass. 21 marzo 1981 n. 1656).
Ammesso quindi per un momento che la tesi della ricorrente sia esatta
e che per davvero la clausola n. 7.1. del Regolamento, limitativa della
responsabilità, non avesse bisogno di un'espressa
approvazione per
iscritto da parte della depositante Qantas, nessun vantaggio ne
ricaverebbe
la ricorrente società Aeroporti, perché
ciò non basterebbe
a mandarla esente da responsabilità per l'inadempiuto
contratto
di deposito, in quanto, a tale scopo, avrebbe dovuto provare, ai sensi
dell'art. 1218 c.c., che la perdita della merce o non le era imputabile
affatto o che le era imputabile soltanto a titolo di colpa lieve, non
generatrice
di responsabilità in forza della clausola di esonero.
In altri termini, l'eventuale piena validità della clausola,
sebbene non sottoscritta espressamente dalla Qantas, non comporterebbe
l'inversione dell'onere della prova, e dunque, contrariamente a quanto
mostra di ritenere la ricorrente, non spetterebbe alla depositante
Qantas
(e per essa alla cessionaria Gastaldi) di dimostrare la colpa grave (o
il dolo) della depositaria, ma lascerebbe intatto il principio della
responsabilità
presunta della depositaria almeno per colpa non lieve.
Nella specie bisogna dedurre che la prova liberatoria non sia stata
mai nemmeno chiesta dalla società Aeroporti, tanto vero che
la stessa
non si lamenta di una mancata ammissione di mezzi istruttori ed anzi
muove
dal presupposto inverso, che non siano stati cioè "provati
(né
ritenuti del resto dal giudice di appello) comportamenti di dolo e
colpa
grave" ad essa addebitabili.
E del resto, per quanto possa valere, il giudice di appello, pur nella
(corretta) prospettiva dell'inefficacia della clausola in esame, preso
atto che "il deterioramento del prodotto fu causato da una non adeguata
temperatura nel congelatore in cui esso era conservato", non
mancò
di rilevare che la società depositaria "non ha fornito
alcuna prova
liberatoria ai sensi dell'art. 1218 c.c.".
Col terzo mezzo, allegando la violazione degli artt. 2041, 1223, 1227
e ss. c.c. e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
punti
decisivi della controversia, la società Aeroporti assume che
la
quantificazione del danno nell'equivalente in lire italiane dei dollari
U.S.A. secondo il cambio del 6 agosto 1985 (lire 1.898.75) determina un
arricchimento ingiusto della Gastaldi a causa dell'attuale inferiore
quotazione
della moneta estera; che erroneamente il risarcimento è
stato rapportato
al prezzo di vendita mentre, trattandosi di risarcimento per
equivalente,
avrebbe dovuto commisurarsi al valore del bene in sé e per
sé;
che infine altrettanto erroneamente la Corte d'appello ha attribuito
sia
la rivalutazione monetaria sia gli interessi legali sulla somma
rivalutata,
violando il divieto di cumulo sancito dalla più recente
giurisprudenza
di questa Corte di legittimità (Cass. S.U. 17 febbraio 1995
n. 1712).
Di tali censure le prime due sono infondate.
Premesso che l'"attualità" della quotazione del dollaro deve
intendersi riferita al momento della decisione di appello, esecutiva
"ope
legis" e quindi in astratto coincidente col giorno del pagamento, la
ricorrente
sostiene che il debitore di una somma determinata in valuta estera, se
inadempiente, nel caso di sopravvenuta svalutazione della moneta
italiana
rispetto alla straniera, deve la differenza tra il cambio della data
della
scadenza e quello della data del pagamento (Cass. 12 luglio 1993 n.
7679),
e quindi una maggior somma, in lire, rispetto a quella che avrebbe
dovuto
pagare alla scadenza; e pertanto, nell'ipotesi inversa (che si sarebbe
verificata nella specie), di svalutazione della moneta estera e di
corrispondente
rivalutazione della lira italiana, in applicazione dello stesso
principio,
sarà tenuto alla minor somma, in lire, corrispondente al
cambio
del giorno e del luogo del pagamento.
L'assunto è senza pregio.
Lo scopo della giurisprudenza citata (ma v., nello stesso senso, Cass.
16 marzo 1987 n. 2691 e 5 novembre 1977 n. 4704) è di
evitare che
il debitore inadempiente, valendosi della facoltà di
conversione
accordatagli dall'art. 1278 c.c., tragga ingiusto profitto dalla mora,
pagando una minore quantità di moneta legale al corso del
cambio
del giorno della scadenza.
Orbene, a parte che la facoltà di conversione si attaglia
unicamente
alle obbligazioni pecuniarie o di valuta (dovendo l'art. 1278 c.c.
esser
letto in stretto collegamento col precedente art. 1277, dove
è consacrato
il principio nominalistico), è di tutta evidenza che la
società
Aeroporti, se fosse ammessa a pagare, come pretenderebbe, al corso del
cambio nel giorno e nel luogo del pagamento (supposto inferiore a
quello
del 6 agosto 1985), trarrebbe dalla sua mora (e dalla durata del
processo)
proprio quell'indebito vantaggio che, in tema di obbligazioni
pecuniarie,
l'accennata interpretazione dell'art. 1278 si è preoccupata
di evitare,
praticamente impedendo al debitore inadempiente di avvalersi, in tal
caso,
della facoltà di conversione.
Ond'è che dell'art. 1278 dovrebbe farsi, nella diversa
fattispecie
in esame, quanto meno un'applicazione analogica, facendo prevalere,
sulla
stretta collocazione sistematica, la sua "ratio".
Tuttavia l'argomento decisivo è un altro. Nelle obbligazioni
risarcitorie l'equivalente pecuniario del danno, ossia il danno
tradotto
in moneta, riferito al momento della sua produzione, è un
dato numerico
che non può subire oscillazioni per le vicende dei cambi,
nel corso
della mora (e del processo), proprio perché rappresenta, per
definizione,
un valore non suscettivo di variazioni (in più o in meno),
vale
a dire la diminuzione patrimoniale subita in quel dato momento
produttivo
del danno, e pertanto, se espressa in moneta straniera, necessariamente
vincolata, per l'indicata esigenza di certezza, al cambio del giorno di
riferimento. Salvo, come è naturale, atteso il principio
dell'integrale
ripristino della originaria condizione patrimoniale del danneggiato,
l'adeguamento
della corrispondente somma, espressa in moneta italiana, alla
svalutazione
(della moneta nazionale) sopravvenuta fino al momento della decisione,
che, come è noto, non ne incrementa il valore reale, ma
soltanto
lo commisura via via al variato potere di acquisto.
Bene dunque la Corte di Appello ha condannato la società
Aeroporti
a pagare, quale sorte capitale, "l'equivalente in lire italiane di
dollari
U.S.A. 22.080 secondo il corso del cambio del 6 agosto 1985",
indipendentemente
dalle fluttuazioni (in più o in meno) intervenute da tale
data fino
al momento della decisione.
Altrettanto bene, con un procedimento ineccepibile per la sua evidente
esattezza, ha stimato l'entità economica della perdita in
base all'unico
elemento certo risultante dagli atti, la fattura n. 1364 del 5 luglio
1985
(dollari 22.080), sufficientemente indicativa del reale valore
commerciale
della cosa e anzi idonea a fornire addirittura la prova del preciso
ammontare
del danno (art. 1226 c.c.), giustamente parametrato non già
a un
imprecisato "valore del bene in sé e per sé" ma
al prezzo
di mercato sborsato per l'acquisto. E' risaputo che la scelta dei
criteri
di cui il giudice di merito si avvale per la quantificazione del danno
nonché il giudizio sulla misura di esso rientrano nella sua
discrezionalità
e riflettono un apprezzamento di fatto insindacabile se, come nella
specie,
immune da vizi logici o errori giuridici (Cass. 7 dicembre 1982 n. 6671
e 2 luglio 1981 n. 4299).
Coglie invece nel segno l'ultima censura.
Il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi legali,
così
come adottato dalla Corte di Appello ("l'equivalente in lire italiane
di
dollari U.S.A. 22.080 (...) rivalutato da tale data alla data odierna
(...)
con gli interessi legali sulla somma rivalutata"), contrasta con i
principi
affermati dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 1712 del 17
febbraio
1995, alla stregua dei quali gli interessi, a un tasso non
necessariamente
coincidente con quello legale, non possono calcolarsi dalla data
dell'illecito
sull'importo risarcitorio rivalutata alla data della decisione
definitiva
(anche di rinvio), ma devono computarsi con riferimento ai singoli
momenti
d'incremento nominale della somma equivalente al bene perduto, in base
agli indici prescelti di rivalutazione ovvero a un indice medio. La
regola,
enunciata in tema di illecito extracontrattuale, è
naturalmente
applicabile anche all'obbligazione risarcitoria da inadempimento
contrattuale,
che configura del pari un debito di valore (cfr. Cass. 1º
luglio 1996
n. 5963 e 10 gennaio 1996 n. 166).
Il ricorso va in conclusione accolto soltanto "in parte qua" e respinto
invece in relazione a tutti gli altri motivi; onde la cassazione della
sentenza impugnata e il rinvio, per un riesame dell'indicata questione,
ad un'altra Sezione della Corte di Appello di Roma, la quale
provvederà
anche sulle spese del presente giudizio (art. 385 u.c. c.p.c.).
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie per quanto di ragione il terzo motivo del ricorso e rigetta il resto; cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, ad un'altra Sezione della Corte di Appello di Roma.
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