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SEZ. 3 SENT. 09670 DEL 03/10/1997
PRES. Grossi M. REL. Preden R.
PM. Cinque A. (Conf.)
RIC. La Fondiaria SpA ed altri (avv. Sperati)
RES. Elbana Navigazione Soc. (avv. Ercole)
conferma app. Genova 26 maggio 1994
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 28.7.88 la Italia Assicurazioni S.p.A.,
le Assicurazioni
Generali S.p.A., la New Hainpshire Insurance Company, la Comar
Assicurazioni
S.p.A. e l'Unione Mediterranea di Sicurtà S.p.A. esponevano
che
avevano coassicurato due partite di olio di oliva che la Oleifici
Italiani
S.p.A. aveva venduto a due società greche e che dovevano
essere
trasportate da Monopoli ad Eleusis con la nave cisterna Isola Azzurra;
che, eseguite le operazioni di carico dal 21 al 24.10.87, il comandante
aveva rilasciato polizze di carico sulle quali era riportato il peso
dell'olio
d'oliva indicato dai caricatori in complessive 3.000 tonnellate; che,
terminata
la discarica nel porto di arrivo il 3.11.87, le ricevitrici delle due
partite
di olio avevano lamentato ammanchi per circa 100 tonnellate e danni da
contaminazione del prodotto, per i quali erano state indennizzate dalla
Italia Assicurazioni S.p.A. con il pagamento della somma di L.
392.774.429.
Ciò premesso, dichiaravano di volersi surrogare, ai sensi
dell'art.
1916 c.c., nei diritti delle società assicurate, e
convenivano davanti
al Tribunale di Genova la Elbana di Navigazione S.p.A., armatore della
nave, per sentirla condannare, quale responsabile ex recepto degli
ammanchi
e del danno da contaminazione, al rimborso delle somme erogate.
La convenuta resisteva alla domanda, eccependo che, per effetto
dell'inserimento
nelle polizze di carico della clausola "ignoro peso incombeva sulle
attrici
l'onere di provare l'effettiva caricazione di 3.000 tonnellate di olio
ed il successivo verificarsi dell'ammanco: chiamava inoltre in causa la
Oleifici Italiani S.p.A. onde essere garantita.
La società chiamata resisteva alla domanda.
Il tribunale condannava la Elbana di Navigazione S.p.A. al pagamento,
in favore della sola Italia Assicurazioni S.p.A., della somma di L.
25.552.989
corrispondente all'indennizzo del danno da contaminazione; rigettava la
domanda di rimborso dell'indennizzo per l'ammanco; rigettava la domanda
di manleva; condannava la convenuta al pagamento delle spese.
Pronunciando sull'appello proposto da tutte le compagnie
coassicuratrici,
la Corte d'appello di Genova, con sentenza del 26.5.94, riconosceva la
sussistenza dell'interesse di tutte le società
coassicuratrici a
proporre la domanda, ma confermava l'impugnata sentenza, salvo che per
il regime delle spese. Considerava la corte:
- correttamente il vettore aveva esercitato la facoltà di
inserire
nella polizza di carico, ai sensi dell'art. 462 c.n., la riserva
"ignoro
peso", poiché la mancata indicazione, da parte del
caricatore, della
densità dell'olio di oliva, rendeva impossibile verificare
l'esatto
peso del carico, in mancanza di un coefficiente indispensabile per
eseguire
la conversione del volume, dichiarato in mc 3158,5, in peso;
- conseguentemente, era onere del ricevitore (e per esso
dell'assicuratore
surrogatosi ex art. 19 16 c.c.) provare l'effettiva consegna del
quantitativo
indicato in polizza, ed il verificarsi dell'ammanco successivamente
alla
caricazione, mentre tale onere probatorio non era stato soddisfatto.
Ricorrono per cassazione la Fondi aria Assicurazioni S.p.A.
(già
Italia Assicurazioni S.p.A.), le Assicurazioni Generali S.p.A., la AIG
Europe S.A. (cessionaria del portafoglio della New Hampshire Insurance
Company), l'Unione Mediterranea di Sicurtà S.p.A., la Comar
Assicurazioni
S.p.a in l. c. a., sulla base di cinque motivi, ai quali resiste, con
controricorso,
la Elbana di Navigazione S.p.A. Non ha svolto difese in questa sede la
Oleifici Italiana S.p.A. Le ricorrenti e la resistente hanno depositato
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo vengono denunciate: erronea
applicazione dell'art.
462 c.n. a polizza di carico emessa in Italia per trasporto
internazionale;
mancata ed errata applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1924
e successivi protocolli; violazione dell'art. III della suddetta
convenzione.
Affermano le ricorrenti che, vertendosi in tema di trasporto
internazionale
(dall'Italia alla Grecia), doveva essere applicata la Convenzione di
Bruxelles
del 1924 e non già il codice della navigazione.
Soggiungono che il dedotto errore non è solo di forma,
bensì
di sostanza, atteso che l'art. 462 c.n. (applicato dalla corte
d'appello)
e l'art. III n. 3 della convenzione non hanno identico contenuto: la
norma
della convenzione non concede infatti al vettore la generica
facoltà
di inserimento di riserve, ma autorizza soltanto il comandante ad
omettere
in polizza i dati forniti dal caricatore, quando ha un serio motivo per
ritenere che tali dati non siano esatti o quando non ha mezzi
ragionevoli
per verificarne l'esattezza.
1.1. Il motivo non è fondato.
In effetti la corte d'appello, vertendosi in tema di trasporto
internazionale
di merci documentato da polizza di carico, avrebbe dovuto far
riferimento
non già al codice della navigazione ( e precisamente
all'art. 462
del detto codice, in tema di riserve sulla natura, qualità e
quantità
delle merci), bensì alla Convenzione di Bruxelles del 1924
(come
emendata dai Protocolli del 1968 e del 1979) sulla unificazione di
alcune
norme in materia di polizza di carico (ed in particolare all'art. III
n.
3).
Ma l'erronea individuazione della norma applicabile non ha inciso,
diversamente da quanto sostengono le ricorrenti, sul merito della
decisione.
Ed infatti è vero che le due norme non presentano un tenore
del tutto conforme, atteso che l'art. 462 c.n. riconosce al vettore, al
raccomandatario o al comandante della nave che rilascia la polizza di
carico
"la facoltà di inserire in polizza le proprie riserve,
quando non
può eseguire in tutto o in parte una normale verifica delle
indicazioni
fornite dal caricatore sulla natura, quantità e
qualità delle
merci", mentre l'art. III n. 3 della convenzione prevede che "aucun
transporteur,
capitaine ou agent du transporteur ne sera tenu de dèclarer
ou de
mentionner, dans le connaissement des marques, un nombre, une
quantité
ou un poids, dont il a une raison serieuse de soupçonner
qu'il ne
représentent pas exactement le marchandises actuellement
reçues
per lui, ou qu'il n'a pas eu des moyens raisonnables de
vérifier".
Ma è del pari comunemente riconosciuto, da parte della
dottrina
e della giurisprudenza (sent. n. 117/57), che, malgrado l'art. III n. 3
della Convenzione di Bruxelles preveda soltanto una facoltà
di omettere
in polizza i dati concernenti il numero, il quantità o il
peso delle
merci, ove sussistano le condizioni ivi menzionate, la prassi ha
costantemente
attuato tale precetto mediante l'inserimento in polizza di clausole di
riserva. Può affermarsi, quindi, che l'art. 462 c.n.
(approvato
con r.d. n. 327/42) sostanzialmente ricalca la norma della convenzione,
come attuata dalla prassi dei traffici.
E mette conto notare, altresì, che del menzionato uso
invalso
ha significativamente tenuto conto anche la Convenzione di Amburgo del
1978 (ancora non attuata), nella quale, all'art. 16 (Polizza di carico;
riserve ed efficacia probatoria), non si prevede più la
facoltà
di omettere i dati, ma si riconosce quella di inserire le riserve.
Ne discende che, dovendosi riconoscere al vettore, anche alla stregua
dell'art. III n. 3 della Convenzione di Bruxelles, la
facoltà di
inserire riserve nella polizza, l'errato riferimento all'art 462 c.c.
non
inficia di per sé la decisione della corte d'appello,
poiché
tale disposizione si uniforma sostanzialmente alla norma della
convenzione
come effettivamente applicata nella prassi dei trasporti
internazionali.
La questione, così emendata in punto di diritto la decisione
impugnata, si risolve quindi nel valutare se la corte territoriale
abbia
correttamente valutato se il vettore non abbia avuto des moyens
raisonnables
per procedere alla verifica del peso dichiarato dal caricatore. Si
tratta,
in altri termini, di scrutinare l'apprezzamento, da parte del giudice
di
merito, circa la ragionevolezza delle riserve: ragionevolezza che, come
ricordano anche le ricorrenti, sussiste qualora il vettore si sia
plausibilmente
trovato nella difficoltà di controllare se fossero esatte o
meno
le indicazioni fornite dal caricatore.
E di tale questione si occupa il motivo che segue.
2. Con il secondo motivo, incentrato sulla denuncia di omessa,
insufficiente
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia,
le ricorrenti censurano l'apprezzamento svolto dalla corte d'appello
circa
la ritenuta impossibilità per il comandante di verificare
l'esattezza
del peso delle due partite di olio di oliva.
Affermano che, pur in difetto del coefficiente relativo alla
densità
dell'olio di oliva, il peso delle due partite ben poteva essere
desunto,
con sufficiente approssimazione, tenuto conto del valore medio della
detta
densità.
2.1. Il motivo non è fondato.
Per costante giurisprudenza (riferibile, stante la sostanziale
coincidenza
sul punto dell'art. III n. 3 della Convenzione di Bruxelles del 1924 e
dell'art. 462 c.n. ad entrambe le disposizioni), in tema di trasporto
marittimo,
l'efficacia delle riserve inserite nella polizza di carico circa la
natura,
qualità e quantità delle merci imbarcate, al fine
di evitare
la presunzione di conformità della merce alle enunciazioni
del documento,
è condizionata alla ragionevolezza delle stesse, nel senso
che il
vettore deve essersi trovato nella plausibile difficoltà di
controllare
l'esattezza delle indicazioni fornite dal caricatore. Ed il giudizio
sulla
impossibilità, intesa in senso relativo, di controllare
l'esattezza
delle indicazioni fornite dal caricatore involge un apprezzamento di
fatto,
incensurabile in sede di legittimità, se congruamente
motivato (sent.
n. 1523/64: n. 2199/67: n. 3562/71: n. 6218/81).
Ora, la corte d'appello ha ritenuto che correttamente il vettore aveva
esercitato la facoltà di inserire nella polizza di carico la
riserva
"ignoro peso", limitandosi ad attestare un volume di carico di mc
3.158,5
di olio, poiché, pur essendo tale dato volumetrico
indicativo di
un peso sicuramente inferiore a 3.000 tonnellate, la mancata
indicazione,
da parte del caricatore, della specifica densità dell'olio
di oliva,
rendeva impossibile verificare l'esatto peso del carico di olio
imbarcato,
in mancanza di un coefficiente indispensabile al calcolo per effettuare
la conversione del volume in peso; che, conseguentemente, era onere del
ricevitore (e per esso dell'assicuratore surrogatosi ex art. 1916 c.c.)
provare l'effettiva consegna del quantitativo indicato in polizza, ed
il
verificarsi dell'ammanco successivamente alla caricazione; che tale
onere
probatorio non era stato soddisfatto, risultando per converso
accertato,
una volta acquisito il dato dell'esatta densità, ed essendo
risultato
sostanzialmente uguale il volume dell'olio arrivato a destinazione (mc
3.148) rispetto a quello caricato a Monopoli (mc 3.158), che era stata
pompata nelle cisterne della nave una quantità di olio
inferiore
di circa 100 tonnellate (sostanzialmente corrispondente al preteso
ammanco)
rispetto a quella di 3.000 tonnellate indicata in polizza.
Ha in sostanza ritenuto la corte d'appello che è
ragionevolmente
apposta dal vettore la riserva "ignoro peso", qualora il peso della
merce
da trasportare sia suscettivo di verifica solo per approssimazione
(nella
specie: mediante riferimento alla densità inedia dell'olio
di oliva),
a causa della mancata indicazione, da parte del caricatore, di un
coefficiente
(nella specie: densità specifica dalla partita di olio di
oliva
oggetto del trasporto) indispensabile per stabilire con esattezza il
peso.
E siffatta valutazione, sorretta da congrua motivazione, si sottrae al
sindacato di questa S.C.
3. Con il terzo motivo, denunciando erronea interpretazione degli artt.
422, 434 c.n. e degli artt. III e IV della Convenzione di Bruxelles, le
ricorrenti addebitano alla corte d'appello di aver erroneamente
riferito
l'onere probatorio gravante sul caricatore, per effetto della riserva
inserita
nella polizza di carico dal vettore, non già al momento
della consegna,
bensì a quello successivo della verifica di quanto stivato.
3.1. Il motivo non è fondato.
La corte d'appello ha invero rilevato che, per effetto dell'inserimento
da parte del vettore di una valida riserva concernente il peso
dell'olio
di oliva oggetto del trasporto, era onere del caricatore (e dei
ricevitori
giratari della polizza) dimostrare che il carico era avvenuto per un
peso
eguale a quello indicato nei documenti commerciali e di trasporto, e
che
quanto ricevuto era difforme dal quantitativo imbarcato, a causa di
ammanchi
verificatisi successivamente alle operazioni di imbarco.
E così pronunciando la corte territoriale si è
uniformata
ai principi posti in materia dalla giurisprudenza di questa S.C., che
più
volte ha avuto modo di statuire che, in tema di trasporto marittimo, se
la presunzione di conformità della merce alle enunciazioni
del documento
è stata esclusa con una valida riserva inserita in polizza,
chi
riceve la merce, in caso di asserito ammanco, deve dimostrare la
corrispondenza
a realtà delle indicazioni della polizza medesima sulla
consistenza
del carico (sent. n. 4905/77: n. 62 18/81).
E una prova siffatta la corte d'appello ha ritenuto non fornita, sul
rilievo che non valevano a tal fine i certificati di peso delle
autobotti,
da ritenere non pienamente attendibili, risultando in alcuni di essi
una
identica tara delle stesse autobotti in relazione a diversi viaggi,
nonostante
la necessaria variabilità di alcune componenti (peso del
carburante;
residui di prodotto); né le bollette doganali, in quanto
attestanti
l'accertamento della presenza dell'indicazione del peso sui documenti,
e non già l'esecuzione di controlli diretti.
4. Con il quinto motivo, denunciando la mancata ed erronea applicazione
dell'art. 2700 c.c., dell'art. 59 d.p.r. 23.1.73, n. 43 e dell'art. 9
r.d.
13.2.1896, nonché l'erronea e contraddittoria motivazione su
punto
decisivo, le ricorrenti addebitano alla corte d'appello di aver
erroneamente
ritenuto che le bollette doganali prodotte in giudizio non fossero
idonee
a sorreggere la prova da esse fornita circa il quantitativo di merce
caricata.
Affermano che le bollette doganali, in quanto costituenti documenti
aventi fede di atto pubblico, fornivano prova certa del quantitativo di
olio transitato sul bilico doganale e quindi consegnato al vettore
marittimo.
4.1. Il motivo non è fondato.
Non giova richiamare le pronunce di questa S.C. nelle quali, con
riferimento
al reato di falso di cui all'art. 476 c.p., viene affermato che la
bolletta
doganale è atto pubblico di fede privilegiata (sent. n.
5471/87:
n. 855/87).
La corte d'appello non ha invero inteso contrastare siffatta
qualificazione,
ma ha osservato che le bollette prodotte in giudizio non attestavano
l'esecuzione
di diretti controlli sul peso da parte dei funzionari doganali,
bensì
il mero riscontro, sui documenti ad essi presentati, della presenza
delle
dichiarazioni sul peso rilasciate dall'esportatore. Ha cioè
compiuto
opera di interpretazione del contenuto dell'atto pubblico, da esso
desumendo
che i funzionari redigenti si erano limitati ad una verifica di
completezza
delle indicazioni inserite nella documentazione, senza svolgere nessuna
visita o constatazione diretta sul carico.
E tale operazione ermeneutica, consentita al giudice del merito (sent.
2921/75), si sottrae al sindacato di legittimità.
5. Con il quarto motivo vengono dedotte: l'erronea applicazione degli
artt. 1530 e 1340 c.c.; la mancata ed errata applicazione delle norme
regolanti
i crediti documentari; l'erronea e contraddittoria motivazione su punto
decisivo.
Affermano le ricorrenti che la corte d'appello avrebbe erroneamente
ritenuto che, alla stregua degli usi negoziali (peraltro non
correttamente
individuati) vigenti in materia di pagamento contro documenti a mezzo
banca,
la clausola "ignoro peso" fosse idonea a "sporcare" la polizza di
carico,
5.1. Il motivo è inammissibile.
La questione concernente la qualificazione della polizza non ha assunto
rilievo decisivo nell'economia della decisione impugnata. Per
disattendere
l'assunto difensivo delle attuali ricorrenti, incentrato sull'asserito
atteggiamento di buona fede delle società ricevitrici
"costrette
a pagare prima di poter accertare all'arrivo ad Eleusi la
corrispondenza
del prodotto spedito con quello pattuito", ha invero osservato la corte
d'appello - dopo aver incidentalmente rilevato che la polizza doveva
considerarsi
"sporca" a causa dell'inserimento delle riserva - che l'assunto era
rimasto
indimostrato, non essendo stata fornita prova che le predette
ricevitrici
avessero autorizzato l'immediato pagamento, mediante utilizzo dei
crediti
aperti presso la Credit Bank di Atene, il 26.10.87 (data di arrivo dei
documenti inviati dal venditore), prima di poter esaminare le polizze,
e constatare la presenza della riserva.
La pronuncia risulta quindi fondata non già sulla
qualificazione
della polizza come "sporca", ma sulla carenza di prova relativamente ad
una circostanza di fatto, e tale determinante argomentazione non viene
in alcun modo sottoposta a censura.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le ricorrenti vanno conseguentemente condannate, in solido, al
pagamento
delle spese del giudizio di cassazione in favore della resistente, che
si liquidano nel dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese in favore della resistente, che liquida in L. 371.000 oltre L. 12.000.000 (dodici milioni) per onorari.
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