Enzo Fogliani
massima

CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. 1       SENT.  02787  DEL 28/03/1997
PRES. Corda M                    REL. Olla G
PM. Sepe EA  (Parz. Diff.)
RIC. Comp. unica lavoratori merci varie porto Genova (avv. De Martini, Alpa)
RES. Merci convenzionali porto Genova (Avv. Barbantini, Elia, Medina, Ferrari)
conferma app. Genova 09/10/93

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - A suo tempo, la s.p.a. Merci convenzionali porto di Genova (o in breve, di seguito, Merci convenzionali) ottenne in concessione, a mente dell'art. 111 c. nav., l'esercizio delle operazioni portuali riguardanti le merci convenzionali, nell'ambito del porto di Genova.
Per l'esecuzione in concreto di quelle operazioni, la Merci convenzionali si avvalse, come imposto dall'ultimo comma dello stesso art. 111, delle maestranze costituite nella Compagnia unica lavoratori merci varie del porto di Genova-Culpv (o in breve, di seguito, compagnia), da ricondursi alla figura di cui al precedente art. 110 c. nav., ed alla quale, appunto, era «riservata», nell'ambito del porto di Genova, l'esecuzione delle operazioni portuali.
Per le sue prestazioni, la compagnia (o secondo altra costruzione giuridica le maestranze associate nella compagnia) riteneva d'aver diritto ad un compenso determinato, per quel che rileva nella presente controversia, sulla base delle tariffe approvate con il decreto del presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova 6 ottobre 1987 n. 1802, in vigore dal 1° agosto 1987.
2.1. - Con atto di citazione notificato alla Compagnia unica lavoratori merci varie del proto di Genova l'11 febbraio 1989, la società Merci convenzionali espose, in premessa, che quella compagnia le aveva intimato il pagamento di rilevanti importi a titolo di compenso per le prestazioni delle anzidette operazioni portuali effettuate su richiesta di essa attrice nel 1988 e determinato, appunto, sulla base delle tariffe determinate a mente del richiamato decreto n. 1802/87.
Dedusse che le pretese erano parzialmente infondate:
- in via assorbente, per l'inapplicabilità delle anzidette tariffe, una volta che le stesse trovavano il loro presupposto nell'istituto della «riserva» a favore delle compagnie portuali di cui agli ultimi comma degli art. 110 e 111 c. nav.; e che i precetti dettati in queste norme erano illegittimi per il contrasto, sul piano interno, con gli art. 41 e 43 della Carta costituzionale e sul piano comunitario con gli art. 7, 48, 52, 85, 86, 90 e 221 del trattato istitutivo della Comunità economica europea ratificato e reso esecutivo con l. 14 ottobre 1957 n. 1203;
- in ogni caso, perché taluno dei compensi richiesti riguardavano prestazioni estranee alle riserve spettanti alla compagnia e, comunque, non necessarie, ed altre pretese erano conseguenti all'applicazione di importi unitari superiori a quelli fissati nella tariffa approvata.
Pertanto, con lo stesso atto convenne detta compagnia davanti al Tribunale di Genova, al quale chiese di dichiarare, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di illegittimità costituzionale degli art. 110 e 111 c. nav.: a) l'insussistenza del credito vantato dalla convenuta, quanto meno nella misura da essa indicata; b) l'importo dovuto da essa attrice per le prestazioni effettivamente ricevute nel corso dell'anno 1988.
La compagnia convenuta si costituì in giudizio e, nel resistere alla domanda, sottolineò la legittimità della propria pretesa, anche sotto il profilo della legittimità costituzionale delle norme sulla «riserva» delle operazioni portuali in favore delle compagnie portuali.
2.2. - Con due decreti pronunciati, ai sensi dell'art. 641 c.p.c., il 20 marzo 1989 ed il 15 maggio 1989, il presidente del Tribunale di Genova ingiunse alla società Merci convenzionali di pagare in favore della ricorrente Compagnia unica lavoratori merci varie del porto di Genova le somme, rispettivamente, di lire 9.070.220.493 e di lire 4.310.749.728 oltre accessori, a saldo del compenso spettante a detta compagnia per le prestazioni da essa eseguite, sempre rispettivamente, nell'anno 1988 e nel primo bimestre del 1989, calcolati sulla base della tariffa approvata con il già richiamato decreto del presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova n. 1802 del 1987.
La società ingiunta propose opposizione avverso entrambi i provvedimenti monitori convenendo, a tal fine, la compagnia davanti al Tribunale di Genova, con atti di citazione - notificati, rispettivamente, il 17 aprile 1989 ed il 5 giugno 1989 - nei quali contestò la fondatezza delle pretese creditorie sulla base dei medesimi argomenti difensivi sviluppati nel giudizio di accertamento negativo introdotto con la citazione dell'11 febbraio 1989.
L'opposta, costituitasi in giudizio, resistette alle opposizioni.
3. - I tre giudizi fin qui richiamati furono riuniti.
4. - Nelle conclusioni definitive formulate in primo grado, la società Merci convenzionali - oltre ad insistere nelle sue precedenti istanze - chiese al tribunale di dichiarare, in ogni caso, che gli art. 110 e 111 c. nav. erano inapplicabili stante il loro contrasto con le norme comunitarie, previa, se del caso, la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'art. 177 del trattato di Roma, nonché di pronunciare sul tema della controversia sulla base di tale declaratoria.
5. - Il Tribunale di Genova, pronunciando con sentenza 30 settembre 1989 (Foro it., 1990, I, 1026) sulla «sola domanda principale proposta dalla Merci convenzionali porto Genova», dopo aver dichiarato irrilevanti le questioni relative agli art. 152 e 154 del regolamento del codice della navigazione, e manifestamente infondate le questioni di illegittimità costituzionale degli art. 110, 111 e 112 dello stesso codice, respinse «la domanda formulata dalla Merci convenzionali s.p.a. per l'accertamento dell'inapplicabilità ai rapporti per cui è causa della tariffa approvata con decreto n. 1802 del 1987 del presidente del Cap».
Inoltre, con separata ordinanza in pari data, dispose la prosecuzione del giudizio.
6. - Con atto di citazione notificato il 13 dicembre 1990 all'avv. Renato Speciale - il quale nel giudizio davanti al tribunale era stato procuratore della Compagnia unica lavoratori merci varie del porto di Genova, nel solo processo conseguente alla citazione delle Merci convenzionali dell'11 febbraio 1989 - la società Merci convenzionali convenne la compagnia davanti alla Corte d'appello di Genova, ed impugnò in secondo grado l'anzidetta sentenza del 30 settembre 1989, nelle parti in cui aveva disatteso le proprie difese e la propria domanda.
La compagnia appellata resistette all'impugnazione della quale, pregiudizialmente, eccepì l'inammissibilità per più ragioni.
7. - Nelle more del giudizio di secondo grado, la Corte di giustizia delle Comunità europee pronunciando con sentenza 10 dicembre 1991 (resa in causa C-179/90, id., 1992, IV, 226, vertente tra la s.p.a. Merci convenzionali porto Genova e la s.p.a. Siderurgica Gabrieli), così statuì.
I) Il combinato disposto dell'art. 90, 1° comma, e degli art. 30, 48 e 86 del trattato Cee osta alla normativa di uno Stato membro che conferisca ad una impresa stabilita in quello Stato il diritto esclusivo di esercizio delle operazioni portuali e le imponga di servirsi, per l'esecuzione di dette operazioni, di una compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali.
Infatti, osservò, in particolare nella motivazione, «le imprese cui son riconosciuti diritti esclusivi secondo le modalità definite dalla normativa nazionale di cui è causa sono per questa ragione indotte ad esigere il pagamento di servizi non richiesti, o a fatturare prezzi sproporzionati, oppure a non servirsi della tecnologia moderna, con conseguente aumento del costo delle operazioni e ritardi nelle loro esecuzioni, ovvero ancora a concedere riduzioni di prezzo a taluni utenti, compensate, allo stesso tempo, mediante aumento di prezzi fatturati ad altri utenti»: tanto, però, contrasta con l'art. 86, 2° comma, lett. a), b) e c), del trattato.
II) Anche nell'ambito dell'art. 90 del trattato Cee le disposizioni degli art. 30, 48 e 86 della stessa fonte normativa hanno efficacia diretta ed attribuiscono ai singoli dei diritti che i giudici devono tutelare.
III) L'art. 90, 2° comma, del trattato Cee deve essere interpretato nel senso che una impresa o compagnia portuale che si trovi nella situazione descritta in funzione della prima delle anzidette statuizioni non può essere considerata, unicamente in base agli elementi risultanti da tale descrizione, incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale ai sensi di detta disposizione.
8. - A seguito di questa sentenza, nel giudizio di secondo grado la discussione tra le parti si incentrò anche, se non essenzialmente, sulla questione relativa ai suoi riflessi sulla decisione della controversia che ne occupa.
9. - La Corte di Genova, decidendo con sentenza depositata il 9 ottobre 1993 (id., 1994, I, 2504), ha riformato la pronuncia di primo grado e, per l'effetto, ha dichiarato che «alle prestazioni rese dalla Culmv alla società Merci convenzionali durante l'anno 1988 ed il primo bimestre 1989, non è applicabile alla tariffa per le operazioni di ``riserva'' di cui al decreto del presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova n. 1802 del 1987».
La corte territoriale, ha così argomentato in ordine ai singoli punti che si configurano quali antecedenti logico-giuridico necessari del suo dictum finale. 

(...Omissis...)

La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 10 dicembre 1991 ha rilevanza ai fini della decisione in quanto:
a) ha dichiarato l'incompatibilità con l'ordinamento comunitario delle norme disciplinanti l'istituto della «riserva» alle compagnie portuali di cui agli art. 110 e 111 c. nav., e, d'altra parte, manifestamente, non sono ravvisabili profili di contrasto tra la normativa comunitaria considerata e i principî fondamentali del nostro ordinamento costituzionale che possano rendere inapplicabile la disciplina comunitaria;
b) l'incompatibilità da essa accertata e dichiarata riguarda, in generale, tutte le compagnie portuali e, dunque, anche quella operante nel porto di Genova;
c) nei confronti delle compagnie portuali - ivi compresa quella del porto di Genova - non può trovare applicazione il disposto dell'art. 90, n. 2, del trattato di Roma, per il quale, «le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale, sono sottoposte alle norme del presente trattato e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti di cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata». Innanzitutto, perché le compagnie portuali non possono essere qualificate come imprese esercenti un «servizio economico generale» nel senso voluto dalla norma comunitaria; inoltre, perché l'applicazione delle norme comunitarie non osta affatto all'esecuzione, da parte delle compagnie, dell'incarico loro affidato.
Non è contestabile, pertanto, che le norme interne in ordine all'istituto della riserva delle operazioni portuali siano in contrasto con l'ordinamento comunitario il che, per un verso, «rende superflua la sottoposizione delle questioni alla Corte di giustizia»; per altro verso, mentre determina la caducazione di quell'istituto, travolge la disciplina relativa alla formazione delle tariffe portuali.
Quindi, travolgono anche il decreto del presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova n. 1802 del 1987 come risulta, in modo plastico, dalla valutazione della sua tabella B) determinante i compensi per il lavoro a squadre.
Infatti, la sua struttura si accompagna ad una autonoma determinazione da parte della Compagnia unica lavoratori merci varie del porto di Genova della composizione delle squadre, e del livello delle «rese di tariffa», cioè della poroduttività del lavoro prevista per la singola squadra; ed è appunto in questa autonoma determinazione che si risolve il sistema della riserva della mano d'opera, sicché, eliminando la riserva, le modalità di prestazione del lavoro a squadre rimarrebbero prive di giustificazione autoritativa.
D'altra parte, ha soggiunto, sul piano giuridico risulterebbe inammissibile una costruzione che riconducesse il sistema tariffario di cui al decreto n. 1802 del 1987 ad una pattuizione privata tra le parti. Ciò perché, sulla base dei principî privatistici non potrebbe non qualificarsi invalido un regime pattizio che - come appunto nella specie - precluda all'utente di contestare la composizione delle squadre da parte della compagnia, la congruità del numero dei lavoratori avviati rispetto alle operazioni da eseguire, e la predeterminazione delle rese in modo conforme alla buona fede nell'esecuzione del contratto.
La caducazione del decreto n. 1802 del 1987 produce i propri effetti anche nei riguardi della decisione sulla controversia della quale si tratta, in quanto - come ha affermato il Tribunale di Genova senza che siffatta conclusione sia stata in alcun modo contestata, sì che è divenuta definitiva - «pur trattandosi di prestazioni già effettuate nel regime di riserva di mano d'opera, il rapporto non può ritenersi ``esaurito'' con preclusione di ogni contestazione del sistema tariffario, dato che la Merci convenzionali, nel richiedere via via l'avviamento della mano d'opera, aveva sistematicamente fatto salva ogni discussione sulla legittimità di applicazione della tariffa».
10. - La Compagnia unica lavoratori merci varie del porto di Genova ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi di annullamento. L'intimata s.p.a. Merci convenzionali porto di Genova, resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(..Omissis...)

3. - Il secondo mezzo di annullamento investe la statuizione con cui la corte di Genova ha respinto l'eccezione di inammissibilità - perché proposta per la prima volta in appello - dell'istanza della società Merci convenzionali diretta alla declaratoria dell'applicabilità alle prestazioni rese in suo favore dalla Compagnia lavoratori merci varie durante il 1988 ed il primo bimestre 1989 della «tariffa di ``mobilità'' prevista dal decreto del presidente del Cap n. 1802 del 1987, ovvero un compenso da determinarsi ai sensi degli art. 1657 e 2099 c.c.».
Secondo la ricorrente, tale statuizione è viziata per «violazione e/o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., e per insufficiente e/o contraddittoria motivazione», dato che il semplice raffronto tra le conclusioni formulate dalla società Merci convenzionali, rispettivamente, in primo ed in secondo grado, rende certo che - diversamente da quanto affermato dal giudice del merito - l'anzidetta istanza non era mai stata proposta nel giudizio davanti al tribunale.
Peraltro, come s'è detto nella precedente parte espositiva, la corte di Genova, nell'esaminare l'eccezione in questione, ha osservato che la conclusione dell'appellante non aveva carattere di novità in quanto non costituiva altro che l'estrinsecazione formale ed esplicita del thema decidendum dibattuto dalle parti nel giudizio di primo grado; ma ha soggiunto che, «però», la problematica connessa a quella conclusione «risulta collocata al di là, cioè riservata, se del caso, al prosieguo del giudizio, del tema assunto dal tribunale a decisione dell'impugnata sentenza al quale questo giudizio d'appello deve limitarsi, tema circoscritto all'applicabilità o meno di tale tariffa».
Nella sostanza, dunque, la corte del merito ha dichiarato, in via assorbente, che l'istanza della quale si tratta era inammissibile in quanto la questione da essa introdotta era intrinsecamente connessa al thema del giudizio che proseguiva davanti al tribunale a seguito dell'ordinanza del 30 ottobre 1989 e necessariamente estranea al limitato oggetto del giudizio ad essa corte devoluto; e che, pertanto, l'istanza, peraltro non nuova, non poteva essere esaminata.
A conforto depone il rilievo che, solo ammettendo una statuizione avente il contenuto appena ricostruito, trova spiegazione la circostanza che la corte del merito, pur essendo pervenuta a dichiarare che i compensi spettanti alla Compagnia lavoratori merci varie del porto di Genova non potevano essere determinati sulla base della tariffa approvata col decreto del presidente del Consorzio autonomo di quel porto n. 1802 del 1987, e nonostante l'espressa richiesta in tal senso contenuta nella conclusione della quale si tratta, non ha pronunciato sulla questione relativa all'indicazione del criterio col quale invece i compensi stessi dovevano essere determinati, né l'ha esaminata in alcun modo.
Vale a dire, in definitiva, che sia pure per una ragione diversa da quella postulata dall'appellata, la corte di Genova ha accolto la sua eccezione di inammissibilità dell'istanza, e che, nell'economia della ratio decidendi sul punto, l'affermazione della stessa corte in ordine alla novità dell'istanza ha una portata del tutto ultronea.
Ne risulta, allora, l'inammissibilità del motivo in esame, una volta che non censura la pronuncia e la ratio decidendi della decisione, ed investe soltanto una argomentazione ultronea.
4.1. - Nel terzo motivo d'annullamento la ricorrente sostiene, preliminarmente, che la corte di Genova ha fondato la pronuncia di inapplicabilità della tariffa sulle operazioni portuali «di riserva» di cui al decreto del presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova n. 1802 del 1987, sull'asserito contrasto dell'art. 110, ultimo comma, c. nav. (che costituisce la fonte normativa dell'istituto della c.d. riserva del lavoro portuale) con gli art. 86 e 90 del trattato della Comunità economica europea reso esecutivo con l. 14 ottobre 1957 n. 1203; e sul rilievo - mutuato dalle argomentazioni dell'allora appellante società Merci convenzionali - che siffatto contrasto determinava sia l'illegittimità del potere tariffario in capo al Consorzio autonomo del porto, e sia, conseguentemente, le illegittimità proprie delle tariffe in base alle quali era stato calcolato il compenso per le prestazioni per le quali è controversia.
Sostiene, inoltre, che nel giudizio d'appello aveva contestato in modo analitico i richiamati argomenti dell'appellante. In particolare, soggiunge, aveva chiarito come gli art. 112 c. nav. e 203 del relativo regolamento della navigazione marittima, attribuiscano all'autorità preposta al lavoro portuale il potere di determinare le tariffe e le norme per la loro applicazione; come tale potere non sia in alcun modo dipendente, o connesso in alcun modo, al regime della riserva delle operazioni portuali, come è ribadito dalla regola enunciata in modo espresso nell'art. 112 c. nav., per cui l'autorità portuale è tenuta a determinare le tariffe compensative anche in presenza delle c.d. «autonomie funzionali» disciplinate dall'ultimo comma dell'art. 111 dello stesso codice; come lo stesso potere non contrasti con disposizioni di grado più elevato nella gerarchia delle fonti di diritto; e come, in ultima analisi, per tutte quelle ragioni, la peraltro «contestata contrarietà della c.d. riserva di lavoro portuale alla normativa comunitaria non potrebbe in ogni caso determinare l'inapplicabilità, nella specie, della tariffa di cui al decreto consortile n. 1802/87».
Ciò esposto, denuncia che la pronuncia con cui la corte di Genova ha disatteso le predette ragioni preclusive ad una statuizione di inapplicabilità della tariffa è inficiata: a) dal vizio di omesso e/o insufficiente motivazione, in quanto «ha del tutto tralasciato di prendere in considerazione i rilievi critici» avanti richiamati; b) dal vizio di violazione e/o falsa applicazione degli art. 110, 111 e 112 c. nav. e degli art. 86 e 90 del trattato Cee atteso che, in ogni caso, la corretta esegesi di queste norme esclude che il loro eventuale contrasto con l'istituto della c.d. riserva portuale riverberi alcun effetto pregiudicante sul potere tariffario attribuito all'autorità portuale.
Sennonché, la corte genovese ha fondato la declaratoria di inapplicabilità del decreto del presidente del Consorzio di Genova n. 1802/87 non già - come sostiene la ricorrente - sul rilievo che il contrasto della c.d. riserva portuale con la normativa comunitaria determinava l'illegittimità del potere tariffario in capo all'autorità portuale (nella specie, il presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova) e, per effetto riflesso, delle tariffe approvate da quell'organo; sibbene sulla ragione - essenzialmente diversa - che detto contrasto comportava l'illegittimità dell'istituto della riserva portuale e, conseguentemente, travolgeva tutto il sistema che trovava il suo imprescindibile presupposto nella riserva stessa: in particolare, per quel che rilevava nella specie, travolgeva le regole ed i principî alla cui stregua l'autorità portuale formava, nel concreto, le tariffe compensative. Ha affermato, cioè, che il contrasto tra norme interne e comunitarie determinava l'illegittimità non già dell'attribuzione all'autorità portuale preposta alle operazioni portuali del potere di determinare le tariffe del lavoro portuale come aveva sostenuto l'appellante (ed in ciò, quindi, ha accolto le argomentazioni dell'appellata), ma soltanto, ed esclusivamente, dei criteri e delle regole per la formazione delle tariffe.
Lo si evince, in particolare, dal fatto che il giudice del merito ha fondato la sua conclusione esclusivamente sull'affermazione che «la struttura della tariffa di cui alla tabella B [relativa al lavoro a squadre] si accompagna ad un'autonoma determinazione da parte della Culvmv (autonoma determinazione nella quale si risolve il sistema della riserva di mano d'opera) della composizione delle squadre e del livello delle ``rese di tariffa'', cioè della produttività del lavoro prevista per la singola squadra», e sul rilievo che una volta «eliminata detta riserva le modalità della prestazione del lavoro a squadre rimangono prive di giustificazione autoritativa, senza peraltro potersi basare su di una sicura pattuizione privata tra le parti».
Ciò significa che le censure formulate nel motivo in esame si sviluppano sulla base di una inesatta ricostruzione della ragione sulla quale la corte del merito ha fondato la sua conclusione sul punto, e non investono l'effettiva ratio decidendi.
Le stesse censure ed il motivo che le propone, pertanto, sono inammissibili.
5.1. - Il quarto e il quinto motivo denunciano entrambi la «violazione e/o falsa applicazione degli art. 110, 111 e 112 c. nav., nonché degli art. 85 e 90 del trattato Cee»; inoltre, «insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo».
Le censure proposte con i mezzi hanno il loro comune presupposto nell'assunto che la sentenza della Corte di giustizia della Comunità economica europea 10 dicembre 1991, resa in causa C-179/90, ha la sola efficacia di fornire una mera «indicazione interpretativa» della disciplina comunitaria, che «deve essere necessariamente integrata, situazione per situazione, dagli apprezzamenti dei giudici di merito nazionali circa (la perduranza del)le ragioni di pubblico interesse al(la creazione ed al) mantenimento della riserva del lavoro portuale».
Solo sulla base di questo presupposto, del resto, avrebbero potuto essere proposte le doglianze formulate nei motivi per i quali, in sintesi, nell'affermare la sussistenza del contrasto tra la legislazione nazionale in tema di riserva di lavoro portuale e gli art. 90 ed 86 del trattato Cee, nonché, comunque, l'applicabilità della disciplina comunitaria nel caso di specie, la corte genovese: a) ha interpretato erroneamente la normativa comunitaria posto che la corretta esegesi di queste norme «consente di giungere all'opposta conclusione che l'attribuzione della riserva delle operazioni portuali [alle compagnie portuali] non contrasta affatto col sistema comunitario»; b) ha fondato il proprio convincimento esclusivamente sulla richiamata sentenza della Corte di giustizia della Cee, senza procedere al necessario vaglio critico, ed in ciò ha errato: infatti, ove effettuato, quel vaglio avrebbe denotato con ogni evidenza, l'erroneità delle conclusioni ivi raggiunte; e, comunque, l'inapplicabilità del regime comunitario nell'ambito del porto di Genova e nei confronti di essa Compagnia unica lavoratori merci varie dello stesso porto o, quanto meno, la carenza da parte del giudice nazionale del potere di disapplicare la normativa interna in materia di riserva del lavoro portuale.
5.2. - I motivi - da esaminarsi congiuntamente - non possono essere condivisi stante l'infondatezza del loro comune presupposto.
5.3. - Come emerge in modo univoco dall'intero contesto della sentenza 10 dicembre 1991 (il cui dispositivo ed i cui punti salienti della relativa motivazione sono stati richiamati nella precedente parte espositiva) la Corte di giustizia della Cee era stata chiamata a risolvere, ai sensi dell'art. 177 del trattato la questione pregiudiziale dell'interpretazione della normativa comunitaria in funzione dell'acclaramento della compatibilità, con la stessa, della normativa italiana in tema di riserva del lavoro portuale; e all'esito dell'esame della questione ha dichiarato incompatibile col correlato disposto degli art. 90, 48 e 86 del trattato Cee (per quel che qui rileva) la norma interna di uno Stato membro che conferisca ad un'impresa stabilita in tale Stato il diritto esclusivo d'esercizio delle operazioni portuali: vale a dire che ha dichiarato incompatibile con l'ordinamento comunitario la disciplina positiva italiana che riserva in esclusiva alle maestranze costituite in compagnie (o gruppi per i porti minori) portuali l'esecuzione delle operazioni di carico e scarico delle merci nell'ambito di un porto.
Ora, il logico sviluppo del dictum e della ratio della decisione porta ad affermare che, nel dettaglio (e per quel che rileva ai fini della soluzione del caso di specie), la dichiarazione di incompatibilità investe: a) le disposizioni di cui agli art. 110, ultimo comma, e 111, ultimo comma, c. nav. per le quali, in Italia, le operazioni di imbarco e sbarco, di deposito o di movimentazioni in generale di merci o di materiale nel porto sono riservate alle compagnie portuali; b) le disposizioni di cui agli art. 112 c. nav. e 203 regolamento navigazione marittima, nella parte in cui non prevedono che le autorità competenti debbano procedere all'omologazione delle tariffe per il lavoro portuale solo dopo aver accertato che le stesse siano state determinate sulla base di criteri semplificati e trasparenti e siano eque e proporzionate ai costi sopportati dalle imprese portuali per le operazioni di carico e scarico delle navi.
Tale interpretazione della portata della sentenza, del resto, ha trovato concorde la dottrina pressoché unanime. Inoltre, è stata fatta propria dal governo italiano, che, appunto, in esplicito ed espresso adempimento dei suoi conseguenti obblighi comunitari: sul piano amministrativo, ha emanato - previo conforme parere reso dal Consiglio di Stato, sezione II, il 13 maggio 1992 (id., 1992, III, 425) - la circolare 9 luglio 1992 n. 921; e poi, sul piano legislativo, il d.l. 19 ottobre 1992 n. 409, non convertito e successivamente più volte reiterato sempre, peraltro, senza essere mai convertito che prevedeva, appunto, l'abrogazione, tra le altre, delle predette disposizioni. Nello stesso senso, infine, depone il già richiamato art. 27, 8° comma, l. 89/94 che ha disposto l'abrogazione a decorrere dall'entrata in vigore della legge degli art. 110, ultimo comma, e 111, ultimo comma, c. nav.
Nel contempo, come è saldo principio, le statuizioni delle sentenze interpretative della Corte di giustizia della Cee pronunciate in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del trattato hanno diretta ed immediata applicazione nel nostro ordinamento interno e determinano l'effetto della «non applicazione» della legge nazionale dichiarata incompatibile con l'ordinamento comunitario col limite, peraltro, del rispetto dei principî fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e dei diritti ineliminabili della persona umana (v. Corte cost. 18 aprile 1991, n. 168, id., 1992, I, 660; 20 marzo 1985, n. 72, id., 1985, I, 1606).
Quindi, la sentenza della Corte di giustizia del 10 dicembre 1991 ha avuto quale effetto giuridico la non applicabilità da parte del giudice italiano, per quanto rileva nel caso di specie, dei precetti di cui agli art. 110, ultimo comma, e 112 c. nav., nonché dell'art. 203 del regolamento della navigazione marittima, e precludeva alla corte di Genova qualsiasi accertamento da condursi - come si pretende nei motivi in esame - sul presupposto della piena efficacia delle relative norme.
Ne discende - sia pure per questa diversa ragione, onde la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta in tale senso - la conformità a diritto della pronuncia del giudice del merito in ordine alla non applicabilità dei suddetti precetti del codice della navigazione e del regolamento marittimo stante il loro contrasto con l'ordinamento comunitario, nonché in ordine alla necessaria conseguente caduta del monopolio delle compagnie portuali e dei sistemi tariffari ancorati a quei precetti risulta conforme a diritto.
Rimane assorbita, conseguentemente, la questione relativa all'applicabilità dello ius superveniens costituito dal precetto di cui al già richiamato art. 27, 8° comma, l. 84/94 come modificato dall'art. 2, 28° comma, d.l. 535/96 convertito in l. 647/96, per il quale «l'art. 110, ultimo comma, e l'art. 111, ultimo comma, c. nav., sono abrogati. Salvo quanto previsto dall'art. 20, 4° comma, e dall'art. 21, 8° comma, sono altresì abrogati, a partire dal 19 marzo 1995, gli art. 108, 110, 1°, 2°, 3° e 4° comma, 111, 1°, 2° e 3° comma, 112 c. nav., nonché gli articoli contenuti nel libro I, titolo III, capo IV del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione (navigazione marittima) approvato con d.p.r. 15 febbraio 1952 n. 328».
I motivi, pertanto, devono essere respinti.
6. - La reiezione o l'inammissibilità di tutte le censure formulate nei motivi determina il rigetto del ricorso.