massime 
Sez.  L, Sentenza n.  23565  del  13 novembre 2007
Presidente: Ciciretti S.  Estensore: Picone P.  Relatore: Picone P.  P.M. Matera M. (Conf.)
Metro Metropolitana Roma Spa (Bagolan) contro Fornasiere ed altri
(Sentenza impugnata: Trib. Roma, 16 Giugno 2003)

 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICIRETTI Stefano - Presidente -
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere -
Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere -
Dott. PICONE Pasquale - rel. Consigliere -
Dott. STILE Paolo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MET.RO. METROPOLITANA DI ROMA S.P.A., (già CO.TRA.L./METROFERRO S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIBURTINA 770, presso lo studio dell'avvocato BAGOLAN LUCIANO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
FORNASIERE FERNANDA, SPINALI CARMINE, SPINALI SERGIO, SPINALI LOREDANA, SPINALI ENZA quali eredi di SPINALI SANTO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 12315/03 del Tribunale di ROMA, depositata il 16/06/03 R.G.N. 14255/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/07 dal Consigliere Dott. Pasquale PICONE;
udito l'Avvocato BAGOLAN LUCIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza di cui si chiede la cassazione, conferma, rigettando l'appello (principale) di Metroferro SpA, la decisione del Pretore di Roma n. 7765 del 17.1.1996, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità dell'esonero dal servizio dell'agente Spinali Santo, disposto con atto del 24.11.1988 ai sensi della L. n. 270 del 1988, art. 3; in parziale accoglimento dell'appello incidentale dello Spinali, condanna la Metroferro al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma corrispondente alle retribuzioni maturate dall'esonero dal servizio al compimento del 60^ anno di età.

2. In primo luogo, il Tribunale esclude che il lavoratore avesse accettato l'esonero, non risultando espressa una volontà in tal senso, ne' con la domanda di pensione del 5.12.1988, ne' con l'azione giudiziaria del maggio 1989 per il pagamento di differenze sul trattamento di fine rapporto, avendo comunque chiesto in data 9.8.1989 la reintegrazione nel posto di lavoro con ricorso ex art. 700 c.p.c. e, infine, iniziato la controversia con ricorso del 15.4.1992.

3. Accerta, quindi, in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 60 del 1991, l'insussistenza della fattispecie di assegnazione a mansioni inferiori per effetto di inidoneità allo svolgimento di quelle della qualifica, non avendo lo Spinali espletato compiti di mero "addetto al capolinea", ma inerenti al livello di inquadramento (il 7^) ed equivalenti a quelle di conducente di linea.

4. Riconosce, infine, riformando sul punto la sentenza di primo grado, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite dall'esonero dal servizio a compimento del 60^ anno di età e senza detrarre le somme ricevute nel periodo a titolo di pensione.

5. La cassazione della sentenza è chiesta da Met.Ro. - Metropolitana di Roma SpA (nuova denominazione della Metroferro SpA) con ricorso per tre motivi, ulteriormente precisati con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.; non hanno svolto attività di resistenza gli eredi di Santo Spinali, deceduto il 16.4.2000.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, unitamente a vizio della motivazione, per avere il Tribunale di Roma applicato la L. n. 270 del 1988, art. 3, nel testo risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 60 del 1991 (dichiarativa dell'illegittimità della norma nella parte in cui non esclude dal prepensionamento obbligatorio i lavoratori dichiarati inidonei alla qualifica di provenienza entro il 20 giugno 1986, i quali abbiano successivamente svolto mansioni equivalenti o superiori a quelle per le quali erano stati dichiarati inidonei), a rapporto che doveva ritenersi esaurito con il maturare del termine decadenziale di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6.

1.1. Il motivo è destituito di fondamento giuridico alla stregua del consolidato principio di diritto secondo il quale alla risoluzione del rapporto di lavoro del personale addetto a pubblici servizi di trasporto - attesa la specialità dello status di tale personale e della disciplina (R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A) del relativo rapporto, sia nella costituzione che nelle sue vicende - non è applicabile il termine per l'impugnazione del licenziamento previsto (a pena di decadenza) dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 (vedi Cass. 12 agosto 1994, n. 7398; 2 dicembre 1996, n. 10741).

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione di norme di diritto e vizio di motivazione per avere il Tribunale escluso che fosse stata prestata acquiescenza all'esonero, sebbene nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza costituzionale non vi fosse stata impugnativa del provvedimento di cessazione dal servizio, ovvero reclamo, ai sensi del R.D. n. 148 del 1931, art. 10, All. A, prescritto a pena di procedibilità dell'azione giudiziaria.

 2.1. Anche questo motivo è privo di fondamento.
La giurisprudenza della Corte è consolidata nel senso che il diritto potestativo del lavoratore subordinato di rassegnare le dimissioni (art. 1218 c.c.) non consente di dubitare del carattere disponibile delle decisioni relative alla continuazione del rapporto e, quindi, della piena validità ed efficacia della risoluzione consensuale (vedi per tutte Cass. 24 marzo 2004, n. 5940).

2.2. Secondo i principi generali, il fatto del consenso alla risoluzione può anche desumersi dal comportamento tenuto dal lavoratore, valutato significativo nella concorrenza di elementi che univocamente facciano presumere tale volontà, quali il lasso di tempo trascorso senza reazioni al recesso del datore di lavoro ed ogni altro indizio rivelatore, restando la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto affidata al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi della motivazione (Cass. 23554/2004, 13370/2003, 15628/2001; 11209/1997).

 2.3. La sentenza impugnata ha escluso che fosse provata, sulla base di elementi oggettivi, la fattispecie negoziale di risoluzione consensuale e tale accertamento si sottrae alle censure della ricorrente.
Non sono denunciati, specificamente, vizi di omessa o insufficiente considerazione di elementi decisivi sottoposti ritualmente allo scrutinio del giudice di merito.
Anche il controllo della coerenza logico-giuridica della motivazione conduce ad escludere i vizi dedotti, considerata la durata dell'inerzia - che la stessa ricorrente ammette rilevare solo a partire dalla pubblicazione della sentenza costituzionale - e la plausibilità logica della ritenuta non univocità dei comportamenti relativi alla domanda di pensione e al trattamento di fine rapporto.

2.4. Si è già detto, nell'esame del primo motivo, che l'esonero non doveva essere impugnato nel termine decadenziale di sessanta giorni. Quanto alla condizione di procedibilità della domanda giudiziale, rappresentata dalla proposizione del reclamo gerarchico, assorbe ogni altro rilievo il richiamo del principio di diritto secondo cui l'improcedibilità può essere rilevata dal giudice solo nella prima udienza di discussione in primo grado, restando altrimenti priva di rilievo ai fini delle successive fasi processuali (vedi per tutte Cass. 28 ottobre 2005, n. 21012).

3. Con il terzo motivo è censurata la statuizione relativa al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno. Si osserva che l'esonero era stato legittimamente disposto in base alla L. n. 270 del 1988, art. 3 e, anteriormente alla pubblicazione della sentenza costituzionale n. 60 del 1991, non era configurabile inadempimento imputabile ai sensi dell'art. 1218 c.c., ne' danni risarcibili ai sensi dell'art. 1223 c.c., nel periodo in cui era stato corrisposto il trattamento pensionistico.

3.1. Il motivo è fondato quanto al primo ordine di censure. Facendo applicazione dei principi generali allo specifico tema del lavoro autoferrotranviario, la giurisprudenza della Corte ha precisato che al lavoratore licenziato dal datore di lavoro sulla base di un potere di recesso previsto da una disposizione legislativa, della quale, successivamente al licenziamento, venga dichiarata l'illegittimità costituzionale, e che in conseguenza ottenga il riconoscimento giudiziale del diritto alla riammissione in servizio, qualora non risulti applicabile la normativa di carattere generale in materia di licenziamenti (di cui alla L. n. 604 del 1966 ed alla L. n. 300 del 1970, art. 18) e gli effetti del licenziamento debbano, pertanto, essere apprezzati secondo la disciplina civilistica dell'inadempimento, non compete il diritto al risarcimento del danno derivato dalla mancata percezione delle retribuzioni medio tempore maturate, sia che si riconduca il recesso datoriale all'inadempimento ex art. 1218 c.c., sia che lo si configuri come una fattispecie di mora credendi, atteso che per entrambi tali titoli di responsabilità difetta il presupposto dell'imputabilità, di modo che, se il diritto al risarcimento si riconoscesse, si farebbe luogo ad una responsabilità oggettiva. Deve, inoltre, escludersi che il diritto alle retribuzioni maturate medio tempore possa riconoscersi sotto il profilo che il rapporto dovrebbe considerarsi non interrotto de iure, atteso che il rapporto di lavoro subordinato è connotato dalla regola della corrispettività, in forza della quale non può esservi retribuzione se non vi è prestazione lavorativa, salvo che vi sia una deroga ad opera di una norma di legge, come ad esempio la L. n. 300 del 1970, art. 18 (Cass. 22 luglio 2004, n. 13731).

3.2. Lo stesso motivo di ricorso è invece infondato nella parte in cui censura la decisione negativa sulla richiesta di detrazione dell'aliunde perceptum indicato nel trattamento di pensione. Sul contrasto di giurisprudenza delineatosi sulla questione, vi è stato l'intervento delle Sezioni unite della Corte, che hanno escluso che il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite possa essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei ai comportamenti del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensano lucri cum demmo. Tale compensano, d'altra parte, non può configurarsi neanche allorché, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l'ammissione al trattamento previdenziale, sicché il rapporto fra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività, ne' allorché il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore (Cass., sez. un., 13 agosto 2002, n. 12194).

3.3. L'applicazione degli enunciata principi di diritto comporta che il diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite poteva essere riconosciuto allo Spinali soltanto con riferimento al periodo successivo alla pubblicazione della sentenza costituzionale n. 60 del 1991 e a decorrere dall'offerta della prestazione lavorativa (vedi Cass. S.u. 8 ottobre 2002, n. 14381), nella specie avvenuta solo con la notifica del ricorso al Pretore di Roma (come accertato nel giudizio di merito). In questi sensi va modificata la statuizione della sentenza impugnata decidendo la causa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1.

4. Le peculiarità della controversia e l'esito complessivo della lite giustificano la compensazione delle spese dell'intero processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo parzialmente accolto e, decidendo la causa nel merito, dichiara che il risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite compete allo Spinali per il periodo compreso tra la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e il compimento del sessantesimo anno di età; compensa le spese dei giudizi di merito e di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 26 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2007


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