dott. Roberto Masoni
Poste Italiane s.p.a. (avv. prof. V. Tavormina, A. Molè e R Pini) c. Daniele Malavasi, titolare dell'impresa individuale Discovogue di Daniele Malavasi (avv. G. Borelli e L. Gazzetti) - Got. it. s.r.1. (avv.G. Capelli, M. Consonni e M. Nobili) Registration Authority Italiana,Naming Authority Italiana e Consiglio Nazionale delle Ricerche
Il G.D.
A scioglimento della riserva assunta osserva quanto segue:
- con ricorso in data 28.6.2000 Poste italiane S.pA. ha promosso procedimento
cautelare ex art. 700 c.p.c. nei confronti di Daniele Malavasi, Got.it
s.r.l., della Naming Authority e del Consiglio Nazionale delle Ricerche
per ottenere l'inibitoria nei confronti del Malavasi all'utilizzo dei nomi
"bancoposta", "vaglia" e "raccomandata" e, più in generale di qualsiasi
termine comunque distintivo dell'immagine, dell'attività, dei prodotti
e dei servizi di Poste Italiane S.p.A., nonchè 1'inibitoria nei
confronti di Got.it e delle altre resistenti dal compimento di atti che
possano in qualche modo agevolare l'illecito posto in essere dal Malavasi,
con ordine alle medesime di impedire l'uso dei detti "domain names".
A giudizio della ricorrente, l'attivazione da parte del Malavasi dei
siti www. bancoposta.it, www. raccomandata.it e www. vaglia.it integrerebbe
attività di contraffazione e di illecita concorrenza, ai sensi degli
artt. 2598 n.1 c.c. e 1 e 13 l. marchi, avendo il resistente registrato
nomi a dominio corrispondenti al marchio notorio "bancoposta" ed ai marchi
di fatto "vaglia" e "raccomandata" di Poste italiane. Utilizzando tali
domain names Malavasi, secondo la ricorrente, sarebbe in grado di catturare
sui propri siti i navigatori di Internet, in realtà interessati
a connettersi con il sito di Poste italiane, con ciò ponendo in
esse una illecita confusione tra i due marchi.
DIRITTO
Va premesso che Internet costituisce una (tra le tante) rete di elaboratori
(anche detta la "regina delle reti") attraverso cui gli operatori cibernetici
possono colloquiare, scambiarsi informazioni e notizie.
Per permettere poi ai milioni di fruitori della rete di districarsi
in essa e di essere raggiunti da altri utenti, ognuno degli elaboratori
ha un proprio indirizzo elettronico, denominato indirizzo Internet (IP),
cd. indirizzo numerico, nonchè un altro indirizzo basato sul sistema
FQDN, che è fondato sui domini, il cui nome è assegnato dall'Authority
Name sulla base del principio "first came, first served".
Tale libertà di registrazione del nome a dominio ha favorito
l'insorgenza di un certo contenzioso (testimoniato dal numero di questioni
risolti dai tribunali) determinato soprattutto da quello che in America
è chiamato "cybersquatting" (da to squat=occupare) o "cybergrabbing"
(da to grab= agguantare, arraffare), ossia, il fenomeno di occupazione
abusiva di domini registrandoli, domini aventi una denominazione corrispondente
ad un marchio registrato o ad una denominazione di una società o
di un ente già esistente (molte volte dotato di una certa notorietà
presso il pubblico degli. utenti e consumatori), dovuto alla carenza di
una regolamentazione normativa. Per colmare la lacuna ordinamentale, il
Governo ha recentemente. approvato un disegno di legge contenente "Disposizioni
in materia di disciplina dell'utilizzazione di nomi per Identificazione
di domini Internet e servizi in rete". Allo stato, però, il fenomeno,
sempre che non costituisca un diverso illecito civile di diritto comune,
non sembra integrare una condotta illecita.
Il primo grande problema che, quindi, si è storicamente posto
in presenza di una contestazione giudiziale sul "naming" di un dominio
Internet, ed anche in questo caso la questione si ripropone, riguarda la
qualificazione giuridica più corretta da dare ad esso.
In assenza di normativa di governo, la giurisprudenza ha risposto al
quesito in modo non univoco.
Si è, infatti, affermato che il "domain name" andrebbe equiparato
alla "insegna", in quanto "il sito spesso configura di fatto il luogo virtuale
ove l'imprenditore contatta il cliente al fine di concludere con esso il
contratto" (cfr. Trib, Milano 10.6. e 22.7.1997-decidendo il caso Amadeus-Giur.
it. 1997, I, 2, 697; id Trib. Modena, 23.5.2000, inedita); oppure, conformemente
all'insegnamento della dottrina italiana e
della giurisprudenza americana (cfr. Court of the Northern District of
California 8.9.1997, Giur. it. 1998, I, 739) che, comunque, il conflitto
tra segno distintivo anteriore e domain name trovi disciplina nella
normativa sui segni distintivi (Cfr. Trib. Pescara 9.1.1997, Dir. informazione
e informatica, 1997, 952, nonché Trib Roma 2.8.1997, Foro it. 1998,-I,
923; Pret. Valdagno 27.5.1998, Giur. it. 1998, I, 2, 1875, nonchè
Trib. Vicenza 6.7.1998. Giur. it. 1998, I, 2342, confermativa della pronuncia
che precede, sul caso Peugeot; cui adde, da ultimo Trib. Reggio Emilia,
29.5.2000, inedita); oppure, ancora, sul diverso presupposto che il dominio
non sia equiparabile ad un segno distintivo, lo si è qualificato
mero "codice di acceso ai servizi telematici" (Trib. Bari 24.7.1996, Foro
it. 1997, I, 2316), oppure, sempre su questa linea, "indirizzo telematico"
(cfr. Trib. Firenze 29.6.2000. - sul caso Sabena - inedita).
Pur nella difficoltà di fornire una risposta appagante ad un
fenomeno non disciplinato legislativamente e solo di recente emerso nella
realtà, a chi scrive pare che la questione non possa ricevere una
risposta univoca, sempre uguale. Il nome del sito infatti, a secondo delle
circostanze del caso, potrà essere un mero indirizzo o numero di
telefono informatico (per quanto scelto capricciosamente dall'utente),
individuativo di un dato hardware della rete, oppure, in relazione
al contenuto ed alla configurazione del sito, potrà, invece avere
un senso applicare la normativa sui marchi equiparandoli ad un marchio
d'impresa.
E questa seconda soluzione sembra attagliarsi al caso in esame; non
sembra dubitabile che il sito del Malavasi, www. bancoposta.it, (unico
attivo dei tre presenti in internet, almeno per ora) possa essere qualificato
come "segno distintivo del prodotto o del servizio fornito dall'impresa".
Il Malavasi è infatti un "venditore di software" il quale esercita,
per sua stessa ammissione, un "business di domini Internet", avendo allestito
un'apposita "Borsa top-domin", ove egli mette in vendita al miglior offerente
alcuni "dominaim names" da lui stesso registrati (cfr. doc. 16 del ricorrente
riproduttivo del sito domini.discovogue.it ; attività questa illecita
in base all'art.1, lett. d) del citato disegno di legge governativo); l'esercizio
dell'informatica costituisce, poi, il cuore dell'attività svolta
dall'impresa del resistente (cfr. doc. 3 del resistente). In particolare,
poi, dal tenore della home page di "bancoposta.it", emerge il tipo di servizio
che l'impresa offre ai navigatori della rete, consistente in un servizio
dì consulenza per l'apertura di un nuovo conto corrente postale
a prezzi modici e per effettuare operazioni di pagamento di bollette ed
altro, "bancoposta" appunto.
In tal caso sembra corretto, perciò, che il domain name in questione
sia equiparato ad un segno distintivo dei prodotti che l'impresa produce
ed offre e soggiaccia, pertanto, alla regolamentazione contenuta nella
legge marchi.
Affinchè, poi, possa inibirsi al resistente l'utilizzo
dei siti in questione in base alla normativa richiamata è necessario
che il domain name (equiparato al marchio) appaia tutelabile alla stregua
di essa. Ebbene, i nomi che la ricorrente vorrebbe fossero oggetto di propria
privativa sono, come si è già ricordato, "bancoposta", "vaglia"
e "raccomandata". Termini ritenuti di esclusiva pertinenza delle Poste
italiane.
Ebbene, il termine vaglia designa "un titolo di credito" (da "valere")
che serve per trasferire fondi (cfr. il vocabolario Treccani, Conciso,
p.l861, nonché lo Zingarelli, p.1989) e lo stesso può
essere tanto postale, quanto bancario, che cambiario (anche detto pagherò;
art. 100 l. camb.). Il termine "raccomandata" (da "raccomandazione",
operazione con cui una lettera viene data in raccomandazione, pagandone
la relativa tassa, di raccomandazione, appunto) indica "il servizio postale
di invio di una lettera o di un plico pagando una speciale soprattassa
che dà diritto a speciali garanzie da parte dell'amministrazione
postale" (cfr. il conciso cit., 1335). Infine, il termine "bancoposta"
indica l'insieme dei servizi bancari gestiti dalle poste ed è formato
dalle parole generiche di banco e posta.
Come si vede, quelli oggetto di causa, sono espressioni generiche che
indicano servizi ed attività neppure tutte di esclusiva pertinenza
delle poste italiane (come nel caso del vaglia che può essere non
solo postale, ma anche cambiario e bancario), che, proprio perché
generiche ed ormai acquisite nel lessico e nella parola, sono di uso corrente
nella lingua italiana o per questa ragione i dizionari li hanno registrati.
E proprio quest'ultima circostanza è significativo sintomo e riprova
che non si tratti di sostantivi specificativi di un servizio o di un prodotto
su cui alcun soggetto possa vantare un diritto di privativa esclusiva,
in quanto si tratta, piuttosto, di espressioni generiche, di uso ormai
corrente, indicative di servizi o prestazioni di per sé privi
di capacità individualizzante e distintiva del fornitore di essi.
D'altra parte, in linea puramente astratta, un caso analogo potrebbe
presentarsi per il sito denominato www. bonifico.it (dal Malavasi registrato
e messo in vendita. assieme ad altri, tra cui "vaglia"; cfr. doc. 18 del
ricorrente) nel caso in cui uno o più istituti di credito
pretendesse di inibirgliene l'utilizzo sul presupposto di godere di un
proprio diritto esclusivo su tale denominazione, perché descrittiva
di un'operazione di esclusiva competenza bancaria. O, analogamente, in
caso di apertura di un sito denominato "posta pneumatica" o "elettronica".
Simili pretese risulterebbero, però, come in questo caso, in contrasto
con l'art. 18 l. marchi che vieta di rendere oggetto di marchio d'impresa
"i segni distintivi costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche
di servizi o prodotti o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono".
In tal caso, il preteso marchio, risultando privo di capacità distintiva
non è, pertanto, tutelabile, in quanto non confondibile.
Né a diversa soluzione si perverrebbe considerando il marchio
in questione dotato di "notorietà non puramente locale" (artt. 9
e 17 lett. b l.marchi), come si sostiene ex adverso.
Sarebbe, infatti, tutta da dimostrare l'acquisita notorietà
in ambito nazionale di un siffatto marchio non registrato (quantomeno con
riferimento al termine "bancoposta").
Ma le doglianze di Poste italiane spiegate contro il Malavasi risultano
infondate anche sub specie dello svolgimento, da parte di quest'ultimo,
di attività concorrenziale confusoria (art. 2598 n. c.c.).
L'adozione di segni distintivi confondibili con quelli di un altro
imprenditore è tutelabile sul presupposto che gli stessi abbiano
capacità identificativa specifica, siano cioè in grado di
identificare il prodotto o il servizio; in caso contrario, viene meno la
stessa possibilità di confusione tra prodotti.
Il relativo ricorso proposto da Poste italiane, in quanto infondato,
va perciò, rigettato.
Al rigetto del ricorso proposto nei confronti del Malavasi, consegue,
logicamente anche il rigetto della domanda proposta nei confronti degli
altri soggetti evocati in giudizio a vario titolo, tanto Got.it s.r.1.,
quanto Registration Authority, che Naming Authority Italiana, che il Consiglio
Nazionale delle Ricerche, questi ultimi tre non si sono costituiti in giudizio.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M
- visto l'art. 700 c.p.c.
1. rigetta il ricorso.
2. dichiara tenuta e condanna la ricorrente al rimborso a favore di
Malavasi Daniele delle spese della presente procedura che sono liquidate
in complessive £. 12.900.000 (di cui £ 300.000 per anticipazioni;
£ 1.300.000 per diritti, £. 10.000.000 per onorario ed il residuo
per spese generali), oltre ad IVA e CAP, come per legge.
3. dichiara tenuta e condanna la ricorrente al rimborso a favore di
Got. it. s.r.1. delle spese della presente procedura che sono liquidate
in complessive £. 11.600.000 (di cui £. 300.000 per anticipazioni;
£ 1.300.000 per diritti; £. 10.000.000 per onorario), oltre
ad IVA e CAP, come per legge.
Modena, 28.7.2000