Diritto dei trasporti
2018
II
pag. 453

ENZO FOGLIANI 
Sulle sanzioni disciplinari per istruttore di vela e mediatore del diporto.

 
Il Decreto Legislativo 3 novembre 2017, n. 229, che è intervenuto sul Decreto Legislativo 18 luglio 2005, n. 171 e le sue successive modifiche, ha istituito le figure professionali del mediatore della nautica da diporto e dell'istruttore di vela. A ciascuna di esse sono dedicati due interminabili articoli (rispettivamente 49 ter e quater, e 49 quinquies e sexies), una parte dei quali si occupa delle sanzioni disciplinari.

Buona parte delle relative norme sono pressoché testualmente identiche, salvo minime differenze terminologiche non sostanziali (ad esempio, per il mediatore si parla di inibizione perpetua dell'attività laddove per l’istruttore di vela si parla di radiazione); talché ci si chiede se non fosse più agevole organizzarle diversamente, in modo da non ripetere tali e quali quattro lunghissimi commi pressoché identici.

Ma al di là di queste osservazioni – che sono solo una minima parte di quelle che si potrebbero fare alla tecnica legislativa che ha presieduto alla riforma del codice della nautica da diporto – ve ne sono alcune di carattere sostanziale che lasciano seri dubbi sul fatto che il legislatore, in questa occasione, abbia seriamente approfondito la tematica che andava a regolamentare e non abbia invece semplicemente fatto un copia e incolla da altre norme (per esempio, dai pressoché identici artt. 18, 19 e 20 della Legge 12 marzo 1968, n. 478, Ordinamento della professione di mediatore marittimo), senza verificare se fossero o meno da aggiornare, se non altro alla specifica materia. 

In particolare, le norme sull’istruttore di vela appaiono semplicemente copiate da quelle sul mediatore del diporto, senza una analisi critica dei diversi reati che gli stessi potrebbero compiere. Ad esempio, le identiche lettere “d” degli articoli 49-quater, comma XI e 49-sexies, comma IX, prevedono entrambe rispettivamente la inibizione perpetua dell'attività e la radiazione per condanne per delitto contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, l'economia pubblica, l'industria e il commercio, il patrimonio, per esercizio abusivo della mediazione e per ogni altro delitto non  colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni, salvo che sia intervenuta la riabilitazione. L’introduzione della radiazione per condanne per esercizio abusivo della mediazione può avere un senso per il mediatore del diporto; un po’ meno, forse, per l’istruttore di vela.

Oltre a questa stonatura, che può semplicemente essere considerata una curiosa peculiarità, vi sono nella pedissequa riproduzione delle norme sul mediatore da diporto in quelle dell’istruttore di vela alcune carenze ben più gravi. Non è previsto nelle identiche lettere “d” degli articoli 49-quater, comma XI e 49-sexies, comma IX, il delitto di cui all’art. 450 c.p. (Chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di un disastro ferroviario, di un'inondazione, di un naufragio, o della sommersione di una nave o di un altro edificio natante, è punito con la reclusione fino a due anni), che probabilmente potrebbe invece essere a buon titolo introdotto per le ipotesi di radiazione dell’istruttore di vela. Si noti, al riguardo, che per tale delitto non è neppure stata prevista la sospensione obbligatoria, e che l’applicazione di quella facoltativa potrebbe essere al massimo appena della metà della pena inflitta al condannato.

Parimenti, non sono previsti come condizione per la radiazione i delitti contro l’ambiente (titolo IV bis del codice penale, introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 22 maggio 2015, n. 68 a partire dal 29 maggio 2015). In questo caso solo i più gravi (p. es. il disastro ambientale di cui all’art. 452-quater) conducono alla radiazione, ma solo in virtù della norma di chiusura che commina la radiazione per i delitti non colposi con pena massima non inferiore a cinque anni.

Infine, si osserva che le case di cura e custodia (citate alle identiche lettere “e” degli articoli 49-quater, comma VIII e 49-sexies, comma VI) e gli ospedali psichiatrici giudiziari (citate alle identiche lettere “d” dei suddetti articoli) sono stati definitivamente chiusi al 31 marzo 2015 e sostituiti dalla Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) come disposto dal d. l. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito in legge 17 febbraio 2012, n. 9, e da ultimo dal d.l. 31 marzo 2014, n. 52, convertito con modificazioni dalla l. 30 maggio 2014, n. 81. E’ vero che il legislatore non si è mai preoccupato di modificare formalmente le dizioni degli artt. 219 e 222 c.p. (quest’ultima ancora oggi ferma alla dizione “manicomio giudiziario”); ma dato che in questa norma del codice della nautica da diporto è riportata la corretta dizione esistente prima del d.l. 211/2011 (ospedale psichiatrico giudiziario), ciò appare un indizio a favore del sospetto che la norma diportistica non sia stata approfonditamente valutata, ma semplicemente scopiazzata da qualche altra senza particolari verifiche, e comunque non rivista da almeno prima del 2015.

Ovviamente, a quanto precede potrà essere replicato che l’includere l’uno o l’altro reato, così come usare una terminologia desueta, rientri fra la scelte del legislatore. Ma altrettanto legittimamente il cittadino, che tale “legislatore” paga con le proprie tasse, potrebbe pretendere che leggi che vanno ad incidere su oltre 60 milioni di italiani siano redatte con un po’ più di logica ed approfondimento su temi sostanziali, tralasciando magari cose ovvie e lapalissiane, quali le affermazioni che l’istruttore di vela insegna “a persone singole e a gruppi dì persone” e che la vela si pratica “in mare, nei laghi e nelle acque interne” (art. 49-quinquies, II comma).


Enzo Fogliani.



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