IL NUOVO SISTEMA DI ASSICURAZIONE
E DI RESPONSABILITÀ PER CREDITI MARITTIMI.[*]
ABSTRACT
With regard to the system of limitation of the ship owners
debts, Italy remained, for decades, anchored to the system regulated by
the Navigation Code. Meanwhile, at the international level and within
the EU, there were normative changes which Italian legislation never
adopted. The legislator endeavoured to put an end to these gaps with
the law decree no. 111/2012 which incorporated, albeit partially, the
topics contained in LLCM and in EC Regulation 2009/392, purporting to
summarize their most important aspects. However, rather than
harmonizing the national legislation with the EU and the international
norms, the text of the decree has created significant problems in the
effective implementation of those rules, therefore making desirable a
new intervention in the matter.
La limitazione della responsabilità dell’armatore
è istituto tradizionale nella navigazione marittima, di cui
si ha traccia sin da fonti medioevali. Esso nasce
dall’esigenza di stabilire un sistema d’imputazione
dei fatti del comandante e dell’equipaggio correlato da un
sistema che ne limitasse gli effetti (1). In particolare, il nostro codice
della navigazione disciplina la limitazione del debito
dell’armatore (2) all’art. 275 stabilendo
che l’armatore può limitare il debito complessivo
delle obbligazioni contratte in occasione e per i bisogni di un
viaggio, e per le obbligazioni sorte da fatti o atti compiuti durante
lo stesso viaggio (3), ad una somma pari al valore della
nave e all’ammontare del nolo e di ogni altro provento del
viaggio stesso. Sono escluse invece dalla limitazione le obbligazioni
derivanti da proprio dolo o colpa grave.
Prima di ogni ulteriore specificazione in merito al sistema di
limitazione, merita lettura il dettato dell’art. 622 c. nav.
— inserito nella parte processualistica del codice
— il quale specifica i criteri per la determinazione del
valore della nave ai fini del computo della limitazione. A tal fine, il
legislatore individua il valore della nave nel suo valore commerciale,
da assumersi in quello risultante dalla polizza o, in mancanza, dalle
risultanze del Registro italiano navale, tenendo conto inoltre delle
pertinenze risultanti dall’inventario di bordo. In
particolare, occorre tuttavia evidenziare che le risultanze della
polizza assicurativa non assumono valore assoluto ai fini della
determinazione del limite di cui l’armatore beneficia, ben
potendo il giudice della procedura di limitazione azionata disporre
anche d’ufficio accertamenti tecnici per la revisione del
valore dichiarato (4).
Sempre sotto il profilo processualistico, per l’attuazione
della limitazione del debito dell’armatore è
previsto, analogamente alla procedura fallimentare, un procedimento
imperniato sul principio concorsualistico (art. 620-642 c. nav.), la
cui instaurazione si attiva su domanda dell’armatore
interessato
il quale propone ricorso al giudice competente (5) nelle modalità di cui
all’art. 621 c. nav. (6). Una volta accertata con sentenza
l’esistenza degli estremi di legge, si apre il procedimento
di limitazione in virtù del quale sono sospesi e divengono
improcedibili gli atti esecutivi sui beni dell’armatore per
le obbligazioni di cui all’articolo 275 c. nav. Entro tre
giorni dalla sentenza di apertura del procedimento l’armatore
deve depositare la somma limite, nonché
un’ulteriore congrua somma a copertura delle spese del
procedimento (7) .
Vengono quindi formati lo stato attivo e lo stato passivo e, decorsi i
termini per le impugnazioni ovvero formato il nuovo stato passivo a
seguito di dette impugnazioni, è predisposto il piano di
riparto e, una volta divenuto definitivo, il giudice provvede
all’emissione del mandato di pagamento a favore dei creditori.
Chiarita in via generale la procedura di limitazione nei termini di cui
sopra, occorre sottolineare che il procedimento di limitazione del
debito dell’armatore è un procedimento concorsuale
autonomo, tanto che l’eventuale fallimento
dell’armatore, dichiarato successivamente al decorso del
termine fissato per l’impugnazione dello stato attivo o al
passaggio in giudicato della sentenza che respinge le impugnazioni, non
estingue il procedimento di limitazione. Infatti, come anche il
legislatore si è premurato di disciplinare, le somme
depositate per il procedimento di limitazione non vengono comprese
nella massa fallimentare attiva e, al contempo, i creditori soggetti
alla limitazione non partecipano al concorso sul patrimonio del fallito
(art. 639 c. nav.) (8). Il meccanismo di
funzionamento di questo sistema ha portato la migliore dottrina a
ritenere che si tratti, più che di un sistema di limitazione
del debito — come si esprime la norma — di un
sistema di limitazione della responsabilità (9).
Ciò sul presupposto che la limitazione del debito abbia per
effetto unicamente la riduzione del corrispondente credito entro i
limiti di una determinata somma dovuta dal debitore (che
però continua a risponderne con tutto il suo patrimonio),
mentre la limitazione di responsabilità venga intesa come
separazione di una parte del patrimonio del debitore sulla quale si
possono soddisfare i creditori.
2. La normativa internazionale e comunitaria
Quello sopra delineato è, dunque, il sistema di
limitazione della responsabilità dell’armatore
così come disciplinato dal nostro codice della navigazione
del 1942.
In sede internazionale, il principio della limitazione del debito
dell’armatore è stato recepito in alcune
convenzioni internazionali, la prima delle quali è stata la
Convenzione sulla limitazione della responsabilità dei
proprietari di navi di Bruxelles del 25 agosto 1924, seguita da una
successiva convenzione, avente lo stesso oggetto e adottata sempre a
Bruxelles il 10 ottobre 1957.
L’attuale impianto normativo internazionale è
però basato sulla Convenzione di Londra del 17 novembre 1976
sulla limitazione di responsabilità per crediti
marittimi, conosciuta anche come LLMC, emendata vent’anni
dopo con il Protocollo di Londra del 2 maggio 1996 (10).
Nessuna di queste convenzioni internazionali né tantomeno
quelle precedenti sono mai state ratificata dall’Italia, che
è sempre rimasta ancorata al suo sistema di limitazione del
debito dell’armatore sopra delineato.
Alle convenzioni sulla limitazione del debito armatoriale sopra citate
ed aventi contenuto di carattere generale si sono affiancate altre
convenzioni di settore che hanno stabilito, nei diversi ambiti della
navigazione marittima, limitazioni di responsabilità che si
diversificavano, sotto taluni aspetti, dalla LLMC. Al riguardo, sono
intervenute la Convenzione internazionale del 1992 sulla
responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento
di idrocarburi, nonché la Convenzione del 1996 sulla
responsabilità e l’indennizzo per i danni causati
dal trasporto via mare di sostanze nocive e potenzialmente pericolose,
la Convenzione del 2001 sulla responsabilità civile per i
danni derivanti dall’inquinamento determinato dal carburante
delle navi, la Convenzione del 2007 sulla rimozione dei relitti ed,
infine, il reg. (CE) n. 392/2009 relativo alla
responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via
mare, che ha sostanzialmente adottato le norme della Convenzione di
Atene del 1974 con le modifiche del 2002. In linea generale, tali
convenzioni sulla navigazione marittima hanno accompagnato le relative
limitazioni di responsabilità ad obblighi assicurativi che
garantissero l’effettività del risarcimento agli
aventi diritto.
Infatti, nella LLMC non era — e tuttora non è
— previsto l’istituto dell’assicurazione
obbligatoria, motivo per cui l’Unione europea, con dir.
2009/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009
sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi, ha
sostanzialmente disposto che per le responsabilità
armatoriali previste dalla Convenzione di Londra sui crediti marittimi
(come modificata dal Protocollo del 1996) vi sia un obbligo di
assicurazione da parte dell’armatore e degli altri soggetti
che possono usufruire della limitazione di responsabilità.
La direttiva peraltro, al proprio art. 9, imponeva agli Stati membri di
adeguare la propria legislazione interna alle sue disposizioni entro il
31 dicembre 2011.
3. Il tentativo italiano di adeguamento alla normativa
internazionale e comunitaria
In un tale contesto di continuo fermento normativo a livello
internazionale, lo Stato italiano è apparso assolutamente
latitante, non avendo mai provveduto a ratificare la Convenzione di
Londra del 1976 nel suo testo consolidato nel 1996. Tali mancanze hanno
posto l’Italia in una situazione di grave isolamento non solo
in ambito internazionale, ma soprattutto in ambito europeo. La
direttiva del 2009, infatti, ha dato per scontato, ponendolo come
presupposto, che gli Stati membri dell’Unione avessero
già ratificato sia la Convenzione di Londra del 1976 sia il
successivo Protocollo di modifica del 1996; cosa che l’Italia
invece non ha mai fatto.
Con l. 23 dicembre 2009 n. 201 (11) il Parlamento italiano
aveva tentato di intervenire nel settore, autorizzando
l’adesione al Protocollo di modifica della Convenzione del
1976 sulla limitazione della responsabilità in materia di
crediti marittimi, adottato a Londra il 2 maggio 1996, ed aveva
delegato il governo ad adottare entro sei mesi dall’entrata
in vigore della legge uno o più decreti legislativi diretti
all’attuazione della Convenzione del 1976 come emendata dal
Protocollo. La delega prevedeva peraltro il mantenimento del
procedimento di limitazione con il carattere di
concorsualità già previsto nel codice della
navigazione.
Tuttavia, nei sei mesi dall’entrata in vigore della legge,
ossia entro il 10 giugno 2010, nulla di quanto delegato
è stato posto in essere. Non solo. Il termine del 31
dicembre 2011, entro il quale la normativa nazionale doveva essere
adeguata alla direttiva comunitaria disponendo quanto necessario
all’attuazione dell’assicurazione obbligatoria
della limitazione del debito dell’armatore, è
trascorso invano.
Soltanto con il d.lg. 28 giugno 2012 n. 111 (12), lo Stato italiano ha
posto fine alla sua inerzia nel settore, cercando in tale modo di venir
meno al suo lassismo in materia.
Il decreto reca specificatamente norme sull’assicurazione
degli armatori per i crediti marittimi e consta di dodici articoli che
mirano ad introdurre l’istituto della assicurazione
obbligatoria della responsabilità armatoriale per i crediti
marittimi indicati nell’art. 4 del decreto stesso (art. 1).
Tale obbligatorietà, come l’intera disciplina
contenuta nel decreto, si applica alle navi di bandiera italiana e alle
navi di bandiera estera di stazza lorda pari o superiore alle trecento
tonnellate che entrino nei porti o che transitino nelle acque
territoriali italiane (art. 3 e 6).
L’art. 4, come detto, enumera i crediti ai quali si riferisce
l’assicurazione armatoriale in questione e ricalca
pedissequamente i casi indicati all’art. 2 della
LLMC (13); casi che, in
quest’ultimo ambito, sono tuttavia individuati al fine
esclusivo di operatività del sistema di limitazione
dell’armatore. Successivamente, l’art. 5 del
decreto detta le ipotesi in cui invece non è richiesta
l’assicurazione obbligatoria della responsabilità
armatoriale, riproponendo quasi specularmente quelle di cui
all’art. 3 della LLMC, per cui valgono le osservazioni appena
esposte in merito all’art. 2 della Convenzione (14).
Inoltre, gli art. 7 e 8 stabiliscono — sulla falsariga degli
art. 6 e 7 della LLMC — i limiti della
responsabilità armatoriale per i crediti derivanti dallo
stesso evento, mentre l’art. 11 detta le misure da attuare in
caso di violazione degli obblighi di assicurazione disciplinati dal
decreto in questione.
Essendo questi i tratti salienti del contenuto del d.lg. 111/2012,
appare evidente che, invece di fronteggiare la lacuna normativa in cui
versava il nostro Paese, tale intervento legislativo ha, al contrario,
creato un impasse non di poco conto.
Infatti, con il decreto sono state dettate alcune norme, peraltro
contenute soltanto in una dozzina di articoli, che, piuttosto che
adeguare concretamente l’ordinamento italiano alla normativa
europea ed internazionale, sembrano avere semplicemente sconvolto
l’attuale sistema normativo che, seppur antiquato, aveva
comunque una sua completezza sistematica.
Un risultato diverso non si sarebbe potuto comunque aspettare
considerato che, come detto, la direttiva europea presupponeva che gli
Stati membri avessero già recepito la Convenzione sui
crediti marittimi del 1976 e le successive modifiche. Pertanto,
è ben comprensibile che dare attuazione ad una direttiva che
sottende l’avvenuto recepimento di altre normative comporta
non poche problematiche di effettiva attuazione se, al contrario,
ciò non si è mai verificato. Problematiche,
dunque, cui l’Italia si trova ancorata, essendo intervenuta
in materia senza introdurre previamente nel proprio ordinamento la
normativa convenzionale internazionale posta quale substrato di quella
europea da attuare.
Pertanto, per quanto i redattori del decreto legislativo abbiano
compiuto notevoli sforzi per redigere un testo che riuscisse a far fede
agli impegni europei e, al contempo, a colmare il vuoto normativo nei
termini sopra esposti, le norme attualmente in vigore nel nostro
ordinamento destano pressoché unanimi
perplessità, anche perché le soluzioni adottate
non appaiono comunque le migliori astrattamente ipotizzabili (15).
Concentrando l’attenzione sul dettato normativo del decreto
legislativo, si palpano quasi con mano le difficoltà
createsi al fine di sintetizzare in un unico intervento legislativo le
discipline comunitarie ed internazionali. Per far fronte alle carenze
normative, si è tentato di arginare le macroscopiche lacune
attuando una sorta di sintesi tra gli aspetti salienti della
Convenzione del 1976, da un lato, e quelli dell’assicurazione
obbligatoria della direttiva, dall’altro.
Tuttavia, ad un occhio vigile, non sfugge come il tentativo —
per quanto apprezzabile — non ha condotto al risultato
sperato. Infatti, gli oltre venti articoli della Convenzione e la
decina di articoli della direttiva mal si conciliavano ad essere
sintetizzati nella dozzina di articoli di cui è composto il
decreto legislativo.
A dire il vero, piuttosto che di sintesi, i redattori hanno riportato
interamente soltanto alcuni articoli della Convenzione e soltanto
alcuni della direttiva. Ciò probabilmente in quanto i
redattori del decreto, consci del vuoto normativo e delle problematiche
concernenti, hanno cercato di arginare le possibili discrasie che
l’intervento normativo interno avrebbe potuto comportare con
la normativa internazionale ed europea e, pertanto, hanno preferito
evitare di riformulare le normative da adottare riproponendole come
dettate dal legislatore europeo ed internazionale (16).
Tuttavia, il risultato ottenuto dal promiscuo utilizzo di soltanto
alcune norme della Convenzione e di soltanto alcune norme della
direttiva europea è stato un sistema normativo parziale ed
oltremodo scoordinato, ove le limitazioni di responsabilità
e gli obblighi assicurativi vengono disposti in modo incompleto ed
asistematico. Infatti, il mancato recepimento di norme di primaria
importanza contenute nella Convenzione sui crediti marittimi ne snatura
di fatto la sostanza, rendendo la normativa italiana significativamente
diversa da quella internazionale, contrariamente a quanto fosse invece
nell’intento dei redattori del decreto (17).
Ciò risulta evidente dagli art. 7 e 8 del decreto
legislativo i quali, pur ponendo limiti di responsabilità
armatoriali analoghi a quelli previsti dalla Convenzione (18),
attuano un sistema significativamente diverso da quello voluto a
livello internazionale. Manca infatti nel decreto di attuazione
l’esclusione del beneficio della limitazione di
responsabilità nel caso in cui il danno sia stato prodotto
con dolo o colpa temeraria con previsione dell’evento (art. 4
della Convenzione). La norma dovrebbe quindi ritenersi incostituzionale
nei limiti in cui non prevede tale esclusione, per gli stessi motivi
per i quali nel 2005 fu dichiarato incostituzionale l’art.
423 c. nav. laddove anch’esso, nel settore del trasporto, non
prevedeva la superabilità dei limiti nel caso di dolo o
colpa grave del vettore.
Ma non è tutto. I problemi generati dal parziale recepimento
delle normative della Convenzione e della direttiva concernono anche
ulteriori e non secondari aspetti. La Convenzione sui crediti
marittimi, infatti, oltre che quantificare i limiti di
responsabilità, si preoccupa anche di definire quali siano i
crediti soggetti a limitazione (art. 2) e quali siano invece i crediti
esclusi dalla stessa (art. 3). Nel decreto legislativo italiano i due
articoli sono traslati rispettivamente nell’art. 4 e
nell’art. 5 utilizzando essenzialmente il medesimo testo
della Convenzione e la casistica lì enumerata;
quest’ultima, tuttavia, è stata utilizzata non per
individuare quali siano o meno i crediti soggetti a limitazione,
bensì per stabilire quali crediti siano soggetti o meno
all’assicurazione obbligatoria.
Ciò crea un’evidente differenza sostanziale fra il
regime italiano ed il regime convenzionale. Infatti, ciò
comporta nell’ordinamento interno il necessario collegamento
fra la tipologia di crediti soggetti alla limitazione ed i limiti di
responsabilità previsti. In altre parole, la lettura del
decreto legislativo condurrebbe a ritenere che tutti i crediti
marittimi siano soggetti ai limiti di responsabilità
previsti dagli art. 7 ed 8, ma solo quelli indicati all’art.
4 siano soggetti all’assicurazione obbligatoria.
È appena il caso di rilevare che ben diverso
è il quadro normativo risultante dalla Convenzione sui
crediti marittimi e dalla direttiva comunitaria. Secondo
quest’ultima, l’assicurazione è
obbligatoria solo per i crediti soggetti a limitazione (come indicati
dalla Convenzione: art. 4, punto 3, della direttiva) e non per quelli
esclusi dalla limitazione, in quanto ad essi non si applicano le norme
della Convenzione stessa (art. 5).
Quanto finora esposto rappresenta soltanto una parte della problematica
più rilevante ed immediata che solleva la normativa
introdotta dal d.lg. 111/2012; le discrasie con la normativa
internazionale e comunitaria, infatti, concernono anche ulteriori
profili. In primo luogo, il decreto legislativo dà una
definizione di assicurazione molto più limitata di quella
prevista dalla direttiva. Quest’ultima infatti comprende
esplicitamente anche le coperture fornite dai P&I Clubs,
nonché altre forme effettive di assicurazione, inclusa
l’auto assicurazione comprovata e garanzie finanziarie che
offrono condizioni di copertura analoghe. Ci si chiede pertanto se la
mancata precisazione di tali ulteriori forme di copertura assicurativa
debba intendersi quale specifica volontà di escludere le
forme assicurative atipiche non espressamente indicate; il che
creerebbe notevoli problematiche con riguardo specialmente alle navi
straniere.
Sotto altro aspetto, l’introduzione dei limiti di
responsabilità in un decreto che si occupa
dell’obbligo assicurativo fa sì che per la
normativa italiana vi sia coincidenza fra i soggetti aventi titolo alla
limitazione e soggetti obbligati all’assicurazione. Cosa che
invece non si registra nella normativa internazionale. Mentre, infatti,
tenuto all’assicurazione è l’armatore,
definito come il proprietario registrato di una nave marittima o
qualsiasi altra persona quale noleggiatore a scafo nudo, che sia
responsabile della conduzione della nave, soggetto beneficiario della
limitazione secondo la Convenzione LLMC, può essere
l’owner, il charterer, il manager e l’operator di
una nave marittima.
Infine, è da sottolineare che la formulazione adottata nel
decreto legislativo in esame condanna lo stesso a divenire obsoleto nel
breve giro di neppure un anno. Già la risoluzione IMO del 19
aprile 2012 (data — si noti — anteriore a quella
del d.lg. 111/2012) ha deliberato l’aumento dei limiti di
responsabilità previsti dal Protocollo del 1996 a partire
dal 19 aprile 2015. Se per tale data l’Italia non
avrà ratificato il Protocollo, per adeguare i limiti di
responsabilità armatoriale sarà necessario un
nuovo e specifico intervento legislativo a modifica del d.lg. 111/2012.
Visti i precedenti in tema, è lecito dubitare che il
legislatore intervenga al riguardo con tempestività.
Oltre a quanto finora esposto, le problematiche sollevate dal d.lg.
111/2012 concernono anche — e soprattutto — la
procedura per l’attivazione della limitazione del debito
dell’armatore.
Come accennato inizialmente, il codice della navigazione prevede uno
specifico procedimento concorsuale per attuare la limitazione.
Tuttavia, per effetto della normativa introdotta con il decreto che ha
modificato l’art. 275 c. nav., tale procedimento
rimarrà applicabile soltanto alle navi di stazza lorda
inferiore alle 300 tonnellate. Intervenendo in tal modo,
però, il legislatore ha completamente privato il nostro
ordinamento di un procedimento per la limitazione del debito per le
navi superiore alle 300 tonnellate. Infatti, mentre a livello
internazionale per navi di tale stazza si applica il sistema di
limitazione contenuto nel Protocollo di Londra del 1996,
l’Italia non può beneficiare di tale normativa e
della procedura ivi prevista, non avendovi mai aderito.
Per superare tale impasse, l’Italia neppure può
ricorrere in via analogica al sistema previsto dal codice della
navigazione. Infatti, il ricorso a tale norma, sotto il profilo
formale, è oggi — come detto —
espressamente precluso dalla modifica di cui all’art. 275 c.
nav. intervenuta in virtù dell’art. 12 del decreto
stesso.
Inoltre, sotto l’aspetto sostanziale, il sistema di
limitazione di responsabilità previsto dalla Convenzione sui
crediti marittimi contiene significative differenze rispetto a quello
del codice della navigazione tanto da rendere piuttosto ardua
l’applicazione della procedura nazionale. Tanto
ciò è vero, che la legge n. 201/2009, oltre ad
aver (inutilmente) autorizzato la ratifica del Protocollo del 1996,
aveva previsto anche la delega al Governo per la predisposizione di un
nuovo procedimento di limitazione della responsabilità
dell’armatore che si adeguasse al sistema posto dal
Protocollo di Londra del 1996.
Alla luce di quanto esposto, pertanto, si rileva non soltanto che il
sistema introdotto dal d.lg. 111/2012 è caratterizzato da
un’assoluta asistematicità e, comunque, da una
significativa divergenza dal sistema comunitario ed internazionale, ma
è privo addirittura degli strumenti e le norme procedurali
che possano renderlo effettivo.
L’unica vera soluzione radicale delle problematiche
affrontate sarebbe quella di reiterare la legge n. 201/2009 e non solo
ratificare il Protocollo di Londra del 1996, ma anche predisporre in
tempi brevi le norme procedurali necessarie a dare attuazione alla
limitazione del debito dell’armatore. Ma visti i tempi, si
tratta di un auspicio che non appare facilmente realizzabile.
Note:
1. Sull’argomento, in generale, cfr. M. FOSCHINI,
La limitazione del debito dell’armatore nella sua attuazione,
Milano, 1974; F. BERLINGIERI, Responsabilità
dell’armatore e relativa limitazione, in Il cinquantenario
del codice della navigazione (a cura di L. Tullio-M. Deiana), Cagliari,
1993, 164 ss.; F. BERLINGIERI, Responsabilità
dell’armatore e sua limitazione nella navigazione interna, in
Dir. mar. 1990, 253 ss.
2. Non è pacifica la circostanza che il sistema
adottato dal codice sia di limitazione del debito ovvero di limitazione
di responsabilità. A favore della prima, S. FERRARINI,
L’impresa di navigazione, I, Milano, 1945, 59; E. GARBAGNATI,
La funzione del processo di limitazione del debito
dell’armatore, in Riv. dir. proc. civ. 1946, I, 24; F.M.
DOMINEDÒ, Principi del diritto della navigazione, I, Padova,
1957, 159. A favore della limitazione
di responsabilità, E. SPASIANO, La limitazione di
responsabilità dell’armatore, in Riv. trim. dir.
proc. civ. 1962, 1388; M. FOSCHINI, La limitazione del debito
dell’armatore nella sua attuazione, Milano, 1974, 4.
3. Degne di nota le considerazioni di F. BIANCA, Su un caso di
disapplicazione della limitazione della responsabilità
dell’armatore, in Dir. trasp. I/1991, 212 ss., ove
l’autore sottolinea come l’art. 275 c. nav., nella
regolamentazione del sistema di limitazione, non fa riferimento ai
sinistri marittimi, ma a generiche obbligazioni, di cui i sinistri
marittimi non costituiscono altro se non una delle fonti. Tale
articolo, pertanto, regola qualsiasi obbligazione, contrattuale o
extracontrattuale che sia, purché riferita al
viaggio.
4. Cfr. art. 628 e 630 c. nav. Sulla presunzione, salva la
prova contraria, del valore indicato in polizza, cfr. F. BERLINGIERI,
Armatore e esercente di aeromobile, in Dir.mar. 1957, 461; F.
BERLINGIERI, Limitazione del debito e stima assicurativa, in Dir. mar.
1960, 87.
5. Ai fini dell’individuazione del giudice
competente, è necessario fare riferimento anche ai criteri
contenuti nella l. 31 maggio 1995 n. 218, nonché quelli di
cui al reg. (CE) n. 44/2001. Per ulteriori specificazioni in merito al
coordinamento di tali normative, cfr. G. SPERA, La limitazione della
responsabilità armatoriale: aspetti processuali e
sostanziali, in Dir. trasp. 2006, 561 ss.
6. Per i rapporti tra il procedimento di limitazione ed il
procedimento di accertamento dei crediti soggetti a limitazione, cfr.
App. Trieste 5 aprile 2007, in Dir. mar. 2008, 172 ss., con nota di
F.M. TORRESI, Rapporti tra procedimento di limitazione della
responsabilità dell’armatore e giudizio di
accertamento dei crediti soggetti a limitazione.
7. In luogo del deposito della somma limite,
l’armatore che sia anche proprietario della nave
può richiedere al giudice, nei termini di cui
all’art. 629 c. nav. (ovverosia quelli per il deposito della
somma suddetta), di essere autorizzato alla vendita
all’incanto della nave stessa, il cui ricavato — se
inferiore alla somma limite — deve essere eventualmente
integrato fino alla sua concorrenza (art. 631 c. nav.).
8. A tal riguardo, per una panoramica sul concorso delle due procedure,
fallimentare da un lato e di limitazione dall’altro, si veda
Cass. 30 novembre 2007 n. 25020, in Dir. mar. 2009, 127 ss.
9. Cfr. nota 2.
10. Sulla LLMC, cfr. F. BERLINGIERI, Responsabilità
dell’armatore e sua limitazione nella navigazione interna, in
Dir. mar. 1990, 261 ss.; F. BERLINGIERI, Note sull’ambito di
applicazione della Convenzione di Londra del 1976 sulla limitazione di
responsabilità per i crediti marittimi, in Dir. mar. 1993,
1150 ss.; F. BERLINGIERI, Il regime uniforme della
responsabilità per danni risultanti dall’esercizio
della nave e la sua limitazione, in Dir. mar. 1999, 271 ss.; F.
BERLINGIERI, La Convenzione LLMC 1976 al vaglio della giurisprudenza,
in Dir. mar. 1999, 542 ss.; A. DANI, La Convenzione di Londra 1976
sulla limitazione della responsabilità per crediti
marittimi, in Trasp. 13/1977, 97; A. XERRI, La Convenzione
internazionale sulla limitazione del debito dell’armatore, in
Dir. mar. 1977, 340 ss.; R. CAMMAROTA, La Convenzione di Londra del
1976 sulla limitazione della responsabilità per crediti
marittimi, in Studi mar. 28/1986, 99.
11. Per il testo della legge, cfr. Dir. mar. 2010, 717 s.
12. Per il testo della normativa, cfr. Dir. trasp. 2012, 855 ss.
13. L’art. 4 così recita: «I
crediti ai quali si riferisce l’assicurazione della
responsabilità armatoriale sono i seguenti: a) crediti
relativi a morte, lesioni personali, perdita o danni a beni, ivi
inclusi danni ad opere portuali, bacini e canali navigabili ed agli
ausili alla navigazione, che si verifichino a bordo o in connessione
diretta con l’esercizio della nave o con le operazioni di
salvataggio e i conseguenti danni che ne derivino; b) crediti relativi
a danni derivanti da ritardi nel trasporto marittimo di carico,
passeggeri o del loro bagaglio; c) crediti relativi ad altri danni
derivanti dalla violazione di diritti diversi dai diritti contrattuali,
che si verifichino in connessione diretta con l’esercizio
della nave o con le operazioni di salvataggio; d) crediti relativi al
recupero, rimozione, demolizione o volti a rendere inoffensiva una nave
che sia affondata, naufragata, incagliata o abbandonata, compresa ogni
cosa che sia o sia stata a bordo di tale nave; e) crediti relativi alla
rimozione, distruzione o volte a rendere inoffensivo il carico di una
nave; f) crediti fatti valere da una persona diversa da quella
responsabile, relativamente a provvedimenti presi al fine di prevenire
o ridurre le conseguenze dannose degli eventi di cui alle lettere da a
ad e e gli ulteriori danni causati da tali
provvedimenti».
14. L’art. 5 così dispone: «I
crediti non compresi nell’assicurazione della
responsabilità sono i seguenti: a) crediti relativi alle
operazioni di salvataggio, ivi compresi i crediti per compenso speciali
di cui all’articolo 14 della Convenzione sul salvataggio del
1989, se applicabili, o ai contributi per avaria comune; b) crediti
relativi a danni per inquinamento da idrocarburi di cui alla
Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i
danni derivanti da inquinamento da idrocarburi, del 29 novembre 1969,
come modificata dal Protocollo del 1992; c) crediti soggetti a
qualsiasi Convenzione internazionale o legislazione nazionale che
regoli o proibisca la limitazione della responsabilità per
danni nucleari; d) crediti nei confronti del proprietario di una nave a
propulsione nucleare per danni nucleari; e) crediti da parte dei
preposti dell’armatore o del soccorritore i cui compiti siano
connessi alla nave o alle operazioni di salvataggio, ivi inclusi i
crediti dei loro eredi, successori legittimi, o altre persone aventi
diritto a presentare tali rivendicazioni».
15. i pari avviso anche F. BERLINGIERI, Alcune note sul d. lgs. 28
giugno 2012 n. 111 di attuazione da parte dell’Italia della
direttiva 2009/21/CE del 23 aprile 2009 sull’assicurazione
(della responsabilità) degli armatori per i crediti
marittimi, in Dir. mar. 2012, 962 ss..
16. È agevole infatti verificare
l’identità sostanziale di testi, quali, ad
esempio, quelli degli art. 6 e 7 della Convenzione con gli artt. 7 e 8
del decreto legislativo, o la corrispondenza dell’art. 3 del
decreto legislativo con i primi due commi dell’art. 2 della
direttiva.
17. Tali incongruenze sono piuttosto rilevanti e sono già
state segnalate dall’Associazione italiana di diritto
marittimo nella persona del suo presidente Giorgio Berlingieri..
18. Come detto, sotto il profilo testuale, il dettato degli
articoli in questione è identico a quello degli art. 6 e 7
della Convenzione.
[*] Relazione esposta alla tavola rotonda su «Il sistema di
assicurazione e di responsabilità per crediti
marittimi», organizzata a Roma dal Consiglio
dell’ordine degli avvocati di Roma il 20 marzo 2013.
N.B: il presente scritto è stato terminato il 20 marzo 2013 ed
è stato pubblicato su Diritto dei trasporti, 2014,
fasc. 2, a pag. 529. Il
suo contenuto è aggiornato alla data in cui è
stato terminato. Non
si garantisce che alla data odierna la
normativa in vigore sia la stessa citata nello scritto. I
link della pagina erano funzionanti e puntavano a pagine esistenti
sino alla data del 22/3/2013. Non si garantisce che in data successiva
essi puntino a pagine effettivamente esistenti.