Diritto dei trasporti
2014
II
pag. 529
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ENZO  FOGLIANI

IL NUOVO SISTEMA DI ASSICURAZIONE
E DI RESPONSABILITÀ PER CREDITI MARITTIMI.[*]



ABSTRACT

With regard to the system of limitation of the ship owners debts, Italy remained, for decades, anchored to the system regulated by the Navigation Code. Meanwhile, at the international level and within the EU, there were normative changes which Italian legislation never adopted. The legislator endeavoured to put an end to these gaps with the law decree no. 111/2012 which incorporated, albeit partially, the topics contained in LLCM and in EC Regulation 2009/392, purporting to summarize their most important aspects. However, rather than
harmonizing the national legislation with the EU and the international norms, the text of the decree has created significant problems in the effective implementation of those rules, therefore making desirable a new intervention in the matter.


SOMMARIO

1. Il sistema delineato dal codice della navigazione2. La normativa internazionale e comunitaria3. Il tentativo italiano di adeguamento alla normativa internazionale e comunitaria. 

1. Il sistema delineato dal codice della navigazione

La limitazione della responsabilità dell’armatore è istituto tradizionale nella navigazione marittima, di cui si ha traccia sin da fonti medioevali. Esso nasce dall’esigenza di stabilire un sistema d’imputazione dei fatti del comandante e dell’equipaggio correlato da un sistema che ne limitasse gli effetti (1). In particolare, il nostro codice della navigazione disciplina la limitazione del debito dell’armatore (2) all’art. 275 stabilendo che l’armatore può limitare il debito complessivo delle obbligazioni contratte in occasione e per i bisogni di un viaggio, e per le obbligazioni sorte da fatti o atti compiuti durante lo stesso viaggio (3), ad una somma pari al valore della nave e all’ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio stesso. Sono escluse invece dalla limitazione le obbligazioni derivanti da proprio dolo o colpa grave.

Prima di ogni ulteriore specificazione in merito al sistema di limitazione, merita lettura il dettato dell’art. 622 c. nav. — inserito nella parte processualistica del codice — il quale specifica i criteri per la determinazione del valore della nave ai fini del computo della limitazione. A tal fine, il legislatore individua il valore della nave nel suo valore commerciale, da assumersi in quello risultante dalla polizza o, in mancanza, dalle risultanze del Registro italiano navale, tenendo conto inoltre delle pertinenze risultanti dall’inventario di bordo. In particolare, occorre tuttavia evidenziare che le risultanze della polizza assicurativa non assumono valore assoluto ai fini della determinazione del limite di cui l’armatore beneficia, ben potendo il giudice della procedura di limitazione azionata disporre anche d’ufficio accertamenti tecnici per la revisione del valore dichiarato (4).

Sempre sotto il profilo processualistico, per l’attuazione della limitazione del debito dell’armatore è previsto, analogamente alla procedura fallimentare, un procedimento imperniato sul principio concorsualistico (art. 620-642 c. nav.), la cui instaurazione si attiva su domanda dell’armatore interessato
il quale propone ricorso al giudice competente (5) nelle modalità di cui all’art. 621 c. nav. (6). Una volta accertata con sentenza l’esistenza degli estremi di legge, si apre il procedimento di limitazione in virtù del quale sono sospesi e divengono improcedibili gli atti esecutivi sui beni dell’armatore per le obbligazioni di cui all’articolo 275 c. nav. Entro tre giorni dalla sentenza di apertura del procedimento l’armatore deve depositare la somma limite, nonché un’ulteriore congrua somma a copertura delle spese del procedimento (7) .

Vengono quindi formati lo stato attivo e lo stato passivo e, decorsi i termini per le impugnazioni ovvero formato il nuovo stato passivo a seguito di dette impugnazioni, è predisposto il piano di riparto e, una volta divenuto definitivo, il giudice provvede all’emissione del mandato di pagamento a favore dei creditori.

Chiarita in via generale la procedura di limitazione nei termini di cui sopra, occorre sottolineare che il procedimento di limitazione del debito dell’armatore è un procedimento concorsuale autonomo, tanto che l’eventuale fallimento dell’armatore, dichiarato successivamente al decorso del termine fissato per l’impugnazione dello stato attivo o al passaggio in giudicato della sentenza che respinge le impugnazioni, non estingue il procedimento di limitazione. Infatti, come anche il legislatore si è premurato di disciplinare, le somme depositate per il procedimento di limitazione non vengono comprese nella massa fallimentare attiva e, al contempo, i creditori soggetti alla limitazione non partecipano al concorso sul patrimonio del fallito (art. 639 c. nav.) (8).  Il meccanismo di funzionamento di questo sistema ha portato la migliore dottrina a ritenere che si tratti, più che di un sistema di limitazione del debito — come si esprime la norma — di un sistema di limitazione della responsabilità (9). Ciò sul presupposto che la limitazione del debito abbia per effetto unicamente la riduzione del corrispondente credito entro i limiti di una determinata somma dovuta dal debitore (che però continua a risponderne con tutto il suo patrimonio), mentre la limitazione di responsabilità venga intesa come separazione di una parte del patrimonio del debitore sulla quale si possono soddisfare i creditori.


2. La normativa internazionale e comunitaria

Quello sopra delineato è, dunque, il sistema di limitazione della responsabilità dell’armatore così come disciplinato dal nostro codice della navigazione del 1942.

In sede internazionale, il principio della limitazione del debito dell’armatore è stato recepito in alcune convenzioni internazionali, la prima delle quali è stata la Convenzione sulla limitazione della responsabilità dei proprietari di navi di Bruxelles del 25 agosto 1924, seguita da una successiva convenzione, avente lo stesso oggetto e adottata sempre a Bruxelles il 10 ottobre 1957.

L’attuale impianto normativo internazionale è però basato sulla Convenzione di Londra del 17 novembre 1976 sulla limitazione di responsabilità  per crediti marittimi, conosciuta anche come LLMC, emendata vent’anni dopo con il Protocollo di Londra del 2 maggio 1996 (10).

Nessuna di queste convenzioni internazionali né tantomeno quelle precedenti sono mai state ratificata dall’Italia, che è sempre rimasta ancorata al suo sistema di limitazione del debito dell’armatore sopra delineato.

Alle convenzioni sulla limitazione del debito armatoriale sopra citate ed aventi contenuto di carattere generale si sono affiancate altre convenzioni di settore che hanno stabilito, nei diversi ambiti della navigazione marittima, limitazioni di responsabilità che si diversificavano, sotto taluni aspetti, dalla LLMC. Al riguardo, sono intervenute la Convenzione internazionale del 1992 sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento di idrocarburi, nonché la Convenzione del 1996 sulla responsabilità e l’indennizzo per i danni causati dal trasporto via mare di sostanze nocive e potenzialmente pericolose, la Convenzione del 2001 sulla responsabilità civile per i danni derivanti dall’inquinamento determinato dal carburante delle navi, la Convenzione del 2007 sulla rimozione dei relitti ed, infine, il reg. (CE) n. 392/2009 relativo alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare, che ha sostanzialmente adottato le norme della Convenzione di Atene del 1974 con le modifiche del 2002. In linea generale, tali convenzioni sulla navigazione marittima hanno accompagnato le relative limitazioni di responsabilità ad obblighi assicurativi che garantissero l’effettività del risarcimento agli aventi diritto.

Infatti, nella LLMC non era — e tuttora non è — previsto l’istituto dell’assicurazione obbligatoria, motivo per cui l’Unione europea, con dir. 2009/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi, ha sostanzialmente disposto che per le responsabilità armatoriali previste dalla Convenzione di Londra sui crediti marittimi (come modificata dal Protocollo del 1996) vi sia un obbligo di assicurazione da parte dell’armatore e degli altri soggetti che possono usufruire della limitazione di responsabilità. La direttiva peraltro, al proprio art. 9, imponeva agli Stati membri di adeguare la propria legislazione interna alle sue disposizioni entro il 31 dicembre 2011.


3. Il tentativo italiano di adeguamento alla normativa internazionale e comunitaria

In un tale contesto di continuo fermento normativo a livello internazionale, lo Stato italiano è apparso assolutamente latitante, non avendo mai provveduto a ratificare la Convenzione di Londra del 1976 nel suo testo consolidato nel 1996. Tali mancanze hanno posto l’Italia in una situazione di grave isolamento non solo in ambito internazionale, ma soprattutto in ambito europeo. La direttiva del 2009, infatti, ha dato per scontato, ponendolo come presupposto, che gli Stati membri dell’Unione avessero già ratificato sia la Convenzione di Londra del 1976 sia il successivo Protocollo di modifica del 1996; cosa che l’Italia invece non ha mai fatto.
 
Con l. 23 dicembre 2009 n. 201  (11) il Parlamento italiano aveva tentato di intervenire nel settore, autorizzando l’adesione al Protocollo di modifica della Convenzione del 1976 sulla limitazione della responsabilità in materia di crediti marittimi, adottato a Londra il 2 maggio 1996, ed aveva delegato il governo ad adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi diretti all’attuazione della Convenzione del 1976 come emendata dal Protocollo. La delega prevedeva peraltro il mantenimento del procedimento di limitazione con il carattere di concorsualità già previsto nel codice della navigazione.

Tuttavia, nei sei mesi dall’entrata in vigore della legge, ossia entro il 10  giugno 2010, nulla di quanto delegato è stato posto in essere. Non solo. Il termine del 31 dicembre 2011, entro il quale la normativa nazionale doveva essere adeguata alla direttiva comunitaria disponendo quanto necessario all’attuazione dell’assicurazione obbligatoria della limitazione del debito dell’armatore, è trascorso invano.

Soltanto con il d.lg. 28 giugno 2012 n. 111 (12), lo Stato italiano ha posto fine alla sua inerzia nel settore, cercando in tale modo di venir meno al suo lassismo in materia.

Il decreto reca specificatamente norme sull’assicurazione degli armatori per i crediti marittimi e consta di dodici articoli che mirano ad introdurre l’istituto della assicurazione obbligatoria della responsabilità armatoriale per i crediti marittimi indicati nell’art. 4 del decreto stesso (art. 1).

Tale obbligatorietà, come l’intera disciplina contenuta nel decreto, si applica alle navi di bandiera italiana e alle navi di bandiera estera di stazza lorda pari o superiore alle trecento tonnellate che entrino nei porti o che transitino nelle acque territoriali italiane (art. 3 e 6).

L’art. 4, come detto, enumera i crediti ai quali si riferisce l’assicurazione armatoriale in questione e ricalca pedissequamente i casi indicati all’art. 2 della LLMC (13); casi che, in quest’ultimo ambito, sono tuttavia individuati al fine esclusivo di operatività del sistema di limitazione dell’armatore. Successivamente, l’art. 5 del decreto detta le ipotesi in cui invece non è richiesta l’assicurazione obbligatoria della responsabilità armatoriale, riproponendo quasi specularmente quelle di cui all’art. 3 della LLMC, per cui valgono le osservazioni appena esposte in merito all’art. 2 della Convenzione (14).

Inoltre, gli art. 7 e 8 stabiliscono — sulla falsariga degli art. 6 e 7 della LLMC — i limiti della responsabilità armatoriale per i crediti derivanti dallo stesso evento, mentre l’art. 11 detta le misure da attuare in caso di violazione degli obblighi di assicurazione disciplinati dal decreto in questione.

Essendo questi i tratti salienti del contenuto del d.lg. 111/2012, appare evidente che, invece di fronteggiare la lacuna normativa in cui versava il nostro Paese, tale intervento legislativo ha, al contrario, creato un impasse non di poco conto.

Infatti, con il decreto sono state dettate alcune norme, peraltro contenute soltanto in una dozzina di articoli, che, piuttosto che adeguare concretamente l’ordinamento italiano alla normativa europea ed internazionale, sembrano avere semplicemente sconvolto l’attuale sistema normativo che, seppur antiquato, aveva comunque una sua completezza sistematica.

Un risultato diverso non si sarebbe potuto comunque aspettare considerato che, come detto, la direttiva europea presupponeva che gli Stati membri avessero già recepito la Convenzione sui crediti marittimi del 1976 e le successive modifiche. Pertanto, è ben comprensibile che dare attuazione ad una direttiva che sottende l’avvenuto recepimento di altre normative comporta non poche problematiche di effettiva attuazione se, al contrario, ciò non si è mai verificato. Problematiche, dunque, cui l’Italia si trova ancorata, essendo intervenuta in materia senza introdurre previamente nel proprio ordinamento la normativa convenzionale internazionale posta quale substrato di quella europea da attuare.

Pertanto, per quanto i redattori del decreto legislativo abbiano compiuto notevoli sforzi per redigere un testo che riuscisse a far fede agli impegni europei e, al contempo, a colmare il vuoto normativo nei termini sopra esposti, le norme attualmente in vigore nel nostro ordinamento destano pressoché unanimi perplessità, anche perché le soluzioni adottate non appaiono comunque le migliori astrattamente ipotizzabili (15).

Concentrando l’attenzione sul dettato normativo del decreto legislativo, si palpano quasi con mano le difficoltà createsi al fine di sintetizzare in un unico intervento legislativo le discipline comunitarie ed internazionali. Per far fronte alle carenze normative, si è tentato di arginare le macroscopiche lacune attuando una sorta di sintesi tra gli aspetti salienti della Convenzione del 1976, da un lato, e quelli dell’assicurazione obbligatoria della direttiva, dall’altro.

Tuttavia, ad un occhio vigile, non sfugge come il tentativo — per quanto apprezzabile — non ha condotto al risultato sperato. Infatti, gli oltre venti articoli della Convenzione e la decina di articoli della direttiva mal si conciliavano ad essere sintetizzati nella dozzina di articoli di cui è composto il decreto legislativo.

A dire il vero, piuttosto che di sintesi, i redattori hanno riportato interamente soltanto alcuni articoli della Convenzione e soltanto alcuni della direttiva. Ciò probabilmente in quanto i redattori del decreto, consci del vuoto normativo e delle problematiche concernenti, hanno cercato di arginare le possibili discrasie che l’intervento normativo interno avrebbe potuto comportare con la normativa internazionale ed europea e, pertanto, hanno preferito evitare di riformulare le normative da adottare riproponendole come dettate dal legislatore europeo ed internazionale (16).

Tuttavia, il risultato ottenuto dal promiscuo utilizzo di soltanto alcune norme della Convenzione e di soltanto alcune norme della direttiva europea è stato un sistema normativo parziale ed oltremodo scoordinato, ove le limitazioni di responsabilità e gli obblighi assicurativi vengono disposti in modo incompleto ed asistematico. Infatti, il mancato recepimento di norme di primaria importanza contenute nella Convenzione sui crediti marittimi ne snatura di fatto la sostanza, rendendo la normativa italiana significativamente diversa da quella internazionale, contrariamente a quanto fosse invece nell’intento dei redattori del decreto (17).

Ciò risulta evidente dagli art. 7 e 8 del decreto legislativo i quali, pur ponendo limiti di responsabilità armatoriali analoghi a quelli previsti dalla Convenzione (18), attuano un sistema significativamente diverso da quello voluto a livello internazionale. Manca infatti nel decreto di attuazione l’esclusione del beneficio della limitazione di responsabilità nel caso in cui il danno sia stato prodotto con dolo o colpa temeraria con previsione dell’evento (art. 4 della Convenzione). La norma dovrebbe quindi ritenersi incostituzionale nei limiti in cui non prevede tale esclusione, per gli stessi motivi per i quali nel 2005 fu dichiarato incostituzionale l’art. 423 c. nav. laddove anch’esso, nel settore del trasporto, non prevedeva la superabilità dei limiti nel caso di dolo o colpa grave del vettore.

Ma non è tutto. I problemi generati dal parziale recepimento delle normative della Convenzione e della direttiva concernono anche ulteriori e non secondari aspetti. La Convenzione sui crediti marittimi, infatti, oltre che quantificare i limiti di responsabilità, si preoccupa anche di definire quali siano i crediti soggetti a limitazione (art. 2) e quali siano invece i crediti esclusi dalla stessa (art. 3). Nel decreto legislativo italiano i due articoli sono traslati rispettivamente nell’art. 4 e nell’art. 5 utilizzando essenzialmente il medesimo testo della Convenzione e la casistica lì enumerata; quest’ultima, tuttavia, è stata utilizzata non per individuare quali siano o meno i crediti soggetti a limitazione, bensì per stabilire quali crediti siano soggetti o meno all’assicurazione obbligatoria.

Ciò crea un’evidente differenza sostanziale fra il regime italiano ed il regime convenzionale. Infatti, ciò comporta nell’ordinamento interno il necessario collegamento fra la tipologia di crediti soggetti alla limitazione ed i limiti di responsabilità previsti. In altre parole, la lettura del decreto legislativo condurrebbe a ritenere che tutti i crediti marittimi siano soggetti ai limiti di responsabilità previsti dagli art. 7 ed 8, ma solo quelli indicati all’art. 4 siano soggetti all’assicurazione obbligatoria.

 È appena il caso di rilevare che ben diverso è il quadro normativo risultante dalla Convenzione sui crediti marittimi e dalla direttiva comunitaria. Secondo quest’ultima, l’assicurazione è obbligatoria solo per i crediti soggetti a limitazione (come indicati dalla Convenzione: art. 4, punto 3, della direttiva) e non per quelli esclusi dalla limitazione, in quanto ad essi non si applicano le norme della Convenzione stessa (art. 5).

Quanto finora esposto rappresenta soltanto una parte della problematica più rilevante ed immediata che solleva la normativa introdotta dal d.lg. 111/2012; le discrasie con la normativa internazionale e comunitaria, infatti, concernono anche ulteriori profili. In primo luogo, il decreto legislativo dà una definizione di assicurazione molto più limitata di quella prevista dalla direttiva. Quest’ultima infatti comprende esplicitamente anche le coperture fornite dai P&I Clubs, nonché altre forme effettive di assicurazione, inclusa l’auto assicurazione comprovata e garanzie finanziarie che offrono condizioni di copertura analoghe. Ci si chiede pertanto se la mancata precisazione di tali ulteriori forme di copertura assicurativa debba intendersi quale specifica volontà di escludere le forme assicurative atipiche non espressamente indicate; il che creerebbe notevoli problematiche con riguardo specialmente alle navi straniere.

Sotto altro aspetto, l’introduzione dei limiti di responsabilità in un decreto che si occupa dell’obbligo assicurativo fa sì che per la normativa italiana vi sia coincidenza fra i soggetti aventi titolo alla limitazione e soggetti obbligati all’assicurazione. Cosa che invece non si registra nella normativa internazionale. Mentre, infatti, tenuto all’assicurazione è l’armatore, definito come il proprietario registrato di una nave marittima o qualsiasi altra persona quale noleggiatore a scafo nudo, che sia responsabile della conduzione della nave, soggetto beneficiario della limitazione secondo la Convenzione LLMC, può essere l’owner, il charterer, il manager e l’operator di una nave marittima.

Infine, è da sottolineare che la formulazione adottata nel decreto legislativo in esame condanna lo stesso a divenire obsoleto nel breve giro di neppure un anno. Già la risoluzione IMO del 19 aprile 2012 (data — si noti — anteriore a quella del d.lg. 111/2012) ha deliberato l’aumento dei limiti di responsabilità previsti dal Protocollo del 1996 a partire dal 19 aprile 2015. Se per tale data l’Italia non avrà ratificato il Protocollo, per adeguare i limiti di responsabilità armatoriale sarà necessario un nuovo e specifico intervento legislativo a modifica del d.lg. 111/2012. Visti i precedenti in tema, è lecito dubitare che il legislatore intervenga al riguardo con tempestività.

Oltre a quanto finora esposto, le problematiche sollevate dal d.lg. 111/2012 concernono anche — e soprattutto — la procedura per l’attivazione della limitazione del debito dell’armatore.

Come accennato inizialmente, il codice della navigazione prevede uno specifico procedimento concorsuale per attuare la limitazione. Tuttavia, per effetto della normativa introdotta con il decreto che ha modificato l’art. 275 c. nav., tale procedimento rimarrà applicabile soltanto alle navi di stazza lorda inferiore alle 300 tonnellate. Intervenendo in tal modo, però, il legislatore ha completamente privato il nostro ordinamento di un procedimento per la limitazione del debito per le navi superiore alle 300 tonnellate. Infatti, mentre a livello internazionale per navi di tale stazza si applica il sistema di limitazione contenuto nel Protocollo di Londra del 1996, l’Italia non può beneficiare di tale normativa e della procedura ivi prevista, non avendovi mai aderito.

Per superare tale impasse, l’Italia neppure può ricorrere in via analogica al sistema previsto dal codice della navigazione. Infatti, il ricorso a tale norma, sotto il profilo formale, è oggi — come detto — espressamente precluso dalla modifica di cui all’art. 275 c. nav. intervenuta in virtù dell’art. 12 del decreto stesso.

Inoltre, sotto l’aspetto sostanziale, il sistema di limitazione di responsabilità previsto dalla Convenzione sui crediti marittimi contiene significative differenze rispetto a quello del codice della navigazione tanto da rendere piuttosto ardua l’applicazione della procedura nazionale. Tanto ciò è vero, che la legge n. 201/2009, oltre ad aver (inutilmente) autorizzato la ratifica del Protocollo del 1996, aveva previsto anche la delega al Governo per la predisposizione di un nuovo procedimento di limitazione della responsabilità dell’armatore che si adeguasse al sistema posto dal Protocollo di Londra del 1996.

Alla luce di quanto esposto, pertanto, si rileva non soltanto che il sistema introdotto dal d.lg. 111/2012 è caratterizzato da un’assoluta asistematicità e, comunque, da una significativa divergenza dal sistema comunitario ed internazionale, ma è privo addirittura degli strumenti e le norme procedurali che possano renderlo effettivo.

L’unica vera soluzione radicale delle problematiche affrontate sarebbe quella di reiterare la legge n. 201/2009 e non solo ratificare il Protocollo di Londra del 1996, ma anche predisporre in tempi brevi le norme procedurali necessarie a dare attuazione alla limitazione del debito dell’armatore. Ma visti i tempi, si tratta di un auspicio che non appare facilmente realizzabile.
ENZO FOGLIANI


Note:

1.  Sull’argomento, in generale, cfr. M. FOSCHINI, La limitazione del debito dell’armatore nella sua attuazione, Milano, 1974; F. BERLINGIERI, Responsabilità dell’armatore e relativa limitazione, in Il cinquantenario del codice della navigazione (a cura di L. Tullio-M. Deiana), Cagliari, 1993, 164 ss.; F. BERLINGIERI, Responsabilità dell’armatore e sua limitazione nella navigazione interna, in Dir. mar. 1990, 253 ss. torna al testo

2.  Non è pacifica la circostanza che il sistema adottato dal codice sia di limitazione del debito ovvero di limitazione di responsabilità. A favore della prima, S. FERRARINI, L’impresa di navigazione, I, Milano, 1945, 59; E. GARBAGNATI, La funzione del processo di limitazione del debito dell’armatore, in Riv. dir. proc. civ. 1946, I, 24; F.M. DOMINEDÒ, Principi del diritto della navigazione, I, Padova, 1957, 159. A favore della limitazione
di responsabilità, E. SPASIANO, La limitazione di responsabilità dell’armatore, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1962, 1388; M. FOSCHINI, La limitazione del debito dell’armatore nella sua attuazione, Milano, 1974, 4. torna al testo

3. Degne di nota le considerazioni di F. BIANCA, Su un caso di disapplicazione della limitazione della responsabilità dell’armatore, in Dir. trasp. I/1991, 212 ss., ove l’autore sottolinea come l’art. 275 c. nav., nella regolamentazione del sistema di limitazione, non fa riferimento ai sinistri marittimi, ma a generiche obbligazioni, di cui i sinistri marittimi non costituiscono altro se non una delle fonti. Tale articolo, pertanto, regola qualsiasi obbligazione, contrattuale o extracontrattuale che sia, purché riferita al viaggio. torna al testo 

4.  Cfr. art. 628 e 630 c. nav. Sulla presunzione, salva la prova contraria, del valore indicato in polizza, cfr. F. BERLINGIERI, Armatore e esercente di aeromobile, in Dir.mar. 1957, 461; F. BERLINGIERI, Limitazione del debito e stima assicurativa, in Dir. mar. 1960, 87.torna al testo

5.  Ai fini dell’individuazione del giudice competente, è necessario fare riferimento anche ai criteri contenuti nella l. 31 maggio 1995 n. 218, nonché quelli di cui al reg. (CE) n. 44/2001. Per ulteriori specificazioni in merito al coordinamento di tali normative, cfr. G. SPERA, La limitazione della responsabilità armatoriale: aspetti processuali e sostanziali, in Dir. trasp. 2006, 561 ss. torna al testo 

6.  Per i rapporti tra il procedimento di limitazione ed il procedimento di accertamento dei crediti soggetti a limitazione, cfr. App. Trieste 5 aprile 2007, in Dir. mar. 2008, 172 ss., con nota di F.M. TORRESI, Rapporti tra procedimento di limitazione della responsabilità dell’armatore e giudizio di accertamento dei crediti soggetti a limitazione.torna al testo

7.   In luogo del deposito della somma limite, l’armatore che sia anche proprietario della nave può richiedere al giudice, nei termini di cui all’art. 629 c. nav. (ovverosia quelli per il deposito della somma suddetta), di essere autorizzato alla vendita all’incanto della nave stessa, il cui ricavato — se inferiore alla somma limite — deve essere eventualmente integrato fino alla sua concorrenza (art. 631 c. nav.).torna al testo 

8. A tal riguardo, per una panoramica sul concorso delle due procedure, fallimentare da un lato e di limitazione dall’altro, si veda Cass. 30 novembre 2007 n. 25020, in Dir. mar. 2009, 127 ss.torna al testo 
9. Cfr. nota 2.torna al testo

10. Sulla LLMC, cfr. F. BERLINGIERI, Responsabilità dell’armatore e sua limitazione nella navigazione interna, in Dir. mar. 1990, 261 ss.; F. BERLINGIERI, Note sull’ambito di applicazione della Convenzione di Londra del 1976 sulla limitazione di responsabilità per i crediti marittimi, in Dir. mar. 1993, 1150 ss.; F. BERLINGIERI, Il regime uniforme della responsabilità per danni risultanti dall’esercizio della nave e la sua limitazione, in Dir. mar. 1999, 271 ss.; F. BERLINGIERI, La Convenzione LLMC 1976 al vaglio della giurisprudenza, in Dir. mar. 1999, 542 ss.; A. DANI, La Convenzione di Londra 1976 sulla limitazione della responsabilità per crediti marittimi, in Trasp. 13/1977, 97; A. XERRI, La Convenzione internazionale sulla limitazione del debito dell’armatore, in Dir. mar. 1977, 340 ss.; R. CAMMAROTA, La Convenzione di Londra del 1976 sulla limitazione della responsabilità per crediti marittimi, in Studi mar. 28/1986, 99. torna al testo 

11. Per il testo della legge, cfr. Dir. mar. 2010, 717 s. torna al testo

12. Per il testo della normativa, cfr. Dir. trasp. 2012, 855 ss.torna al testo

13.  L’art. 4 così recita: «I crediti ai quali si riferisce l’assicurazione della responsabilità armatoriale sono i seguenti: a) crediti relativi a morte, lesioni personali, perdita o danni a beni, ivi inclusi danni ad opere portuali, bacini e canali navigabili ed agli ausili alla navigazione, che si verifichino a bordo o in connessione diretta con l’esercizio della nave o con le operazioni di salvataggio e i conseguenti danni che ne derivino; b) crediti relativi a danni derivanti da ritardi nel trasporto marittimo di carico, passeggeri o del loro bagaglio; c) crediti relativi ad altri danni derivanti dalla violazione di diritti diversi dai diritti contrattuali, che si verifichino in connessione diretta con l’esercizio della nave o con le operazioni di salvataggio; d) crediti relativi al recupero, rimozione, demolizione o volti a rendere inoffensiva una nave che sia affondata, naufragata, incagliata o abbandonata, compresa ogni cosa che sia o sia stata a bordo di tale nave; e) crediti relativi alla rimozione, distruzione o volte a rendere inoffensivo il carico di una nave; f) crediti fatti valere da una persona diversa da quella responsabile, relativamente a provvedimenti presi al fine di prevenire o ridurre le conseguenze dannose degli eventi di cui alle lettere da a ad e e gli ulteriori danni causati da tali provvedimenti». torna al testo

14.  L’art. 5 così dispone: «I crediti non compresi nell’assicurazione della responsabilità sono i seguenti: a) crediti relativi alle operazioni di salvataggio, ivi compresi i crediti per compenso speciali di cui all’articolo 14 della Convenzione sul salvataggio del 1989, se applicabili, o ai contributi per avaria comune; b) crediti relativi a danni per inquinamento da idrocarburi di cui alla Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi, del 29 novembre 1969, come modificata dal Protocollo del 1992; c) crediti soggetti a qualsiasi Convenzione internazionale o legislazione nazionale che regoli o proibisca la limitazione della responsabilità per danni nucleari; d) crediti nei confronti del proprietario di una nave a propulsione nucleare per danni nucleari; e) crediti da parte dei preposti dell’armatore o del soccorritore i cui compiti siano connessi alla nave o alle operazioni di salvataggio, ivi inclusi i crediti dei loro eredi, successori legittimi, o altre persone aventi diritto a presentare tali rivendicazioni».torna al testo

15. i pari avviso anche F. BERLINGIERI, Alcune note sul d. lgs. 28 giugno 2012 n. 111 di attuazione da parte dell’Italia della direttiva 2009/21/CE del 23 aprile 2009 sull’assicurazione (della responsabilità) degli armatori per i crediti marittimi, in Dir. mar. 2012, 962 ss..torna al testo

16. È agevole infatti verificare l’identità sostanziale di testi, quali, ad esempio, quelli degli art. 6 e 7 della Convenzione con gli artt. 7 e 8 del decreto legislativo, o la corrispondenza dell’art. 3 del decreto legislativo con i primi due commi dell’art. 2 della direttiva.torna al testo

17. Tali incongruenze sono piuttosto rilevanti e sono già state segnalate dall’Associazione italiana di diritto marittimo nella persona del suo presidente Giorgio Berlingieri..torna al testo

18.  Come detto, sotto il profilo testuale, il dettato degli articoli in questione è identico a quello degli art. 6 e 7 della Convenzione.torna al testo 

 Enzo Fogliani.


pagina aggiornata al 28/12/2014

[*] Relazione esposta alla tavola rotonda su «Il sistema di assicurazione e di responsabilità per crediti marittimi», organizzata a Roma dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma il 20 marzo 2013.

N.B: il presente scritto è stato terminato il 20 marzo 2013 ed è stato pubblicato su Diritto dei trasporti, 2014, fasc. 2, a pag. 529.  Il suo contenuto è aggiornato alla data in cui è stato terminato. Non si garantisce che alla data odierna la normativa in vigore sia la stessa citata nello scritto.  I link della pagina erano funzionanti e puntavano a pagine esistenti sino alla data del 22/3/2013. Non si garantisce che in data successiva essi puntino a pagine effettivamente esistenti.torna all'inizio



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