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Trasporto aereo di persone – Convenzione di Montreal del 1999
art. 17 n.1 – rovesciamento di bevanda calda e conseguenti ustioni -
responsabilità del vettore - Sussistenza.
Con
la sentenza 19 dicembre 2019, la Corte di giustizia UE ha affermato che i danni
provocati al passeggero dal rovesciamento del caffè bollente in volo debbano
essere pagati dalla compagnia aerea.
I fatti. Nell’agosto 2015, nel corso di un volo da Maiorca a Vienna, su un aereo
della compagnia aerea Nikki Luftfahrt, mentre l’assistente di volo serviva le
bevande, una tazza, colma di caffè caldo e poggiata sul tavolino, scivolava e si
rovesciava. Il contenuto della tazza si versava sulla coscia destra e sul petto
della passeggera di sei anni seduta sul sedile accanto, provocandole ustioni di
secondo grado per circa il 2-4 % della superficie corporea. Non è stato possibile
accertare se il tavolino avesse un difetto e fosse inclinato fin dall’inizio, né
se la tazza di caffè fosse scivolata a causa di vibrazioni dell’aereo.
A seguito degli opposti pronunciamenti di primo e secondo grado sull’istanza
risarcitoria della passeggera nei confronti del vettore, la Corte suprema
austriaca proponeva rinvio pregiudiziale ex articolo 267 TFUE (causa
c-532/18), alla Corte di giustizia dell’Unione europea un quesito sulla nozione
d’«incidente», di cui all’articolo
17, § 1, della Convenzione per l'unificazione di alcune norme relative
al trasporto aereo internazionale, firmata a Montreal il 28 maggio 1999.
Nella sentenza in commento, come anticipato, la Corte comunitaria ha stabilito che
l’incidente di cui all’articolo 17, § 1, della Convenzione di Montreal,
ricomprende tutte le situazioni che si producono a bordo di un aeromobile nelle
quali un oggetto impiegato per il servizio ai passeggeri abbia prodotto lesioni
personali ad un passeggero, senza che occorra acclarare se tali situazioni
risultino da un rischio inerente al trasporto aereo.
L’interpretazione fornita potrebbe avere l’effetto di estendere a tal punto la
responsabilità vettoriale da imporre qualche considerazione, anche in punto di
diritto nazionale italiano e internazionale uniforme.
Per quanto riguarda il trasporto marittimo e aereo, a seguito della revisione
della parte aeronautica, nel codice della navigazione italiano, residua la sola
previsione relativa alla responsabilità del vettore marittimo per i sinistri che
colpiscono la persona del passeggero, dipendenti da fatti verificatisi dall'inizio
dell'imbarco sino al compimento dello sbarco, se egli non prova che l'evento è
derivato da causa a lui non imputabile. Difatti, l’analoga disposizione relativa
alla navigazione aerea, di cui all’articolo 942, è stata sostituita dalla
prescrizione assicurativa ed è collocata nella sezione dedicata al trasporto di
persone e bagagli che, nei primi articoli, opera un rinvio generale alla
disciplina comunitaria (articoli
941-947 c. nav.).
Nell’ordinamento giuridico interno, al vettore (articolo 1678 c. civ.) si applica
il regime di responsabilità aggravata per colpa presunta: egli risponde
dell’inadempimento e del ritardo, a norma delle disposizioni in materia di
obbligazioni, e dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore e della
perdita e dell’avaria delle cose, se non prova di aver adottato tutte le misure
idonee per evitare il danno (articolo 1681 c. civ.). Da tale responsabilità, il
vettore può liberarsi solo provando di aver predisposto e adottato tutte le misure
idonee a tenere indenne il passeggero da danni, salva l’eventuale ricorrenza
dell’esimente tipica del caso fortuito, della colpa del passeggero o della colpa
di terzi. Sul viaggiatore, invece, grava l’incombenza della prova del solo titolo
di trasporto. Alla responsabilità contrattuale (articoli 1218 e 1681 c. civ.), si
aggiunge la responsabilità per fatto illecito (articolo 2043 c. civ.), che onera
il passeggero di dimostrare il danno subito, il nesso causale e l’elemento
soggettivo del dolo o della colpa del vettore.
Circa il titolo (contrattuale o extracontrattuale) della responsabilità, va
evidenziato che l’art.
29 della Convenzione di Montreal (divenuta parte integrante dell’ordinamento
giuridico dell’Unione europea in forza della decisione del Consiglio del 5 aprile
2001 (2001/539/CE), nonché per i rinvii alla stessa operati dal Regolamento (CE)
n. 2027/1997, sulla responsabilità del vettore aereo con riferimento al trasporto
aereo dei passeggeri e dei loro bagagli) dispone che, «nel trasporto di
passeggeri, bagaglio e merci, ogni azione di risarcimento per danni promossa a
qualsiasi titolo in base alla presente convenzione o in base a un contratto o ad
atto illecito o per qualsiasi altra causa, può essere esercitata unicamente alle
condizioni e nei limiti di responsabilità previsti dalla presente convenzione».
In pratica, la Convenzione
di Montreal non tiene in alcun conto le differenze basate sul titolo della
responsabilità del vettore previste dall’ordinazione nazionale, con ovvie
conseguenze sul piano dell’applicabilità dei principi di diritto dell’ordinamento
giuridico italiano. Ne consegue che la disciplina interna in materia di
responsabilità vettoriale non può essere di alcun ausilio ai fini
dell’inquadramento del caso in esame.
Nella definizione della responsabilità del vettore aereo, la Convenzione
di Montreal ha stabilito due livelli, sancendo, per i danni alla persona, un
regime di responsabilità oggettiva fino all’importo di 100.000 Diritti
speciali di prelievo (attualmente fissato in 128.821 D.s.p. a seguito della
revisione ex
articolo 24 della medesima Convenzione), delimitandola nell'ambito
spazio-temporale (a bordo dell’aeromobile o nel corso di una qualsiasi delle
operazioni di imbarco o di sbarco), salva la prova liberatoria o della colpa
esclusiva o concorrente del danneggiato (articoli
17-21), e un regime di responsabilità soggettiva per colpa presunta, per la
parte del danno eccedente, potendo il vettore, ai sensi dell’articolo
22, § 2, lettere a) e b), fornire la prova liberatoria. Lo scopo della
Convenzione di garantire copertura giuridica per i danni subiti dai passeggeri
riconducibili al rischio del volo è consacrato nell’articolo
17, relativo alla responsabilità del vettore per i sinistri che cagionino al
passeggero morte o lesioni corporali, sostanzialmente uguale (anche nel
riferimento numerico) alla analoga disposizione della precedente Convenzione
per l'unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale,
firmata a Varsavia il 12 ottobre 1929.
Tuttavia, il tenore letterale della disposizione non consente di qualificare
precisamente le caratteristiche del fatto costitutivo dell’obbligazione
risarcitoria: difatti, le accezioni di «accident», nei testi inglese e
francese, e di «incidente», nel testo italiano, contenute nell’articolo
17, in termini di significato, fanno riferimento a un evento casuale, a un
sinistro, o infortunio. Sorvolando sulla eventualità che il fatto causativo del
danno alla persona del passeggero riguardi solo la sua integrità fisica oppure
anche una alterazione dello stato psichico (che ha impegnato a lungo dottrina e
giurisprudenza), si pone dunque la questione della qualificazione dell’evento, di
cui manca una definizione in seno agli atti convenzionali, sia del 1999 che del
1929.
Un intervento sul termine accident fu
tentato dal Protocollo
di Guatemala City del 1971 – mai entrato in vigore –, che emendava l'articolo
17 della Convenzione di Varsavia, introducendo il termine fait che
connota l’evento in termini decisamente meno restrittivi. Quella, così come i
lavori preparatori della Convenzione
di Montreal, si rivelarono una occasione persa fornire una nozione di
incidente dai contorni più chiari e definiti.
Neppure il ricorso all’Annesso XIII, Aircraft Accident and Incident
Investigation, della Convenzione sull'aviazione civile internazionale
firmata a Chicago il 7 dicembre 1944, o alle definizioni contenute nel regolamento
(UE) n. 996/2010, inerente alla prevenzione degli incidenti aeronautici, sono di
ausilio nella individuazione del significato più appropriato da attribuire al
termine. Infatti, sebbene entrambi rechino una definizione di incidente
(nell’Annesso, incident è inteso come una «occurrence associated with
the operation of an Aircraft» idonea a incidere sulla sicurezza delle
operazioni; nel regolamento, invece, l’incidente è riconducibile a un evento in
cui una persona riporti lesioni gravi o mortali, l’aeromobile riporti avarie o
danni strutturali o l’aeromobile sia scomparso o completamente inaccessibile),
tuttavia, lo scopo degli atti in questione di prevenire gli incidenti di safety
non consente di configurare il caso di specie ai sensi delle definizioni
riportate negli stessi.
Sulla questione, peraltro, già da tempo è impegnata la giurisprudenza di common
law che ha connotato la nozione di accident di cui all’articolo
17 della Convenzione di Varsavia in modo da riferirlo a un evento inusuale
od inatteso, ovvero di intensità inusuale o inattesa rispetto al volo (nei casi Quinn
v. Canadian Airlines International Ltd., Ontario Court – General Division –,
30 maggio 1994, e Koor v. Air Canada, la Ontario Superior Court of Justice,
12 giugno 2001, i Giudici hanno sostanzialmente escluso che i danni derivanti da
turbolenze configurassero accident). Nel noto caso Air France v. Saks,
la Corte suprema degli Stati Uniti ha definito accident come un «unexpected or
unusual event or happening that is external to the passenger» escludendo la
rottura del timpano dal novero degli incidenti, in caso di corretto funzionamento
dell’impianto di pressurizzazione dell’aeromobile (sentenza 4 marzo 1985).
Anche la giurisprudenza nazionale di legittimità – sulla base dell’articolo 942
(nel testo previgente alla riforma del codice della navigazione) e della
disposizione contenuta nell’articolo 1681 c. civ. – è giunta alle medesime
conclusioni della Corte degli Stati Uniti nel caso Air France vs. Saks,
laddove ha escluso la responsabilità vettoriale in assenza di accadimenti anomali
nella navigazione (nel caso di specie, il passeggero – nonostante gli specifici
precedenti anamnestici – aveva perduto l’udito durante la manovra di atterraggio
dell'aereo, per la normale variazione della pressione barometrica nell'aeromobile,
cfr. Cass. civ. Sez. III, 15 febbraio 2006, n. 3285).
In pratica, i riportati indirizzi giurisprudenziali evidenziano che, fintanto che
le operazioni di volo si svolgono nell’intervallo di valori tecnicamente
accettabili in termini di safety, come risultanti dai manuali d’impiego e
dalla specifiche tecniche degli aeromobili, un incidente non può essere ritenuto
perturbativo di per sé e, di conseguenza, va escluso il rapporto di causalità
diretta tra l’incidente e le lesioni eventualmente subite dai passeggeri (si rende
peraltro conto che pende, attualmente, una ulteriore questione pregiudiziale
innanzi alla Corte di giustizia avente a oggetto proprio la nozione di accident,
relativamente al caso di un passeggero che avrebbe sofferto di un’ernia del disco
a seguito di un atterraggio duro. Cfr. causa C-70/20, YL c. Altenrhein
Luftfahrt GmbH).
Alla stregua della giurisprudenza americana e nazionale menzionata, in mancanza di
un evento anomalo nella navigazione, il caso del caffè rovesciato non dovrebbe
essere riconducibile alla nozione di incidente ai sensi dell’art. 17. Così
interpretando, però, e in mancanza della distinzione netta dei titoli di
responsabilità vettoriale (contrattuale ed extracontrattuale) a livello
comunitario e uniforme, il passeggero sarebbe penalizzato nell’ottenimento del
risarcimento del danno subito. Con molta probabilità, è proprio questa la ragione
che ha indotto la Corte di giustizia a ricondurre qualsivoglia evento, delimitato
nell’ambito spazio-temporale che va dalle operazioni di imbarco a quelle di
sbarco, alla nozione di incidente risarcibile, senza ravvisare la necessità di
verificare se la specifica situazione risulti da un rischio inerente al trasporto
aereo o meno.
Sebbene l’intento appaia apprezzabile, in quanto tale interpretazione garantisce
al passeggero la rifusione dei danni subiti anche a causa di eventi non
riconducibili direttamente alla navigazione aerea, tuttavia, la pronuncia non
appare condivisibile, sia sotto il profilo del «giusto equilibrio degli interessi»
dei vettori aerei e dei passeggeri sancito nel preambolo della Convenzione
di Montreal, sia perché, non tenendo conto della giurisprudenza menzionata,
nell’interpretazione della Convenzione
di Montreal, la Corte comunitaria non sembrerebbe essersi attenuta ai canoni
ermeneutici del diritto internazionale generale, che si impongono pure all’Unione
europea.
ELEONORA
PAPI REA
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Trasporto aereo internazionale – Convenzione di Montreal del
1999 art. 33 – giurisdizione - competenza territoriale
Giurisdizione
e competenza territoriale nel trasporto aereo secondo la Corte europea di
Giustizia.
La sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 7 novembre
2019 nella causa C-213/18, rispondendo al secondo quesito postole dal Tribunale di
Roma, ha statuito che l'art.
33 della convenzione di Montreal del 1999 non regola solo la giurisdizione,
ma anche la competenza territoriale all'interno dello stato giurisdizionalmente
competente.
Nella vigenza del precedente sistema basato sulla convenzione
di Varsavia del 1929, sin dalla sentenza a sezioni unite n. 6630 del
15.6.1993 la Cassazione italiana aveva affermato che la norma individua
esclusivamente lo stato avente giurisdizione e non anche alla competenza al suo
interno, che rimane soggetta al regime interno dello Stato in cui l'attore decide
di intraprendere il giudizio. Tale orientamento era condiviso dalla dottrina ed è
stato seguito in successive pronunce.
L'art.
33 della Convenzione di Montreal, avente per titolo "Giurisdizione", sotto
tale aspetto ha una formulazione analoga a quella dell'art.
28 della convenzione di Varsavia del 1929, da cui deriva. Non v'era quindi
alcun ragionevole motivo per discostarsi da tale orientamento una volta
sopravvenuta la Convenzione
di Montreal del 1999, che del precedente sistema costituisce l'evoluzione.
Tuttavia il Tribunale di Roma, anziché seguire tale autorevole insegnamento, ha
preferito non tenere in alcun conto le decisioni della Corte di cassazione e
rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Quest'ultima
non sembra aver approfondito più di tanto la questione; senz'altro non tanto
quanto aveva fatto in precedenza la nostra Corte di cassazione.
La Corte di giustizia, infatti, rilevato che la disposizione dell'art. 33 "riguarda
innanzitutto il «territorio di uno degli Stati parti» e indica poi l’autorità
giurisdizionale che, fra quelle situate in tale territorio, può dichiararsi
competente ratione loci, mediante criteri di collegamento precisi", ne
deduce che "in ragione della sua stessa formulazione, si deve ritenere che
l’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Montreal disciplini altresì la
ripartizione della competenza territoriale fra le autorità giurisdizionali di
ciascuno degli Stati parti di quest’ultima" (punti da 49 a 51 della
sentenza).
Peccato che il punto
4 dell'art. 33 precisi (come precisava il
II comma dell'art. 28 della Convenzione di Varsavia) che "Si applicano le
norme procedurali del tribunale adito"; elemento trascurato dalla Corte di
giustizia, ma giustamente valorizzato dalla nostra cassazione, la quale ha
ritenuto, nel regime di Varsavia, che tale norma attiene esclusivamente alla
giurisdizione e non anche alla competenza interna, richiamando i fori alternativi
solo come criteri di collegamento giurisdizionale e non come criteri di
competenza, che rimane soggetta al regime interno dello Stato in cui l'attore
decide di intraprendere il giudizio, atteso che il secondo comma del suddetto
articolo stabilisce che le regole di procedura - tra le quali vi sono quelle
determinanti anche la competenza territoriale - sono quelle del tribunale adito"
(cass. ordinanza n. 11183 del 26/05/2005).
Se quindi la competenza territoriale è stabilita solo dall'art
33 della Convenzione di Montreal, non sarà applicabile l'art. 20 c.p.c.
(luogo in cui è sorta o avrebbe dovuto essere adempiuta l'obbligazione), il cui
foro nel caso concreto non necessariamente corrisponde ad uno di quelli della
Convenzione.
Non solo. Come logica conseguenza del ragionamento seguito dalla novella pronuncia
della corte europea dovrebbe ritenersi che, oltre alla competenza interna per
territorio, l'art.
33 della Convenzione di Montreal stabilisca anche la competenza interna per
valore e la riservi al solo tribunale. La norma infatti parla esplicitamente di
Tribunale ("tribunal" nei testi ufficiali francese e spagnolo, "court"
in quello ufficiale inglese); sicché, seguendo lo stesso principio, allora anche
tutte le cause che sarebbero di competenza del giudice di pace dovrebbero andare
davanti al tribunale. In pratica, tutte quelle per danni ai bagagli che affollano le aule dei giudici di pace,
in virtù del limite di 1.288 Diritti
speciali di prelievo per passeggero dell'art.
22.2. della Convenzione.
ENZO
FOGLIANI
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Concessioni
di beni demaniali marittimi ad uso turistico- ricreativo — proroga
generalizzata e automatica della durata ex art. 1, comma 683 L. 30.12.2019
n. 145 e contrasto con art. 12 Direttiva 2006/123/CE – art. 182, comma 2,
D.L. 19 maggio 2020 - atto amministrativo adottato in applicazione della
norma nazionale.
Proroga
delle
concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo. Efficacia e
natura degli atti amministrativi emessi in attuazione della normativa
nazionale
La
questione della durata delle concessioni demaniali marittime ad uso
turistico-ricreativo costituisce, ormai da quasi vent’anni, un banco di prova per
tutti coloro che, a vario titolo, si sono trovati ad intervenire sulla materia:
dal legislatore – nazionale e regionale -, agli organi giurisdizionali, alle
pubbliche amministrazioni.
L’argomento potrebbe
annoverarsi tra le tante capziose questioni di diritto che spesso appassionano
solo gli esperti, se non fosse che la sua “non definizione” ha risvolti pratici
gravi a danno di un intero sistema produttivo, che, secondo i sindacati di
settore, rappresenta il 13% del PIL italiano (indotto incluso).
I quasi vent’anni di
evoluzione/involuzione normativa e giurisprudenziale potrebbero riassumersi così:
- la fattispecie delle concessioni
demaniali marittime, tradizionalmente regolata dal codice della navigazione,
subisce un primo stravolgimento con l’entrata in vigore della L. n. 494/1993
(conversione del d. l. n. 400/1993), che raggruppa le concessioni demaniali
marittime in categorie, distinte per finalità, e impone una disciplina
specifica alle concessioni ad uso turistico – ricreativo, quali la loro durata
quadriennale e il “diritto di insistenza”, cioè la “preferenza”
del concessionario uscente rispetto alle nuove istanze al termine del rapporto
concessorio (art. 37, II comma
cod. nav.);
- con l’entrata in vigore dell’art. 10,
comma 1 Legge n. 88/2001, le concessioni acquistano durata sessennale e
sono soggette al rinnovo automatico di sei anni in sei anni, salvo le ipotesi
di revoca previste dall’art.
42 codice della navigazione;
- il d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010
mette in esecuzione la Direttiva comunitaria n. 123/2006/CE ( cd. Direttiva
Bolkenstein), che all’art.12 impone agli Stati membri il principio di
selezione competitiva tra i candidati potenziali allo svolgimento di attività
imprenditoriali “qualora il numero di autorizzazioni disponibili sia
limitato per via della scarsità delle risorse naturali”; in tali casi “l’autorizzazione
è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la
procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore
uscente”.
- valutato tale principio incompatibile
sia con il rinnovo automatico delle concessioni (art. 10 L. 88/2001) che con
la preferenza accordata al concessionario uscente alla scadenza della
concessione (art. 37
cod. nav.), la Commissione Europea attiva la procedura d’infrazione n.
2008/4908, intimando la revisione della normativa interna nel rispetto dei
principi comunitari;
- il Governo nazionale tenta
inizialmente una soluzione di compromesso: abroga il diritto di preferenza ed
annuncia la revisione del quadro normativo, ma, contestualmente, nelle more
del procedimento di revisione, proroga le concessioni esistenti al 31.12.2015
( art.1, co. 18, D.L. 194/2009);
- la Commissione europea mostra di non
apprezzare il tentativo e ci invita ad un effettivo rispetto dei principi
comunitari (atto di messa in mora complementare n. 2010/2734 del 5 maggio
2010);
- a questo punto, il legislatore
nazionale non può che aderire all’invito della Commissione: con l’art. 11
della L. 217/2011 (legge comunitaria 2010) abroga il rinnovo automatico delle
concessioni e delega il Governo ad emanare, nei quindici mesi successivi, un
decreto legislativo di revisione e riordino della legislazione relativa alle
concessioni demaniali marittime;
- la procedura di infrazione viene finalmente
chiusa il 27.02.2012;
- successivamente, nelle more del procedimento
di revisione, l’articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012 posticipa la
scadenza della proroga sino al 31 dicembre 2020.
- l’iniziativa governativa viene inizialmente
legittimata dalla giurisprudenza amministrativa, che interpreta la proroga
come un regime transitorio necessario a consentire l’adeguamento della
normativa interna alle disposizioni comunitarie (Consiglio di Stato,
sez. VI, n.525/2013).
- successivamente tuttavia, sono gli stessi
Giudici amministrativi ad investire la Corte di Giustizia Europea della non
conformità della proroga con i principi comunitari, proponendo la questione
pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE in due diversi procedimenti, uno
pendente al Tar Lombardia e l’altro al Tar Sardegna;
- riuniti i due procedimenti, la sez. V della
Corte di Giustizia si pronuncia il 14 luglio 2016. La sentenza costituisce il
punto di svolta nel sistema di affidamento dei beni demaniali, enunciando, tra
gli altri, il principio che la proroga automatica delle concessioni demaniali
ad uso turistico ricreativo costituisce una violazione dell’articolo 12 Dir.
Bolkenstein (lì dove le autorizzazioni disponibili siano limitate per via
della scarsità di risorse naturali) e comunque dell’art.49 TFUE, ove tali
concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo: secondo il
Consesso europeo, quindi, la proroga automatica delle concessioni è contraria
ai principi euro-unitari della concorrenza, libertà di stabilimento e libera
circolazione dei servizi stabiliti dall’Unione Europea;
- ciononostante, l’art. 1 comma 683 della L.
145/2018 (Legge di Bilancio 2019) ripropone il medesimo meccanismo cassato
dalla Corte di Giustizia, prevedendo che, nelle more della riforma
organica delle norme di settore, “le concessioni disciplinate dal
comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti
alla data di entrata in vigore della presente legge hanno una durata, con
decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni
quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il
decreto di cui al comma 677, rappresentano lo strumento per individuare le
migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale”;
- ancora una volta, la giurisprudenza
amministrativa accoglie la nuova proroga con approccio inizialmente
favorevole: si vedano le otto sentenze gemelle Cons. Stato sez. V n. 7251-7258
del 24 ottobre 2019, che riconoscono espressamente la validità della nuova
proroga;
- neanche un mese dopo, è la VI Sezione dello
stesso Consiglio di Stato a stigmatizzare - con un ragionamento molto
articolato, seppure nella forma dell’obiter dictum – l’operato del
legislatore del 2018, ribadendo come “alla luce del prevalente orientamento
giurisprudenziale, non è in alcun modo riscontrabile una proroga automatica
ex lege di una concessione demaniale marittima” (Cons. Stato, sez. VI,
n. 7874 del 18 novembre 2019);
L’ultima sentenza richiamata rappresenta un vero e proprio tsunami giuridico per
la pubblica amministrazione coinvolta nella gestione delle concessioni demaniali
marittime.
Il Supremo Consesso non si
limita infatti a confermare la contrarietà ai principi comunitari e al diritto
europeo delle varie proroghe che si sono succedute nel tempo – e quindi anche
dell’ultima di cui all’art.1 comma 683 L. 145/2018-, ma sostiene che la
disapplicazione di una norma nazionale confliggente con il diritto euro unitario,
“costituisca un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e,
quindi, anche per l’apparato amministrativo e per i suoi funzionari, qualora sia
chiamato ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro unitario”.
In conclusione, prosegue la
sentenza, “qualora emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale
e i principi del diritto eurounitario, è fatto d’obbligo al dirigente
che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale (o regionale) di
non applicarla”.
Gli effetti di questa
pronuncia sull’azione amministrativa sono comprensibili e prevedibili: dopo i
primi mesi di disorientamento e qualche coraggioso tentativo di recepimento della
norma nazionale da parte di alcune Amministrazioni, si sono alzate a gran voce le
richieste di intervento al Governo, affinché sbloccasse l’empasse, tramite
definizione e presentazione della riforma organica delle norme di settore, attesa
da tempo.
Il sopraggiungere
dell’emergenza sanitaria Covid 19 e la conseguente grave crisi economica, che sta
incidendo con particolare severità sul comparto turistico, ha determinato il
Governo a prendere posizione sulla problematica, con l’intento proclamato di
confermare la proroga prevista dal comma 683 della Legge di stabilità 2018 e così
rafforzare l’estensione della durata delle concessioni demaniali fino al 2033.
Si è quindi approdati all’art.182 comma 2 del cd. Decreto Rilancio: “In
riferimento ai beni del demanio marittimo in concessione, tenuto conto degli
effetti derivanti nel settore dall’emergenza da Covid-19 nonché dell’esigenza di
assicurare la certezza dei rapporti giuridici e la parità di trattamento tra gli
operatori, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 1, commi 682 e 683
della legge 30 dicembre 2018, n. 145, per le aree e le relative pertinenze
oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure
di procedimenti di nuova assegnazione, gli operatori proseguono l’attività nel
rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto, fatto
salvo quanto previsto dall’articolo 34 del decreto legge 30 dicembre 2019, n.
162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e gli
enti concedenti procedono alla ricognizione delle relative attività, ferma
restando l’efficacia dei titoli già rilasciati.”
La formulazione della norma,
probabilmente di non immediata comprensione, ha già dato adito a qualche critica
da parte degli operatori del settore, che speravano di poter definitivamente
fugare i dubbi interpretativi sulla legittimazione della proroga e così consentire
alle amministrazioni di attivare celermente i procedimenti amministrativi
conseguenti senza il rischio di contestazioni; tuttavia, costituisce una conferma
della volontà del Legislatore di garantire la continuità imprenditoriale per le
imprese del settore, già sancita dalla legge di stabilità 2018 ed oggi
particolarmente opportuna vista la difficile contingenza economica conseguente
alla pandemia.
Vedremo a questo punto se e
come la pubblica amministrazione intenderà procedere, essendo suo il compito
di predisporre i provvedimenti ricognitivi della durata quindicennale delle
concessioni demaniali; provvedimenti che, come evidenziato dal Consiglio di Stato
con la sentenza n. 7874/19, potrebbero venire annullati o addirittura essere
dichiarati nulli per contrarietà alla normativa comunitaria.
Il timore, insomma, è che non
sia ancora giunto il tempo di imporre la parola fine a questo lungo ed insanabile
contrasto tra norma interna e principi comunitari.
Si impone a questo punto, come
particolarmente urgente, il tanto atteso intervento organico di riforma del
settore, a tutela delle imprese che vi operano e, più in generale, del principio
di certezza del diritto.
ELENA PROVENZANI
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Aviazione
- SAPR - APR-
Aeromobili
a pilotaggio remoto) Codice Navigazione - Enac- Regolamento- Commissione
Europea - registro droni- Attestato pilota - idoneità psico-fisica - operazioni
di volo- LIC15A
Il
nuovo regolamento ENAC per i droni.
Enac
si è pronunciata fin dalla sua prima edizione del “Regolamento
mezzi aerei a pilotaggio remoto” del 2013 al fine di dare
attuazione all’art. 743
del Codice della Navigazione (“Nozione di aeromobile”: “Per aeromobile si
intende ogni macchina destinata al trasporto per aria di persone o cose. Sono
altresì? considerati aeromobili i mezzi aerei a pilotaggio remoto,
definiti come tali dalle leggi speciali, dai regolamenti dell’ENAC e, per quelli
militari, dai decreti del Ministero della Difesa (omissis)”).
I
SAPR, dunque, i cosiddetti “Sistemi a pilotaggio remoto”, rientrano
all’interno della categoria di aeromobile, dunque anche un drone molto piccolo, e
ciò non è cosa da poco conto: basti pensare infatti che un velivolo VDS (volo da
diporto o sportivo) non è considerato giuridicamente “aeromobile” ex
art. 743 c.nav. Da qui
la susseguente attestazione di quanto sia stata considerata precipua e necessaria
un’adeguata regolamentazione del settore di tali mezzi “unmanned” (APR,
aeromobili a pilotaggio remoto) per gli sviluppi in seno all’aviazione moderna e
per il loro sempre più cruciale impiego (in ultimo, si ricordi il loro attuale
utilizzo per l’emergenza Corona Virus).
Il
Regolamento Enac oggetto del presente commento ha avuto nel corso del tempo più
rivisitazioni (seconda
edizione edita nel 2015 e quattro emendamenti successivi, l’ultimo
redatto nel 2018) per adeguare alla normativa europea il carattere interno
della propria disciplina in materia di pilotaggio remoto, per semplificare e
rendere più rapidi l’iter delle dichiarazioni e dell’espletamento di tutte le
procedure fondanti, nonché al fine di rendere il sistema in sé più sicuro, e ciò
fino a giungere alla sua
terza edizione, quella attuale del 11.11.2019, che ha alla data odierna già
sua piena validità, sia istituzionale, sia operativa (è entrato infatti in vigore
il trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sul sito internet di Enac,
annullando e sostituendo la seconda edizione, quarto emendamento del 21.05.2018,
art. 38).
Il
Regolamento medesimo, all’art 2 delimita la sua applicabilità: “si applica alle
operazioni dei SAPR di competenza ENAC e alle attività? degli aeromodelli che si
svolgono all’interno dello spazio aereo nazionale” e all’art. 7 ne definisce
l’ambito di impiego e la loro caratterizzazione: operazioni specializzate
(distinte a loro volta nei seguenti artt. 9 e 10 in non critiche e critiche),
attività non specializzate (in scenari non critici), attività di ricerca e
sviluppo, uso professionale e ricreativo, operazioni che a loro volta si
suddividono in “VLOS” (“Visual Line of Sight”), “EVLOS” (“Extended
visual line of sight”) e “BVLOS” (“Beyond visual line of sight”), a
seconda che esse siano o meno condotte entro una distanza tale per cui il pilota
remoto (la cui età minima è fissata dal novellato art. 20 del Reg. ad anni 16 - da
notare che nel 2018 il limite era ancora di anni 18) è in grado di mantenere il
contatto visivo continuativo per la condotta del volo.
La
caratteristica cruciale della terza edizione del Regolamento Enac del 2019 posta
oggi alla nostra attenzione è senz’altro quella di anticipare la disciplina
normativa prevista a livello europeo dai Regolamenti pubblicati sulla Gazzetta
Ufficiale della Commissione UE, atti a inserire mandatori elementi destinati alla
regolamentazione dei sistemi a pilotaggio remoto e più precisamente: il
Regolamento delegato (EU) 2019/945 che stabilisce le regole per
l’immissione nel mercato dei SAPR e il relativo Regolamento
di esecuzione (EU) 2019/947 che definisce le regole applicabili alle
operazioni dei SAPR, ai piloti e agli operatori, disposizioni fondanti entrate in
vigore il 01 Luglio 2019 ed applicabili dal 1 Luglio 2020.
Il
Regolamento Enac del 2019 anticipa due requisiti-chiave previsti dalla
Regolamentazione Europea: la registrazione dell’operatore di droni e l’obbligo
della marcatura per il singolo drone (marcatura CE per indicare le specifiche e le
limitazioni di sicurezza). In sostanza, tutti i droni dovranno essere registrati e
assicurati con esclusione dei giocattoli e dei droni di peso inferiore a 250
grammi (che non hanno sensori di ripresa di dati personali). Gli apparecchi dunque
con peso uguale e maggiore di 250 grammi (distinti a loro volta tra quelli con
massa operativa al decollo minore di 25 Kg e quelli con massa maggiore di 25 Kg,
art 6Reg.) dovranno essere muniti di identificazione elettronica che rendano
dunque certa, durante il loro funzionamento, sia la loro posizione sia quella del
pilota (nonché di chi ne è titolare). I piloti, dovranno conseguire poi, il
relativo attestato per essere titolati al comando del drone. A partire dalla data
indicata ex art 37 del Regolamento, tutti i piloti APR devono assolvere l’obbligo
di conseguimento dell’attestato di competenza. Da qui l’emanazione della circolare
“serie licenze”: “Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto - centri di
addestramento e attestati pilota” del 14.04.2020 proprio per fornire le
procedure e le modalità per il conseguimento dell’Attestato di Pilota APR e per la
certificazione del Centro di Addestramento Apr.
Gli
elementi più significativi introdotti:
- 1. Decade la distinzione
tra impiego professionale e impiego ricreativo degli APR e le regole si
differenziano in riferimento in funzione del livello di rischio assunto dal
drone (peso, velocità, presenza di persone)
- 2. Fissazione limite di
età per pilota APR: anni 16 e non più anni 18
- 3. Ogni pilota di APR
dovrà essere munito di attestato (ergo, anche quello deputato a volo
cosiddetto ricreativo effettuato da drone di peso uguale o maggiore a 250
grammi, a partire dal 01 Marzo 2020, circolare del 14.04.2020).
- 4. Il conseguimento
dell’attestato, di validità pari ad anni cinque, e rinnovabile, riconosce la
competenza al volo al pilota APR e consta di corsi di formazione e di esami
anche on line che variano a seconda della tipologia del drone (minori e
maggiori di Kg 25), di conduzione (es: operazioni critiche e non critiche per
droni con peso inferiore a Kg 25); di impieghi del mezzo in condizioni VLOS,
EVLOS, BVLOS. Ergo, da prove di idoneità “light” on line (con esame
finale), all’aggiunta di corsi di formazione presso Centri di addestramento
APR autorizzati (con esame finale) a “skill” tests con Esaminatore
APR. Non sussiste più dunque differenziazione tra attestato e licenza di
pilota APR (seconda ediz. Del Reg., 2018).
- 5. Ogni pilota di APR non
dovrà più essere munito di certificato medico di idoneità psico-fisica (a
partire dall’entrata in vigore del presente Regolamento, 15 Dicembre 2019),
ergo sia per operazioni critiche che non critiche. L’unico limite “soggettivo”
è quello riportato nell’art 7 (6a) del Reg. dove al pilota APR è richiesto di
astenersi dallo svolgere i propri compiti in particolari condizioni
psico-fisiche (uso di sostanze psicoattive, alcolici, lesioni, fatica
operazionale, malattie, cure mediche…)
- 6. Ogni drone di massa
uguale o maggiore di 250 grammi dovrà essere registrato a partire dal 01
Luglio 2020 (portale D-Flight). Vale sia per gli operatori di SAPR impiegati
per uso professionale (qualsiasi peso), sia per gli operatori/proprietari di
APR (di massa appunto uguale o maggiore di 250 grammi). Esclusi dunque i
giocattoli e i droni di peso inferiore a 250 grammi (che non hanno sensori per
la ripresa di dati personali)
- 7. Ogni drone e per
qualsiasi uso deve essere assicurato.
- 8. Le operazioni della
categoria “open”, ossia quelle a basso rischio, “non critiche”,
che costituiscono l’impiego più diffuso dei droni (fino a Kg 25) si svolgono
senza formalità, ossia senza autorizzazione dell’Autorità Governativa, a
differenza delle altre di medio e di alto rischio (per le operazioni critiche
e specializzate critiche che però ricadono negli scenari standard pubblicati
da Enac è necessaria la dichiarazione da parte dell’operatore SAPR attraverso
la piattaforma “D-Flight”). Ovviamente per tutti si applicano le regole di
circolazione e di utilizzo dello spazio aereo (Art. 24 e segg)
- 9. Introduzione della
piattaforma tecnologica: “D-Flight”,“portale dedicato agli operatori SAPR per
la fornitura di servizi di registrazione, geo consapevolezza, identificazione
a distanza e pubblicazione delle informazioni sulle zone geografiche”.
Da
una parte abbiamo dunque un’importante classificazione delle operazioni di volo e
dei SAPR in senso oggettivo (operazioni critiche, non critiche, specializzate, non
specializzate, entro e fuori dagli scenari standard, di tipo VLOS, EVLOS, BVLOS,
droni impiegati per uso professionale, ricreativo, dalla determinata massa, etc…),
dall’altra il requisito soggettivo legato al pilota APR è considerato
esclusivamente in accordo all’attestazione delle proprie capacità “funzionali”
alle operazioni da svolgere e ai droni impiegati stessi, non anche alla propria
intrinseca idoneità psico - fisica al volo. Resta da comprendere perché sia stata
espunto, partendo dalla posizione europea, proprio il requisito più intimo e più
legato agli standard di sicurezza del volo, quello dell’idoneità psico-fisica,
come se, proprio perché trattasi di sistemi a pilotaggio remoto, la non presenza
in volo del pilota, lo esoneri dall’approfondimento della propria “fitness to
fly”, idoneità soggettiva medico legale al volo medesimo in presenza di
operazioni considerate comunque “open”, a basso rischio.
Lo
scenario legale, sia nei riguardi della normativa interna sia di quella Europea,
sotteso all’applicazione del Regolamento Enac del 2019, e in particolare
all’attestazione del riconoscimento di competenza richiesto al pilota di APR, che
dunque emerge da questa prima e introduttiva disamina, è avvincente, anche per i
quesiti qui già emersi, e sarà oggetto di un successivo approfondimento dedicato
alla Circolare Enac 14.04.2020.
NICOLETTA
CECI
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* *
Trasporto
aereo internazionale di persone - Convenzione Montreal del 1999 art. 17 -
perdita del bagaglio - responsabilità del vettore - natura ed entità dei
danni risarcibili - limite di responsabilità ex art. 22 - applicabilità al danno
non patrimoniale.
Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale e sulla sua
quantificazione, ai sensi degli artt. 17-22 della Convenzione di Montreal
del 1999.
Il provvedimento in epigrafe affronta il tema
del risarcimento dei danni subiti dal passeggero durante il trasporto aereo, in
conseguenza dello smarrimento del proprio bagaglio. La fattispecie è disciplinata
dalla Convenzione
di Montreal del 1999, che sostituendo quella di Varsavia
del 1929 ed i relativi protocolli modificativi, ha inteso unificare alcune
norme sul trasporto aereo internazionale. La detta Convenzione è stata ratificata
e resa esecutiva in Italia con la legge n.12 del 2004.
FATTO - Nel caso in esame la Compagnia aerea
smarriva durante un volo internazionale il bagaglio del passeggero, contenente i
rulli di un’opera cinematografica che lo stesso avrebbe dovuto presentare ad un
festival internazionale del cinema.
La perdita del bagaglio dava luogo alla richiesta
da parte del viaggiatore del risarcimento dei danni subiti aventi natura sia
patrimoniale sia non patrimoniale, sulla base degli artt.
17-22 della Convenzione di Montreal del 1999.
Con il ricorso è stata impugnata la sentenza
della Corte di Appello che aveva rigettato il gravame avverso la decisione del
Tribunale; il giudice di prime cure aveva accolto parzialmente la domanda di
condanna della Compagnia aerea al risarcimento dei danni patrimoniali e non
patrimoniali (danno morale, lesione all’immagine ed alla reputazione) e, avendo
ritenuto provato il danno non patrimoniale o morale, aveva condannato la Compagnia
al pagamento della somma (€ 1.067,40) quantificata con riferimento alla misura di
1.000 diritti speciali di
prelievo per passeggero (oggi peraltro aumentati a 1.288 DSP). Tale
quantificazione era stata effettuata ai sensi dell’art.
22 comma 2 della Convenzione di Montreal, sul presupposto che non era stata
resa al vettore al momento della consegna del bagaglio la dichiarazione speciale
di interesse alla consegna a destinazione; la sola che consenta di superare il
detto limite al risarcimento, obbligando il vettore, in caso di distruzione,
perdita o deterioramento del bagaglio, a risarcire il danno sino alla concorrenza
della somma dichiarata.
A tal riguardo si precisa che, comunque, è fatta
salva dal suddetto articolo la possibilità del vettore di dimostrare che la somma
dichiarata è superiore all’interesse reale del mittente alla consegna a
destinazione.
DIRITTO -
In questa sede, in conseguenza della tematica affrontata, si ritiene opportuno
esporre unicamente i motivi di ricorso strettamente afferenti gli articoli della
Convenzione di Montreal che disciplinano il risarcimento dei danni conseguenti
alla perdita del bagaglio, così di seguito sinteticamente riassunti.
- a) Violazione dell’art.
17 comma 1 della Convenzione di Montreal e dell’art. 2 L.274/1988 nel
ritenere che il primo comma dell’art. 17 riguardi solo le lesioni fisiche e non
anche quelle personali che il passeggero subisce in conseguenza della perdita
del proprio bagaglio, nonché violazione dell’art.1229 comma 2 del c.c., sulla
base del quale è vietato escludere o limitare la responsabilità del debitore per
gli obblighi che derivino da norme di ordine pubblico, quale è il dovere di
risarcire i danni causati ai diritti inviolabili della persona;
- b) erronea interpretazione dell’art.
22 della Convenzione di Montreal nel ritenere applicabile il limite
risarcitorio di 1000 diritti speciali di prelievo sia al danno patrimoniale che
a quello non patrimoniale, dovendo invece tale limite valere solo per il danno
patrimoniale; omessa e contraddittoria motivazione consistente nel riconoscere
risarcibili i danni non patrimoniali e negazione di fatto della loro
risarcibilità con l’applicazione del limite di 1000 diritti speciali di
prelievo per tutti i danni patiti in conseguenza della perdita del bagaglio;
- c) questione di illegittimità costituzionale
della L.12/2004 con riferimento agli artt.
17 e 22 della citata Convenzione di Montreal.
La Suprema Corte ha rigettato integralmente il
ricorso, e con particolare riferimento ai motivi sopra indicati ha così motivato.
1) In relazione ai punti a-b) la Corte ha precisato
che l’art.17
della Convenzione di Montreal distingue in maniera chiara le ipotesi di “morte
e lesione dei passeggeri” (disciplinata al 1° comma) da quella dei “danni ai
bagagli” (disciplinata al 2°comma).
In questa seconda fattispecie la responsabilità del
vettore per distruzione, perdita o deterioramento dei bagagli è autonoma e specifica
rispetto quella del comma 1, e ad essa è correlata la disciplina prevista all’art.22
comma 2, che limita il risarcimento alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo
per passeggero.
La limitazione di mille diritti speciali di prelievo
per passeggero deve trovare applicazione, sostiene la Suprema Corte, per il danno di
qualsiasi natura subito dal passeggero e dunque sia di natura patrimoniale sia di
natura non patrimoniale, da risarcire quest’ultimo, ove trovi applicazione il
diritto interno, ai sensi dell’art. 2059 c.c.
La omnicomprensività del danno risarcibile ai sensi
dell’art. 22
comma 2 della Convenzione di Montreal è ribadita con il richiamo al principio
enunciato dalla stessa Corte nella Sentenza n.14667/2015.
Essendo pertanto indifferente la natura del danno
subito, la Corte di merito ha correttamente applicato la nozione omnicomprensiva
contenuta nell’art.
22 comma 2 della Convezione di Montreal, con la conseguenza che la
limitazione della responsabilità del vettore si sarebbe potuta superare solo con
l’effettuazione della dichiarazione speciale di interesse.
2) In riferimento al punto sub c) la Suprema
Corte ha ritenuto infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale.
La limitazione della responsabilità prevista
dalla normativa costituisce secondo la Suprema Corte “un equilibrato
contemperamento degli interessi delle compagnie aeree e dei diritti dei
passeggeri” che non contrasta con i principi costituzionali.
Infatti se da una parte la limitazione di
responsabilità consente di tutelare le Compagnie aeree dal rischio di
richieste di risarcimenti di danni non patrimoniali illimitate, conseguenti ai
danni ai bagagli ( distruzione, perdita, deterioramento o ritardo), dall’altra è
prevista una tutela del viaggiatore che può superare tale limitazione
rilasciando la dichiarazione di interesse alla consegna di cui all’art.
22 comma 2 o provando l’esistenza delle condizioni che escludono
l’applicabilità della limitazione come previsto al comma
5 dello stesso articolo 22 ( dolo o colpa grave del vettore o dei suoi
dipendenti).
CRISTINA SPOSI
* * *
Trasporto
aereo internazionale di persone – perdita di bagaglio – contratto di deposito
fra passeggero ed handler – insussistenza - rapporti fra vettore ed handler –
responsabilità del vettore per danni provocati dall’handler - sussistenza
Perdita
di bagagli da parte dell’handler e legittimazione passiva nei
confronti del passeggero
La Cassazione, con
la sentenza in esame, è stata chiamata a decidere in tema di responsabilità per
perdita di bagaglio nel trasporto aereo internazionale.
La vicenda trae
origine da un trasporto aereo da Mosca a Roma e da questa a Bari, effettuato in
due tratte con voli Alitalia, durante il quale viene smarrito il bagaglio di un
passeggero.
Convenuta in
giudizio Alitalia per il ristoro del danno subito, essa chiama in causa il
vettore russo Aeroflot Russian Airlines quale soggetto che ha effettuato i
servizi di handling nell’aeroporto di Mosca, e che, quindi, ha materialmente
preso in consegna il bagaglio smarrito; Alitalia ottiene di essere estromessa
dal giudizio. La sentenza di primo grado, ritenendo sussistere un contratto di
deposito fra il passeggero e l’operatore aeroportuale al quale è stato
consegnato il bagaglio, condanna esclusivamente il vettore russo al risarcimento
del danno.
Appellata innanzi
il tribunale di Bari, la sentenza viene riformata solo in ordine al quantum,
per l’applicazione della Convenzione di Varsavia invece di Montreal ritenuta non
ratificata dalla federazione russa, e rimane tacita l’estromissione
del vettore italiano.
La Cassazione,
richiamando la sentenza in tema di trasporto aereo di cose resa a sezioni unite
n. 21850/2017 (in Diritto dei
trasporti 2018/I, p. 159 con nota di M. Piras, La Cassazione pone
termine (forse) alle controversie sulla responsabilità delle imprese
aeroportuali di handling), riporta giuridicamente i rapporti contrattuali
fra vettore italiano e vettore russo nell’ambito del contratto di handling
aeroportuale, sulla base del quale il vettore italiano ha affidato al vettore
russo prestazioni accessorie al contratto di trasporto (la presa in
consegna del bagaglio). Aeroflot Russian Airlines, dunque, non ha concluso un
contratto di deposito con il passeggero al momento della consegna del bagaglio,
ma ha svolto tali operazioni in qualità di ausiliario del vettore, che è l’unico
soggetto responsabile contrattualmente nei confronti del passeggero.
Osservando la vicenda processuale, per quello che è dato leggere della parte
motiva della decisione, può essere interessante soffermare l’attenzione sulla
chiamata in causa del vettore russo, svolta non in manleva in virtù del
contratto di handling, ma come chiamata del terzo esclusivo responsabile
nei confronti dell’attore, il che ha prodotto una estensione automatica della
domanda principale dell’attore nei confronti del terzo e la estromissione del
convenuto.
Dalla modalità con
cui Alitalia ha svolto la chiamata in causa del vettore russo, si può ipotizzare
che la chiamata in manleva – apparentemente più funzionale ai fini della causa –
non poteva essere spiegata per motivi contrattuali. Non conoscendo il contratto
in essere fra i due vettori, si può ipotizzare che essi abbiano regolato i
rapporti di handling aeroportuale attraverso lo SGHA
Standard Ground Handling Agreement della IATA, il cui art. 8.1 del
main agreement prevede che “the Carrier shall not make any claim
against the Handling Company and shall indemnify it (subject as hereinafter
provided) against any legal liability for claims or suits, including costs and
expenses incidental thereto, in respect of: (omissis) (c) damage to or
delay or loss of baggage, cargo or mail carried or to be carried by the
Carrier”.
Questa rinuncia
all’azione fa parte del più ampio esonero di responsabilità reciproca fra le
parti e rinuncia alla chiamata in garanzia o alla rivalsa per i danni lamentati
da terzi. Unica eccezione, i soli danni fisici e diretti agli aeromobili del
vettore, con limite massimo di 1 milione e 500 mila dollari ed esclusione di
qualsiasi danno indiretto o conseguenziale (art. 8.5 SGHA)