CONSIGLIO DELL’ORDINE

DEGLI AVVOCATI DI ROMA

Dipartimento Centro studi - Formazione e Crediti formativi

Progetto sul Diritto della Navigazione e dei Trasporti

 

Newsletter di Diritto della Navigazione e dei Trasporti

Numero 32 — giugno 2019-maggio 2020

 

Sono lieta di presentare il trentaduesimo numero della Newsletter, frutto dello studio dei componenti della Commissione consiliare sul Diritto della navigazione e dei trasporti.

Sono di seguito riportati gli argomenti trattati e il link per una lettura completa della Newsletter.

Il Consigliere delegato al coordinamento della Commissione sul Diritto della navigazione e dei trasporti

avv. Angelica Addessi

 

 

COMMISSIONE SUL DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE E DEI TRASPORTI

 

CONSIGLIERE DELEGATO: avv. Angelica Addessi

 

COORDINATORE SCIENTIFICO: avv. prof. Enzo Fogliani

 

COLLABORATORI PER LA REDAZIONE DI QUESTA NEWSLETTER:

Avv. Eleonora Papi Rea, avv. Enzo Fogliani, avv. Elena Provenzani, avv. Nicoletta Ceci, avv. Cristina Sposi, avv. Cristina De Marzi.

 

 

Indice degli argomenti trattati


Trasporto aereo internazionale di persone – Convenzione di Montreal del 1999 art. 17 n.1 – rovesciamente di bevanda calda e conseguenti ustioni - responsabilità del vettore - Sussistenza.

Trasporto aereo internazionale – Convenzione di Montreal del 1999 art. 33 – giurisdizione - competenza territoriale

Concessioni di beni demaniali marittimi ad uso turistico- ricreativo — proroga generalizzata e automatica della durata ex art. 1, comma 683 L. 30.12.2019 n. 145 e contrasto con art. 12 Direttiva 2006/123/CE  – art. 182, comma 2, D.L. 19 maggio 2020 - atto amministrativo adottato in applicazione della norma nazionale.

Aviazione - SAPR - APR (Aeromobili a pilotaggio remoto) - codice della navigazione - Enac - regolamento - commissione Europea - registro droni- Attestato pilota - idoneità psico-fisica - operazioni di volo- LIC15A

Trasporto aereo internazionale di persone - Convenzione Montreal del 1999 art. 17 - perdita del bagaglio -  responsabilità del vettore - natura ed entità dei danni risarcibili - limite di responsabilità ex art. 22 - applicabilità al danno non patrimoniale.

Trasporto aereo internazionale di persone – perdita di bagaglio – contratto di deposito fra passeggero ed handler – insussistenza - rapporti fra vettore ed handler – responsabilità del vettore per danni provocati dall’handler - sussistenza

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Trasporto aereo di persone – Convenzione di Montreal del 1999 art. 17 n.1 – rovesciamento di bevanda calda e conseguenti ustioni - responsabilità del vettore - Sussistenza.

CORTE DI GIUSTIZIA UE 19 DICEMBRE 2019, CAUSA C-532/18

Il vettore è responsabile dei danni subiti dal passeggero a bordo anche in assenza di eventi anomali della navigazione aerea.

Con la sentenza 19 dicembre 2019, la Corte di giustizia UE ha affermato che i danni provocati al passeggero dal rovesciamento del caffè bollente in volo debbano essere pagati dalla compagnia aerea.

I fatti. Nell’agosto 2015, nel corso di un volo da Maiorca a Vienna, su un aereo della compagnia aerea Nikki Luftfahrt, mentre l’assistente di volo serviva le bevande, una tazza, colma di caffè caldo e poggiata sul tavolino, scivolava e si rovesciava. Il contenuto della tazza si versava sulla coscia destra e sul petto della passeggera di sei anni seduta sul sedile accanto, provocandole ustioni di secondo grado per circa il 2-4 % della superficie corporea. Non è stato possibile accertare se il tavolino avesse un difetto e fosse inclinato fin dall’inizio, né se la tazza di caffè fosse scivolata a causa di vibrazioni dell’aereo.

A seguito degli opposti pronunciamenti di primo e secondo grado sull’istanza risarcitoria della passeggera nei confronti del vettore, la Corte suprema austriaca proponeva rinvio pregiudiziale ex articolo 267 TFUE (causa c-532/18), alla Corte di giustizia dell’Unione europea un quesito sulla nozione d’«incidente», di cui all’articolo 17, § 1, della Convenzione per l'unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale, firmata a Montreal il 28 maggio 1999. Nella sentenza in commento, come anticipato, la Corte comunitaria ha stabilito che l’incidente di cui all’articolo 17, § 1, della Convenzione di Montreal, ricomprende tutte le situazioni che si producono a bordo di un aeromobile nelle quali un oggetto impiegato per il servizio ai passeggeri abbia prodotto lesioni personali ad un passeggero, senza che occorra acclarare se tali situazioni risultino da un rischio inerente al trasporto aereo.

L’interpretazione fornita potrebbe avere l’effetto di estendere a tal punto la responsabilità vettoriale da imporre qualche considerazione, anche in punto di diritto nazionale italiano e internazionale uniforme.   

Per quanto riguarda il trasporto marittimo e aereo, a seguito della revisione della parte aeronautica, nel codice della navigazione italiano, residua la sola previsione relativa alla responsabilità del vettore marittimo per i sinistri che colpiscono la persona del passeggero, dipendenti da fatti verificatisi dall'inizio dell'imbarco sino al compimento dello sbarco, se egli non prova che l'evento è derivato da causa a lui non imputabile. Difatti, l’analoga disposizione relativa alla navigazione aerea, di cui all’articolo 942, è stata sostituita dalla prescrizione assicurativa ed è collocata nella sezione dedicata al trasporto di persone e bagagli che, nei primi articoli, opera un rinvio generale alla disciplina comunitaria (articoli 941-947 c. nav.).

Nell’ordinamento giuridico interno, al vettore (articolo 1678 c. civ.) si applica il regime di responsabilità aggravata per colpa presunta: egli risponde dell’inadempimento e del ritardo, a norma delle disposizioni in materia di obbligazioni, e dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore e della perdita e dell’avaria delle cose, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno (articolo 1681 c. civ.). Da tale responsabilità, il vettore può liberarsi solo provando di aver predisposto e adottato tutte le misure idonee a tenere indenne il passeggero da danni, salva l’eventuale ricorrenza dell’esimente tipica del caso fortuito, della colpa del passeggero o della colpa di terzi. Sul viaggiatore, invece, grava l’incombenza della prova del solo titolo di trasporto. Alla responsabilità contrattuale (articoli 1218 e 1681 c. civ.), si aggiunge la responsabilità per fatto illecito (articolo 2043 c. civ.), che onera il passeggero di dimostrare il danno subito, il nesso causale e l’elemento soggettivo del dolo o della colpa del vettore.

Circa il titolo (contrattuale o extracontrattuale) della responsabilità, va evidenziato che l’art. 29 della Convenzione di Montreal (divenuta parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea in forza della decisione del Consiglio del 5 aprile 2001 (2001/539/CE), nonché per i rinvii alla stessa operati dal Regolamento (CE) n. 2027/1997, sulla responsabilità del vettore aereo con riferimento al trasporto aereo dei passeggeri e dei loro bagagli) dispone che, «nel trasporto di passeggeri, bagaglio e merci, ogni azione di risarcimento per danni promossa a qualsiasi titolo in base alla presente convenzione o in base a un contratto o ad atto illecito o per qualsiasi altra causa, può essere esercitata unicamente alle condizioni e nei limiti di responsabilità previsti dalla presente convenzione». In pratica, la Convenzione di Montreal non tiene in alcun conto le differenze basate sul titolo della responsabilità del vettore previste dall’ordinazione nazionale, con ovvie conseguenze sul piano dell’applicabilità dei principi di diritto dell’ordinamento giuridico italiano. Ne consegue che la disciplina interna in materia di responsabilità vettoriale non può essere di alcun ausilio ai fini dell’inquadramento del caso in esame.

Nella definizione della responsabilità del vettore aereo, la Convenzione di Montreal ha stabilito due livelli, sancendo, per i danni alla persona, un regime di responsabilità oggettiva fino all’importo di 100.000 Diritti speciali di prelievo (attualmente fissato in 128.821 D.s.p. a seguito della revisione ex articolo 24 della medesima Convenzione), delimitandola nell'ambito spazio-temporale (a bordo dell’aeromobile o nel corso di una qualsiasi delle operazioni di imbarco o di sbarco), salva la prova liberatoria o della colpa esclusiva o concorrente del danneggiato (articoli 17-21), e un regime di responsabilità soggettiva per colpa presunta, per la parte del danno eccedente, potendo il vettore, ai sensi dell’articolo 22, § 2, lettere a) e b), fornire la prova liberatoria. Lo scopo della Convenzione di garantire copertura giuridica per i danni subiti dai passeggeri riconducibili al rischio del volo è consacrato nell’articolo 17, relativo alla responsabilità del vettore per i sinistri che cagionino al passeggero morte o lesioni corporali, sostanzialmente uguale (anche nel riferimento numerico) alla analoga disposizione della precedente Convenzione per l'unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale, firmata a Varsavia il 12 ottobre 1929.

Tuttavia, il tenore letterale della disposizione non consente di qualificare precisamente le caratteristiche del fatto costitutivo dell’obbligazione risarcitoria: difatti, le accezioni di «accident», nei testi inglese e francese, e di «incidente», nel testo italiano, contenute nell’articolo 17, in termini di significato, fanno riferimento a un evento casuale, a un sinistro, o infortunio. Sorvolando sulla eventualità che il fatto causativo del danno alla persona del passeggero riguardi solo la sua integrità fisica oppure anche una alterazione dello stato psichico (che ha impegnato a lungo dottrina e giurisprudenza), si pone dunque la questione della qualificazione dell’evento, di cui manca una definizione in seno agli atti convenzionali, sia del 1999 che del 1929.

Un intervento sul termine accident fu tentato dal Protocollo di Guatemala City del 1971 – mai entrato in vigore –, che emendava l'articolo 17 della Convenzione di Varsavia, introducendo il termine fait che connota l’evento in termini decisamente meno restrittivi. Quella, così come i lavori preparatori della Convenzione di Montreal, si rivelarono una occasione persa fornire una nozione di incidente dai contorni più chiari e definiti.

Neppure il ricorso all’Annesso XIII, Aircraft Accident and Incident Investigation, della Convenzione sull'aviazione civile internazionale firmata a Chicago il 7 dicembre 1944, o alle definizioni contenute nel regolamento (UE) n. 996/2010, inerente alla prevenzione degli incidenti aeronautici, sono di ausilio nella individuazione del significato più appropriato da attribuire al termine. Infatti, sebbene entrambi rechino una definizione di incidente (nell’Annesso, incident è inteso come una «occurrence associated with the operation of an Aircraft» idonea a incidere sulla sicurezza delle operazioni; nel regolamento, invece, l’incidente è riconducibile a un evento in cui una persona riporti lesioni gravi o mortali, l’aeromobile riporti avarie o danni strutturali o l’aeromobile sia scomparso o completamente inaccessibile), tuttavia, lo scopo degli atti in questione di prevenire gli incidenti di safety non consente di configurare il caso di specie ai sensi delle definizioni riportate negli stessi.
 
Sulla questione, peraltro, già da tempo è impegnata la giurisprudenza di common law che ha connotato la nozione di accident di cui all’articolo 17 della Convenzione di Varsavia in modo da riferirlo a un evento inusuale od inatteso, ovvero di intensità inusuale o inattesa rispetto al volo (nei casi Quinn v. Canadian Airlines International Ltd., Ontario Court – General Division –, 30 maggio 1994, e Koor v. Air Canada, la Ontario Superior Court of Justice, 12 giugno 2001, i Giudici hanno sostanzialmente escluso che i danni derivanti da turbolenze configurassero accident). Nel noto caso Air France v. Saks, la Corte suprema degli Stati Uniti ha definito accident come un «unexpected or unusual event or happening that is external to the passenger» escludendo la rottura del timpano dal novero degli incidenti, in caso di corretto funzionamento dell’impianto di pressurizzazione dell’aeromobile (sentenza 4 marzo 1985).

Anche la giurisprudenza nazionale di legittimità – sulla base dell’articolo 942 (nel testo previgente alla riforma del codice della navigazione) e della disposizione contenuta nell’articolo 1681 c. civ. – è giunta alle medesime conclusioni della Corte degli Stati Uniti nel caso Air France vs. Saks, laddove ha escluso la responsabilità vettoriale in assenza di accadimenti anomali nella navigazione (nel caso di specie, il passeggero – nonostante gli specifici precedenti anamnestici – aveva perduto l’udito durante la manovra di atterraggio dell'aereo, per la normale variazione della pressione barometrica nell'aeromobile, cfr. Cass. civ. Sez. III, 15 febbraio 2006, n. 3285).

In pratica, i riportati indirizzi giurisprudenziali evidenziano che, fintanto che le operazioni di volo si svolgono nell’intervallo di valori tecnicamente accettabili in termini di safety, come risultanti dai manuali d’impiego e dalla specifiche tecniche degli aeromobili, un incidente non può essere ritenuto perturbativo di per sé e, di conseguenza, va escluso il rapporto di causalità diretta tra l’incidente e le lesioni eventualmente subite dai passeggeri (si rende peraltro conto che pende, attualmente, una ulteriore questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia avente a oggetto proprio la nozione di accident, relativamente al caso di un passeggero che avrebbe sofferto di un’ernia del disco a seguito di un atterraggio duro. Cfr. causa C-70/20, YL c. Altenrhein Luftfahrt GmbH).

Alla stregua della giurisprudenza americana e nazionale menzionata, in mancanza di un evento anomalo nella navigazione, il caso del caffè rovesciato non dovrebbe essere riconducibile alla nozione di incidente ai sensi dell’art. 17.  Così interpretando, però, e in mancanza della distinzione netta dei titoli di responsabilità vettoriale (contrattuale ed extracontrattuale) a livello comunitario e uniforme, il passeggero sarebbe penalizzato nell’ottenimento del risarcimento del danno subito. Con molta probabilità, è proprio questa la ragione che ha indotto la Corte di giustizia a ricondurre qualsivoglia evento, delimitato nell’ambito spazio-temporale che va dalle operazioni di imbarco a quelle di sbarco, alla nozione di incidente risarcibile, senza ravvisare la necessità di verificare se la specifica situazione risulti da un rischio inerente al trasporto aereo o meno.

Sebbene l’intento appaia apprezzabile, in quanto tale interpretazione garantisce al passeggero la rifusione dei danni subiti anche a causa di eventi non riconducibili direttamente alla navigazione aerea, tuttavia, la pronuncia non appare condivisibile, sia sotto il profilo del «giusto equilibrio degli interessi» dei vettori aerei e dei passeggeri sancito nel preambolo della Convenzione di Montreal, sia perché, non tenendo conto della giurisprudenza menzionata, nell’interpretazione della Convenzione di Montreal, la Corte comunitaria non sembrerebbe essersi attenuta ai canoni ermeneutici del diritto internazionale generale, che si impongono pure all’Unione europea.   

ELEONORA PAPI REA
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Trasporto aereo internazionale – Convenzione di Montreal del 1999 art. 33 – giurisdizione - competenza territoriale

 CORTE DI GIUSTIZIA UE 7 NOVEMBRE 2019, CAUSA C-213/18

Giurisdizione e competenza territoriale nel trasporto aereo secondo la Corte europea di Giustizia.

La sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 7 novembre 2019 nella causa C-213/18, rispondendo al secondo quesito postole dal Tribunale di Roma, ha statuito che l'art. 33 della convenzione di Montreal del 1999 non regola solo la giurisdizione, ma anche la competenza territoriale all'interno dello stato giurisdizionalmente competente.

Nella vigenza del precedente sistema basato sulla convenzione di Varsavia del 1929, sin dalla sentenza a sezioni unite n. 6630 del 15.6.1993 la Cassazione italiana aveva affermato che la norma individua esclusivamente lo stato avente giurisdizione e non anche alla competenza al suo interno, che rimane soggetta al regime interno dello Stato in cui l'attore decide di intraprendere il giudizio. Tale orientamento era condiviso dalla dottrina ed è stato seguito in successive pronunce.

L'art. 33 della Convenzione di Montreal, avente per titolo "Giurisdizione", sotto tale aspetto ha una formulazione analoga a quella dell'art. 28 della convenzione di Varsavia del 1929, da cui deriva. Non v'era quindi alcun ragionevole motivo per discostarsi da tale orientamento una volta sopravvenuta la Convenzione di Montreal del 1999, che del precedente sistema costituisce l'evoluzione.

Tuttavia il Tribunale di Roma, anziché seguire tale autorevole insegnamento, ha preferito non tenere in alcun conto le decisioni della Corte di cassazione e rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Quest'ultima non sembra aver approfondito più di tanto la questione; senz'altro non tanto quanto aveva fatto in precedenza la nostra Corte di cassazione.

La Corte di giustizia, infatti, rilevato che la disposizione dell'art. 33 "riguarda innanzitutto il «territorio di uno degli Stati parti» e indica poi l’autorità giurisdizionale che, fra quelle situate in tale territorio, può dichiararsi competente ratione loci, mediante criteri di collegamento precisi", ne deduce che "in ragione della sua stessa formulazione, si deve ritenere che l’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Montreal disciplini altresì la ripartizione della competenza territoriale fra le autorità giurisdizionali di ciascuno degli Stati parti di quest’ultima" (punti da 49 a 51 della sentenza).

Peccato che il punto 4 dell'art. 33 precisi (come precisava il II comma dell'art. 28 della Convenzione di Varsavia) che "Si applicano le norme procedurali del tribunale adito"; elemento trascurato dalla Corte di giustizia, ma giustamente valorizzato dalla nostra cassazione, la quale ha ritenuto, nel regime di Varsavia, che tale norma attiene esclusivamente alla giurisdizione e non anche alla competenza interna, richiamando i fori alternativi solo come criteri di collegamento giurisdizionale e non come criteri di competenza, che rimane soggetta al regime interno dello Stato in cui l'attore decide di intraprendere il giudizio, atteso che il secondo comma del suddetto articolo stabilisce che le regole di procedura - tra le quali vi sono quelle determinanti anche la competenza territoriale - sono quelle del tribunale adito" (cass. ordinanza n. 11183 del 26/05/2005).

Se quindi la competenza territoriale è stabilita solo dall'art 33 della Convenzione di Montreal, non sarà applicabile l'art. 20 c.p.c. (luogo in cui è sorta o avrebbe dovuto essere adempiuta l'obbligazione), il cui foro nel caso concreto non necessariamente corrisponde ad uno di quelli della Convenzione.

Non solo. Come logica conseguenza del ragionamento seguito dalla novella pronuncia della corte europea dovrebbe ritenersi che, oltre alla competenza interna per territorio, l'art. 33 della Convenzione di Montreal stabilisca anche la competenza interna per valore e la riservi al solo tribunale. La norma infatti parla esplicitamente di Tribunale ("tribunal" nei testi ufficiali francese e spagnolo, "court" in quello ufficiale inglese); sicché, seguendo lo stesso principio, allora anche tutte le cause che sarebbero di competenza del giudice di pace dovrebbero andare davanti al tribunale. In pratica, tutte quelle per danni ai bagagli che
affollano le aule dei giudici di pace, in virtù del limite di 1.288 Diritti speciali di prelievo per passeggero dell'art. 22.2. della Convenzione.

ENZO FOGLIANI
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Concessioni di beni demaniali marittimi ad uso turistico- ricreativo — proroga generalizzata e automatica della durata ex art. 1, comma 683 L. 30.12.2019 n. 145 e contrasto con art. 12 Direttiva 2006/123/CE – art. 182, comma 2, D.L. 19 maggio 2020 - atto amministrativo adottato in applicazione della norma nazionale.

art. 182, comma 2, D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (decreto "rilancio")

Proroga delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo. Efficacia e natura degli atti amministrativi emessi in attuazione della normativa nazionale

La questione della durata delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo costituisce, ormai da quasi vent’anni, un banco di prova per tutti coloro che, a vario titolo, si sono trovati ad intervenire sulla materia: dal legislatore – nazionale e regionale -, agli organi giurisdizionali, alle pubbliche amministrazioni.

L’argomento potrebbe annoverarsi tra le tante capziose questioni di diritto che spesso appassionano solo gli esperti, se non fosse che la sua “non definizione” ha risvolti pratici gravi a danno di un intero sistema produttivo, che, secondo i sindacati di settore, rappresenta il 13% del PIL italiano (indotto incluso).

I quasi vent’anni di evoluzione/involuzione normativa e giurisprudenziale potrebbero riassumersi così:

L’ultima sentenza richiamata rappresenta un vero e proprio tsunami giuridico per la pubblica amministrazione coinvolta nella gestione delle concessioni demaniali marittime.

Il Supremo Consesso non si limita infatti a confermare la contrarietà ai principi comunitari e al diritto europeo delle varie proroghe che si sono succedute nel tempo – e quindi anche dell’ultima di cui all’art.1 comma 683 L. 145/2018-, ma sostiene che la disapplicazione di una norma nazionale confliggente con il diritto euro unitario, “costituisca un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per l’apparato amministrativo e per i suoi funzionari, qualora sia chiamato ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro unitario”.

In conclusione, prosegue la sentenza, “qualora emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale e i principi del diritto eurounitario, è fatto d’obbligo al dirigente che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale (o regionale) di non applicarla”.

Gli effetti di questa pronuncia sull’azione amministrativa sono comprensibili e prevedibili: dopo i primi mesi di disorientamento e qualche coraggioso tentativo di recepimento della norma nazionale da parte di alcune Amministrazioni, si sono alzate a gran voce le richieste di intervento al Governo, affinché sbloccasse l’empasse, tramite definizione e presentazione della riforma organica delle norme di settore, attesa da tempo.

Il sopraggiungere dell’emergenza sanitaria Covid 19 e la conseguente grave crisi economica, che sta incidendo con particolare severità sul comparto turistico, ha determinato il Governo a prendere posizione sulla problematica, con l’intento proclamato di confermare la proroga prevista dal comma 683 della Legge di stabilità 2018 e così rafforzare l’estensione della durata delle concessioni demaniali fino al 2033.
Si è quindi approdati all’art.182 comma 2 del cd. Decreto Rilancio: “In riferimento ai beni del demanio marittimo in concessione, tenuto conto degli effetti derivanti nel settore dall’emergenza da Covid-19 nonché dell’esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici e la parità di trattamento tra gli operatori, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 1, commi 682 e 683 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, per le aree e le relative pertinenze oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure di procedimenti di nuova assegnazione, gli operatori proseguono l’attività nel rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 34 del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e gli enti concedenti procedono alla ricognizione delle relative attività, ferma restando l’efficacia dei titoli già rilasciati.”    

La formulazione della norma, probabilmente di non immediata comprensione, ha già dato adito a qualche critica da parte degli operatori del settore, che speravano di poter definitivamente fugare i dubbi interpretativi sulla legittimazione della proroga e così consentire alle amministrazioni di attivare celermente i procedimenti amministrativi conseguenti senza il rischio di contestazioni; tuttavia, costituisce una conferma della volontà del Legislatore di garantire la continuità imprenditoriale per le imprese del settore, già sancita dalla legge di stabilità 2018 ed oggi particolarmente opportuna vista la difficile contingenza economica conseguente alla pandemia.

Vedremo a questo punto se e come la pubblica amministrazione intenderà  procedere, essendo suo il compito di predisporre i provvedimenti ricognitivi della durata quindicennale delle concessioni demaniali; provvedimenti che, come evidenziato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7874/19, potrebbero venire annullati o addirittura essere dichiarati nulli per contrarietà alla normativa comunitaria.

Il timore, insomma, è che non sia ancora giunto il tempo di imporre la parola fine a questo lungo ed insanabile contrasto tra norma interna e principi comunitari.

Si impone a questo punto, come particolarmente urgente, il tanto atteso intervento organico di riforma del settore, a tutela delle imprese che vi operano e, più in generale, del principio di certezza del diritto.

    ELENA PROVENZANI
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Aviazione - SAPR - APR- Aeromobili a pilotaggio remoto)  Codice Navigazione - Enac- Regolamento- Commissione Europea - registro droni- Attestato pilota - idoneità psico-fisica - operazioni di volo- LIC15A

ENAC: “REGOLAMENTO MEZZI AEREI A PILOTAGGIO REMOTO”, terza edizione, 11 Novembre 2019 (agg. a CIRCOLARE ENAC: LIC15A “MEZZI AEREI A PILOTAGGIO REMOTO, CENTRO DI ADDESTRAMENTO E ATTESTATI PILOTA" - 14 Aprile 2020).

Il nuovo regolamento ENAC per i droni.

Enac si è pronunciata fin dalla sua prima edizione del “Regolamento mezzi aerei a pilotaggio remoto” del 2013 al fine di dare attuazione all’art. 743 del Codice della Navigazione (“Nozione di aeromobile”: “Per aeromobile si intende ogni macchina destinata al trasporto per aria di persone o cose. Sono altresì? considerati aeromobili i mezzi aerei a pilotaggio remoto, definiti come tali dalle leggi speciali, dai regolamenti dell’ENAC e, per quelli militari, dai decreti del Ministero della Difesa (omissis)”).

I SAPR, dunque, i cosiddetti “Sistemi a pilotaggio remoto”, rientrano all’interno della categoria di aeromobile, dunque anche un drone molto piccolo, e ciò non è cosa da poco conto: basti pensare infatti che un velivolo VDS (volo da diporto o sportivo) non è considerato giuridicamente “aeromobileex art. 743 c.nav. Da qui la susseguente attestazione di quanto sia stata considerata precipua e necessaria un’adeguata regolamentazione del settore di tali mezzi “unmanned” (APR, aeromobili a pilotaggio remoto) per gli sviluppi in seno all’aviazione moderna e per il loro sempre più cruciale impiego (in ultimo, si ricordi il loro attuale utilizzo per l’emergenza Corona Virus).

Il Regolamento Enac oggetto del presente commento ha avuto nel corso del tempo più rivisitazioni (seconda edizione edita nel 2015 e quattro emendamenti successivi, l’ultimo redatto nel 2018) per adeguare alla normativa europea il carattere interno della propria disciplina in materia di pilotaggio remoto, per semplificare e rendere più rapidi l’iter delle dichiarazioni e dell’espletamento di tutte le procedure fondanti, nonché al fine di rendere il sistema in sé più sicuro, e ciò fino a giungere alla sua terza edizione, quella attuale del 11.11.2019, che ha alla data odierna già sua piena validità, sia istituzionale, sia operativa (è entrato infatti in vigore il trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sul sito internet di Enac, annullando e sostituendo la seconda edizione, quarto emendamento del 21.05.2018, art. 38).

Il Regolamento medesimo, all’art 2 delimita la sua applicabilità: “si applica alle operazioni dei SAPR di competenza ENAC e alle attività? degli aeromodelli che si svolgono all’interno dello spazio aereo nazionale” e all’art. 7 ne definisce l’ambito di impiego e la loro caratterizzazione: operazioni specializzate (distinte a loro volta nei seguenti artt. 9 e 10 in non critiche e critiche), attività non specializzate (in scenari non critici), attività di ricerca e sviluppo, uso professionale e ricreativo, operazioni che a loro volta si suddividono in “VLOS” (“Visual Line of Sight”), “EVLOS” (“Extended visual line of sight”) e “BVLOS” (“Beyond visual line of sight”), a seconda che esse siano o meno condotte entro una distanza tale per cui il pilota remoto (la cui età minima è fissata dal novellato art. 20 del Reg. ad anni 16 - da notare che nel 2018 il limite era ancora di anni 18) è in grado di mantenere il contatto visivo continuativo per la condotta del volo.

La caratteristica cruciale della terza edizione del Regolamento Enac del 2019 posta oggi alla nostra attenzione è senz’altro quella di anticipare la disciplina normativa prevista a livello europeo dai Regolamenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Commissione UE, atti a inserire mandatori elementi destinati alla regolamentazione dei sistemi a pilotaggio remoto e più precisamente: il Regolamento delegato (EU) 2019/945 che stabilisce le regole per l’immissione nel mercato dei SAPR e il relativo Regolamento di esecuzione (EU) 2019/947 che definisce le regole applicabili alle operazioni dei SAPR, ai piloti e agli operatori, disposizioni fondanti entrate in vigore il 01 Luglio 2019 ed applicabili dal 1 Luglio 2020.

Il Regolamento Enac del 2019 anticipa due requisiti-chiave previsti dalla Regolamentazione Europea: la registrazione dell’operatore di droni e l’obbligo della marcatura per il singolo drone (marcatura CE per indicare le specifiche e le limitazioni di sicurezza). In sostanza, tutti i droni dovranno essere registrati e assicurati con esclusione dei giocattoli e dei droni di peso inferiore a 250 grammi (che non hanno sensori di ripresa di dati personali). Gli apparecchi dunque con peso uguale e maggiore di 250 grammi (distinti a loro volta tra quelli con massa operativa al decollo minore di 25 Kg e quelli con massa maggiore di 25 Kg, art 6Reg.) dovranno essere muniti di identificazione elettronica che rendano dunque certa, durante il loro funzionamento, sia la loro posizione sia quella del pilota (nonché di chi ne è titolare). I piloti, dovranno conseguire poi, il relativo attestato per essere titolati al comando del drone. A partire dalla data indicata ex art 37 del Regolamento, tutti i piloti APR devono assolvere l’obbligo di conseguimento dell’attestato di competenza. Da qui l’emanazione della circolare “serie licenze”: “Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto - centri di addestramento e attestati pilota” del 14.04.2020 proprio per fornire le procedure e le modalità per il conseguimento dell’Attestato di Pilota APR e per la certificazione del Centro di Addestramento Apr.

Gli elementi più significativi introdotti:

Da una parte abbiamo dunque un’importante classificazione delle operazioni di volo e dei SAPR in senso oggettivo (operazioni critiche, non critiche, specializzate, non specializzate, entro e fuori dagli scenari standard, di tipo VLOS, EVLOS, BVLOS, droni impiegati per uso professionale, ricreativo, dalla determinata massa, etc…), dall’altra il requisito soggettivo legato al pilota APR è considerato esclusivamente in accordo all’attestazione delle proprie capacità “funzionali” alle operazioni da svolgere e ai droni impiegati stessi, non anche alla propria intrinseca idoneità psico - fisica al volo. Resta da comprendere perché sia stata espunto, partendo dalla posizione europea, proprio il requisito più intimo e più legato agli standard di sicurezza del volo, quello dell’idoneità psico-fisica, come se, proprio perché trattasi di sistemi a pilotaggio remoto, la non presenza in volo del pilota, lo esoneri dall’approfondimento della propria “fitness to fly”, idoneità soggettiva medico legale al volo medesimo in presenza di operazioni considerate comunque “open”, a basso rischio.

Lo scenario legale, sia nei riguardi della normativa interna sia di quella Europea, sotteso all’applicazione del Regolamento Enac del 2019, e in particolare all’attestazione del riconoscimento di competenza richiesto al pilota di APR, che dunque emerge da questa prima e introduttiva disamina, è avvincente, anche per i quesiti qui già emersi, e sarà oggetto di un successivo approfondimento dedicato alla Circolare Enac 14.04.2020.

NICOLETTA CECI
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Trasporto aereo internazionale di persone - Convenzione Montreal del 1999 art. 17 - perdita del bagaglio -  responsabilità del vettore - natura ed entità dei danni risarcibili - limite di responsabilità ex art. 22 - applicabilità al danno non patrimoniale.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI 21 FEBBRAIO 2019 N. 4996

Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale e sulla sua quantificazione, ai sensi degli artt. 17-22 della Convenzione di Montreal del 1999.

Il provvedimento in epigrafe affronta il tema del risarcimento dei danni subiti dal passeggero durante il trasporto aereo, in conseguenza dello smarrimento del proprio bagaglio. La fattispecie è disciplinata dalla Convenzione di Montreal del 1999, che sostituendo quella di Varsavia del 1929 ed i relativi protocolli modificativi, ha inteso unificare alcune norme sul trasporto aereo internazionale. La detta Convenzione è stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n.12 del 2004.


FATTO - Nel caso in esame la Compagnia aerea smarriva durante un volo internazionale il bagaglio del passeggero, contenente i rulli di un’opera cinematografica che lo stesso avrebbe dovuto presentare ad un festival internazionale del cinema.


La perdita del bagaglio dava luogo alla richiesta da parte del viaggiatore del risarcimento dei danni subiti aventi natura sia patrimoniale sia non patrimoniale, sulla base degli artt. 17-22 della Convenzione di Montreal del 1999.


Con il ricorso è stata impugnata la sentenza della Corte di Appello che aveva rigettato il gravame avverso la decisione del Tribunale; il giudice di prime cure aveva accolto parzialmente la domanda di condanna della Compagnia aerea al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (danno morale, lesione all’immagine ed alla reputazione) e, avendo ritenuto provato il danno non patrimoniale o morale, aveva condannato la Compagnia al pagamento della somma (€ 1.067,40) quantificata con riferimento alla misura di 1.000 diritti speciali di prelievo per passeggero (oggi peraltro aumentati a 1.288 DSP). Tale quantificazione era stata effettuata ai sensi dell’art. 22 comma 2 della Convenzione di Montreal, sul presupposto che non era stata resa al vettore al momento della consegna del bagaglio la dichiarazione speciale di interesse alla consegna a destinazione; la sola che consenta di superare il detto limite al risarcimento, obbligando il vettore, in caso di distruzione, perdita o deterioramento del bagaglio, a risarcire il danno sino alla concorrenza della somma dichiarata.


A tal riguardo si precisa che, comunque, è fatta salva dal suddetto articolo la possibilità del vettore di dimostrare che la somma dichiarata è superiore all’interesse reale del mittente alla consegna a destinazione.


DIRITTO - In questa sede, in conseguenza della tematica affrontata, si ritiene opportuno esporre unicamente i motivi di ricorso strettamente afferenti gli articoli della Convenzione di Montreal che disciplinano il risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del bagaglio, così di seguito sinteticamente riassunti.


La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, e con particolare riferimento ai motivi sopra indicati ha così motivato.

1) In relazione ai punti a-b) la Corte ha precisato che l’art.17 della Convenzione di Montreal distingue in maniera chiara le ipotesi di “morte e lesione dei passeggeri” (disciplinata al 1° comma) da quella dei “danni ai bagagli” (disciplinata al 2°comma). In questa seconda fattispecie la responsabilità del vettore per distruzione, perdita o deterioramento dei bagagli è autonoma e specifica rispetto quella del comma 1, e ad essa è correlata la disciplina prevista all’art.22 comma 2, che limita il risarcimento alla somma di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero. La limitazione di mille diritti speciali di prelievo per passeggero deve trovare applicazione, sostiene la Suprema Corte, per il danno di qualsiasi natura subito dal passeggero e dunque sia di natura patrimoniale sia di natura non patrimoniale, da risarcire quest’ultimo, ove trovi applicazione il diritto interno, ai sensi dell’art. 2059 c.c.

La omnicomprensività del danno risarcibile ai sensi dell’art. 22 comma 2 della Convenzione di Montreal è ribadita con il richiamo al principio enunciato dalla stessa Corte nella Sentenza n.14667/2015.

Essendo pertanto indifferente la natura del danno subito, la Corte di merito ha correttamente applicato la nozione omnicomprensiva contenuta nell’art. 22 comma 2 della Convezione di Montreal, con la conseguenza che la limitazione della responsabilità del vettore si sarebbe potuta superare solo con l’effettuazione della dichiarazione speciale di interesse.


2) In riferimento al punto sub c) la Suprema Corte ha ritenuto infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale.

La limitazione della responsabilità prevista dalla normativa costituisce secondo la Suprema Corte “un equilibrato contemperamento degli interessi delle compagnie aeree e dei diritti dei passeggeri” che non contrasta con i principi costituzionali.


Infatti se da una parte la limitazione di responsabilità consente di tutelare le  Compagnie aeree dal rischio di richieste di risarcimenti di danni non patrimoniali illimitate, conseguenti ai danni ai bagagli ( distruzione, perdita, deterioramento o ritardo), dall’altra è prevista una tutela del viaggiatore che può superare tale  limitazione  rilasciando la dichiarazione di interesse alla consegna di cui all’art. 22 comma 2 o provando l’esistenza delle condizioni che escludono l’applicabilità della limitazione come previsto al comma 5 dello  stesso articolo 22 ( dolo o colpa grave del vettore o dei suoi dipendenti).


                                                                 CRISTINA SPOSI
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Trasporto aereo internazionale di persone – perdita di bagaglio – contratto di deposito fra passeggero ed handler – insussistenza - rapporti fra vettore ed handler – responsabilità del vettore per danni provocati dall’handler - sussistenza

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III 30 GENNAIO 2019 N. 2544

Perdita di bagagli da parte dell’handler e legittimazione passiva nei confronti del passeggero

La Cassazione, con la sentenza in esame, è stata chiamata a decidere in tema di responsabilità per perdita di bagaglio nel trasporto aereo internazionale. 

La vicenda trae origine da un trasporto aereo da Mosca a Roma e da questa a Bari, effettuato in due tratte con voli Alitalia, durante il quale viene smarrito il bagaglio di un passeggero.

Convenuta in giudizio Alitalia per il ristoro del danno subito, essa chiama in causa il vettore russo Aeroflot Russian Airlines quale soggetto che ha effettuato i servizi di handling nell’aeroporto di Mosca, e che, quindi, ha materialmente preso in consegna il bagaglio smarrito; Alitalia ottiene di essere estromessa dal giudizio. La sentenza di primo grado, ritenendo sussistere un contratto di deposito fra il passeggero e l’operatore aeroportuale al quale è stato consegnato il bagaglio, condanna esclusivamente il vettore russo al risarcimento del danno.

Appellata innanzi il tribunale di Bari, la sentenza viene riformata solo in ordine al quantum, per l’applicazione della Convenzione di Varsavia invece di Montreal ritenuta non ratificata dalla federazione russa,  e rimane tacita l’estromissione del  vettore italiano.

La Cassazione, richiamando la sentenza in tema di trasporto aereo di cose resa a sezioni unite n. 21850/2017 (in Diritto dei trasporti 2018/I, p. 159 con nota di M. Piras, La Cassazione pone termine (forse) alle controversie sulla responsabilità delle imprese aeroportuali di handling), riporta giuridicamente i rapporti contrattuali fra vettore italiano e vettore russo nell’ambito del contratto di handling aeroportuale, sulla base del quale il vettore italiano ha affidato al vettore russo prestazioni accessorie al  contratto di trasporto (la presa in consegna del bagaglio). Aeroflot Russian Airlines, dunque, non ha concluso un contratto di deposito con il passeggero al momento della consegna del bagaglio, ma ha svolto tali operazioni in qualità di ausiliario del vettore, che è l’unico soggetto responsabile contrattualmente nei confronti del passeggero.
 
Osservando la vicenda processuale, per quello che è dato leggere della parte motiva della decisione, può essere interessante soffermare l’attenzione sulla chiamata in causa del vettore russo, svolta  non in manleva in virtù del contratto di handling, ma come chiamata del terzo esclusivo responsabile nei confronti dell’attore, il che ha prodotto una estensione automatica della domanda principale dell’attore nei confronti del terzo e la estromissione del convenuto.

Dalla modalità con cui Alitalia ha svolto la chiamata in causa del vettore russo, si può ipotizzare che la chiamata in manleva – apparentemente più funzionale ai fini della causa – non poteva essere spiegata per motivi contrattuali. Non conoscendo il contratto in essere fra i due vettori, si può ipotizzare che essi abbiano regolato i rapporti di handling aeroportuale attraverso lo SGHA Standard Ground Handling Agreement della IATA, il cui art. 8.1 del main agreement prevede che “the Carrier shall not make any claim against the Handling Company and shall indemnify it (subject as hereinafter provided) against any legal liability for claims or suits, including costs and expenses incidental thereto, in respect of: (omissis) (c) damage to or delay or loss of baggage, cargo or mail carried or to be carried by the Carrier”.

Questa rinuncia all’azione fa parte del più ampio esonero di responsabilità reciproca fra le parti e rinuncia alla chiamata in garanzia o alla rivalsa per i danni lamentati da terzi. Unica eccezione, i soli danni fisici e diretti agli aeromobili del vettore, con limite massimo di 1 milione e 500 mila dollari ed esclusione di qualsiasi danno indiretto o conseguenziale (art. 8.5 SGHA)
 
CRISTINA DE MARZI