massime 
 Sez. 3, Sentenza n. 24743 del 28 novembre 2007
Presidente: Di Nanni LF.  Estensore: Durante B.  Relatore: Durante B.  P.M. Schiavon G. (Conf.)
Messina Spa (Dardani ed altro) contro Setramar Spa ed altro (D'Alessandro ed altri)
(sentenza impugnata: App. Bologna, 23 Settembre 2002) 

 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Presidente -
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere -
Dott. DURANTE Bruno - rel. Consigliere -
Dott. FICO Nino - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

IGNAZIO MESSINA & C SPA, in persona del suo Presidente dr. Messina Gianfranco, elettivamente domiciliata in ROMA VIA C. CORVISIERI 46, presso lo studio dell'avvocato DOMENICO CAVALIERE, difesa dall'avvocato DARDANI MAURIZIO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
SETRAMAR SPA, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore dr. Poggiali Giuseppe, elettivamente domiciliata in ROMA VIA LISBONA 3, presso lo studio dell'avvocato D'ALESSANDRO FLORIANO, che la difende unitamente agli avvocati MARCO ARATO, ROMUALDO GHIGI, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
MINISTERO DEI TRASPORTI;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1022/02 della Corte d'Appello di BOLOGNA, terza sezione civile, emessa il 19/07/02, depositata il 23/09/02, R.G. 6/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/10/07 dal Consigliere Dott. Bruno DURANTE;
udito l'Avvocato Maurizio DARDANI;
udito l'Avvocato Carla GROSSI (per delega Avv. Floriano D'ALESSANDRO, depositata in udienza);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.p.a. Ignazio Messina conveniva innanzi al tribunale di Ravenna la s.p.a. Setramar e, lamentando che quest'ultima partecipava illegittimamente alla quota di traffico riservata alle navi battenti bandiera italiana ed alle compagnie armatrici italiane in base all'accordo fra Italia e Costa d'Avorio concluso il 25.10.1979 e ratificato dall'Italia con L. n. 952 del 1984, chiedeva che si accertasse che la Setramar non aveva diritto al trasporto di quote di carico riservate alle navi italiane, le venisse inibito ogni comportamento diretto all'acquisizione di dette quote, se ne pronunciasse la condanna al risarcimento dei danni da liquidare in separato giudizio.
La Setramar chiedeva il rigetto delle domande previa, occorrendo, rimessione degli atti alla Corte di giustizia CE per la risoluzione di questioni riguardanti l'interpretazione del Trattato e dei regolamenti CE 22.12.1986, nn. 4055 e 4056; in particolare sosteneva la legittimità della partecipazione alla quota di traffico riservata in quanto l'accordo bilaterale prevedeva riserve a favore non già di navi battenti bandiera italiana, bensì di compagnie armatrici italiane, la cui nazionalità si determinava in base al diritto interno senza possibilità di fare riferimento alla L. n. 210 del 1991 che non conteneva una disciplina di carattere generale e regolava, invece, il fenomeno particolare delle compagnie armatrici operanti in una "conference marittima".
Interveniva il Ministero dei trasporti e della navigazione che aderiva alla tesi della Setramar.
In tribunale accoglieva le domande; a diversa conclusione perveniva la corte di appello di Bologna che le rigettava, motivando come segue sui punti ancora in discussione.
È valida la procura che, come nella specie, sia rilasciata in calce alla copia notificata della sentenza impugnata sempre che questa sia depositata al momento della costituzione in giudizio in modo che sia assicurata la certezza e l'anteriorità della procura; la contestazione relativa alla tempestività del deposito è tardiva, essendo stata sollevata in udienza successiva alla produzione della comparsa di risposta che non ne fa menzione, ed è, comunque, infondata, atteso che la copia della sentenza impugnata contenente la procura è indicata nell'elenco dei documenti depositati all'atto della costituzione della parte appellante e l'elenco reca il visto del cancelliere; l'accordo bilaterale fra Italia e Costa d'Avorio disciplina il traffico marittimo fra i due paesi, prescindendo dal fatto che sia espletato da compagnie operanti nell'ambito di una "conference" marittima; l'art. 12, comma 1. dell'accordo stabilisce che "le regime à appliquer par les parties contractantes aux navires exploites pour leurs armements respectifs riposera sur la cle de repartition 40/40/20, à l'egard des cargaison en valeur de fret et en volume"; ciò significa che i traffici marittimi fra Italia e Costa d'Avorio sono riservati per il 40% alle navi "gestite per la flotta italiana"; dal contenuto letterale dell'art. 12, comma 1 si evince che la quota del 40% non è riservata alle navi italiane o battenti bandiera italiana, bensì a quelle gestite per la flotta italiana ossia a quelle che vengono utilizzate per formare la compagnia armatrice italiana; l'art. 2, comma 2 dell'accordo definisce la nozione di "navire de la partie contractante", da intendere come nave mercantile dello Stato adibita a scopi commerciali immatricolata nel territorio della parte e battente la sua bandiera; la nozione è irrilevante ai fini dell'interpretazione dell'art. 12 perché non richiamata da esso; egualmente dicasi dell'art. 2, comma 3 che definisce l'espressione compagnia marittima nazionale, per essa intendendo ogni compagnia riconosciuta dalla competente autorità marittima di ciascuna parte indipendentemente dal riferimento alla bandiera delle sue navi; la Setramar è una compagnia di navigazione marittima riconosciuta dalla competente autorità italiana e come tale ha diritto di partecipare alla quota di traffico stabilita dall'art. 12; ai sensi della L. n. 210 del 1991, art. 3 sono considerate compagnie nazionali di navigazione marittima "le società costituite in Italia e aventi nel territorio dello Stato la sede principale, che utilizzino abitualmente e prevalentemente navi di bandiera nazionale per l'esercizio dei servizi internazionali di linea"; da tale legge, dettata dall'esigenza di disciplinare il fenomeno delle "conferences" marittime ed avente carattere di specialità non è possibile desumere una nozione di compagnia marittima nazionale valevole per tutti i casi; occorre, pertanto, ricercare il criterio per individuare le compagnie armatrici italiane nella normativa generale e precisamente nell'art. 143 c.n., secondo cui è compagnia armatrice italiana quella riconosciuta dalla legge italiana che abbia sede legale ovvero operativa nel territorio italiano; tale è la Setramar la quale "è una società di capitali costituita in Italia, ha soci e amministratori di cittadinanza italiana e svolge servizi marittimi da e per l'Italia".
La s.p.a. Ignazio Messina ha proposto ricorso per cassazione deducendo due mezzi di annullamento; l'intimata ha resistito con controricorso; le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo di annullamento si denuncia violazione ed errata applicazione dell'art. 83 c.p.c. e art. 12 disp. prel. c.c.. La tesi che viene svolta è che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, la procura alle liti che sia rilasciata sulla copia notificata della sentenza impugnata è invalida e ciò comporta inammissibilità dell'impugnazione.
La tesi è sostenuta con le seguenti argomentazioni.
L'art. 83 c.p.c. contiene l'elencazione tassativa degli atti processuali sui quali può essere apposta la procura speciale alle liti.
La finalità perseguita dal legislatore non è solo quella di assicurare la certezza, la tempestività e la provenienza della procura, ma altresì quella di individuare gli atti che la possono contenere con esclusione di equipollenti.
In sostanza l'art. 83 fissa una regola e pone un divieto: la regola è rivolta alle parti; il divieto è fatto al giudice che non può ricercare la procura su atti diversi da quelli elencati. Diversamente opinando, risulterebbe violata la regola secondo la quale, ove la disposizione di legge sia chiara e non presenti ambiguità, al giudice non è consentito fare ricorso a criteri interpretativi diversi da quello letterale.
L'art. 83 è norma eccezionale in quanto attribuisce al difensore il potere di certificare l'autografia della sottoscrizione della procura e non è, perciò, suscettibile di interpretazione estensiva. 1.1. Il mezzo è privo di fondamento.

1.2. Ritenendo la validità della procura, la corte di merito si è adeguata alla prevalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 27.6.2003, n. n. 16251; Cass. 23.5.2002, n. 7539; 7.4.2000, n. 4384;
Cass. 9.9.1998, n. 8906; Cass. S.U. 6.9.1977, 3571). Secondo tale giurisprudenza la procura al difensore per il giudizio di appello è validamente conferita in calce o a margine della copia notificata della sentenza impugnata, purché sia depositata al momento della costituzione in giudizio.
La ragione è che l'atto con il quale è conferita la procura ha natura processuale e, pertanto, l'inosservanza delle forme previste non comporta a norma dell'art. 156 c.p.c. nullità, ove siano ugualmente raggiunti gli scopi per i quali sono prescritte le forme e, cioè, il controllo della certezza e tempestività della procura. Ritiene il Collegio di dovere confermare la richiamata giurisprudenza, condividendone pienamente le motivazioni e non essendo idonee a discostarsene le ragioni prospettate nel ricorso.

2. Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia "violazione ed errata applicazione dell'art. 12, comma 1, art. 2, comma 2, art. 2, comma 3, art. 4, comma 2 dell'accordo bilaterale Italia Costa d'Avorio stipulato in data 25 ottobre 1979 e ratificato con L. 25 ottobre 1984, n. 952, della L. 25 luglio 1991, n. 210, art. 3, dell'art. 143 c.n., dell'art. 31 del Trattato di Vienna del 23 maggio 1969, ratificato con L. 12 febbraio 1974, n. 112, e dell'art. 12 cpv. preleggi - omessa motivazione su un punto decisivo della controversia"; il quesito posto ai giudici di merito era se la Setramar, società di diritto italiano con sede in Ravenna, abilitata ad armare navi battenti bandiera italiana, ma priva della qualifica di "compagnia armatrice italiana" prevista dalla L. n. 210 del 1991, art. 3 avesse o meno il diritto di partecipare alla quota di traffico riservata alla flotta italiana in base all'accordo Italia - Costa d'Avorio, utilizzando navi prese a noleggio da paesi terzi; la soluzione della corte di merito è che secondo il tenore letterale dell'accordo la riserva non è a favore delle navi battenti bandiera italiana, ma delle società di navigazione con sede in Italia a prescindere dalla bandiera delle navi utilizzate, essendo sufficiente la generica abilitazione ad essere armatori ai sensi dell'art. 143 c.n.; la censura fondamentale che si muove alla corte di merito è di avere adottato una interpretazione strettamente letterale dell'accordo Italia - Costa d'Avorio, laddove l'art. 31 della Convenzione di Vienna 23.5.1969 ratificata in Italia con L. n. 112 del 1974 stabilisce che "la ricerca del significato letterale del testo normativo (art. 31, comma 1) deve accompagnarsi con l'utilizzo del criterio della buona fede (art. 31, comma 1), con la ricerca della volontà dei contraenti (art. 31, comma 2) e, infine, ma sullo stesso piano, con l'individuazione dello scopo del trattato e, cioè, con l'interpretazione teleologica e funzionale"; la corte di merito non si è, perciò, domandata quale sia lo scopo dell'accordo e non si è resa conto che esso mira a proteggere le marine mercantili nazionali; in realtà i principi accolti dall'accordo per l'ammissione dei singoli armatori alla ripartizione del traffico sono i medesimi degli accordi di "conference" e del codice di condotta del traffico conferenziato; pertanto, la nozione di "compagnia marittima nazionale" costituisce il fulcro non solo della disciplina del traffico conferenziato, ma anche di tutti gli accordi di cooperazione e ripartizione del traffico; la corte di merito; 1) ha ritenuto di non dovere applicare all'interpretazione dell'accordo i criteri stabiliti dalla L. n. 210 del 1991 per definire la "compagnia marittima nazionale" sul rilievo che i medesimi si riferiscono al solo traffico conferenziato, mentre avrebbe dovuto applicarli alla stregua del disposto dell'art. 12 preleggi presentandosi l'accordo lacunoso sul punto; 2) ha confuso la nozione di "compagnia marittima nazionale" di cui all'art. 2, comma 3. dell'accordo con quella di società abilitata ad iscrivere le proprie navi nei registri nazionali di cui all'art. 143 c.n.; 3) non ha colto il vero senso dell'accordo che è quello di tutelare le imprese armatrici costituite in Italia, controllate da persone fisiche italiane ed in grado di creare posti di lavoro in Italia; 4) non ha compreso che l'accordo risponde alle medesime esigenze di disciplina, controllo e ripartizione del traffico che ispirano le "conferences", il codice di condotta e la L. n. 210 del 1991; 5) non ha tenuto conto dell'art. 4 dell'accordo, dal quale si evince che le compagnie marittime nazionali sono le compagnie dei due paesi contraenti che utilizzano navi battenti bandiera nazionale.

2.1. Pure questo mezzo è privo di fondamento.

2.2. In proposito va rilevato che, come ricordato dalla società ricorrente, l'interpretazione dei trattati internazionali recepiti nell'ordinamento statale va condotta in base ai criteri testuale, finalistico e sistematico previsti dagli artt. 31 e 32 della Convenzione di Vienna sul diritto applicabile ai trattati (Cass. 21.7.1995, n. 7950).

2.3. Com'è noto, i traffici marittimi sono in via di principio liberi; solo recentemente si è affermato il principio di riservare una parte del traffico agli Stati capolinea del traffico stesso. Tale principio è stato parzialmente recepito nella Convenzione di Ginevra del 6.11.1974 su un codice di comportamento per le compagnie marittime. In alternativa a questo codice si è sviluppata per gli Stati che non vi aderiscono la prassi degli accordi bilaterali mediante i quali il traffico viene ripartito fra i due Stati in una certa misura.
Questo sistema tendenzialmente protezionistico, che ha sostituito la libertà dei traffici, implica una crescente ingerenza dell'autorità pubblica che si esplica in varie direzioni fra cui quella di tutelare e gestire la quota di riserva spettante alle imprese nazionali. La Comunità europea è intervenuta in questa materia con diversi regolamenti allo scopo di disciplinare la partecipazione degli Stati membri al codice di comportamento e di applicare ai trasporti marittimi il principio della libera prestazione dei servizi e le regole di concorrenza comunitarie.

2.4. Secondo la Convenzione di Ginevra del 6.4.1974 resa esecutiva in Italia con L. n. 92 del 1989 compagnia di navigazione nazionale è un vettore che gestisce navi; ha i propri uffici principali di amministrazione e l'effettivo controllo in quel paese; è riconosciuto tale dalle autorità competenti.
La L. n. 210 del 1991, art. 3 dispone che rispondono ai requisiti di compagnia marittima nazionale le imprese sociali o individuali che, oltre a presentare i requisiti soggettivi indicati, utilizzano abitualmente o prevalentemente navi di bandiera nazionale (Cass. S.U. 12.6.1999, n. 335).
La qualità di compagnia marittima nazionale è dichiarata con decreto del Ministro competente; le compagnie hanno un diritto soggettivo all'attribuzione della qualifica, poiché il Ministro non ha alcuna discrezionalità ed è tenuto solo ad accertare la sussistenza dei requisiti occorrenti.

2.5. Gli esiti interpretativi ai quali è pervenuta la Corte di merito si sottraggono alle censure della società ricorrente. In particolare nell'applicazione del criterio dell'interpretazione letterale la corte ha rilevato che l'art. 12, comma 1 dell'accordo bilaterale stabilisce la riserva in base all'elemento della compagnia di navigazione nazionale che utilizza la nave e non a quello della bandiere della nave.
Ha trovato conferma del risultato interpretativo raggiunto nel criterio sistematico che impone di leggere l'art. 12, comma 1 nell'intero contesto dell'accordo ed in proposito ha osservato che il detto articolo prescinde sia dalla nozione di nave della parte contraente fornita dall'art. 2, comma 2 (nave immatricolata nei registri di una parte e battente la sua bandiera) che dalla nozione di compagnia marittima nazionale desumibile dall'art. 2, comma 3 (compagnia riconosciuta dalla competente autorità marittima di ciascuna parte), derivandone per argomento "a contrario" che, se le parti avessero voluto riservare la quota alle navi battenti bandiera italiana o alle compagnie marittime italiane che utilizzano navi italiane, avrebbero adoperato la nozione di nave della parte contraente.
Nè vale rilevare che la nozione di compagnia marittima nazionale come compagnia che utilizza abitualmente e prevalentemente navi di bandiera nazionale delineata dalla L. n. 210 del 1991 costituisce il fulcro, oltre che della disciplina del traffico conferenziato, di tutti gli accordi bilaterali di cooperazione e ripartizione del traffico, atteso che, come ritenuto dalla corte di merito, è impossibile desumere da una normativa speciale, qual è la L. n. 210 del 1991, una nozione da applicare in via generale.
Il criterio teleologico è ben lungi dall'avallare la tesi interpretativa della società ricorrente, essendo lo scopo dell'accordo non già quello di rafforzare la posizione delle compagnie che utilizzano navi di bandiera nazionale, ma quello di "sviluppare le relazioni marittime fra la Repubblica Italiana e la Repubblica della Costa d'Avorio, di assicurare un miglior coordinamento del traffico e di prevenire tutte le misure che possano recare pregiudizio allo sviluppo dei trasporti marittimi fra i due Paesi" (art. 1 dell'accordo bilaterale).
Può, pertanto, affermarsi che l'interpretazione dell'art. 12 dell'accordo bilaterale fra Italia e Costa d'Avorio ratificato in Italia con L. n. 952 del 1984, condotta con i criteri letterale, sistematico e finalistico, porta a ritenere che possono partecipare alla quota di riserva del traffico marittimo fra le parti contraenti le compagnie di navigazione marittima riconosciute dalla competente autorità italiana indipendentemente dal fatto che utilizzino navi battenti bandiera nazionale.

3. Il ricorso è rigettato; nella particolarità della fattispecie si ravvisano motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2007. Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2007


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