SEZ. L, SENT. 19849 DEL 04/10/2004
PRES. Mattone S.   REL. La Terza M.  
P.M.  Pivetti M. (Parz. Diff.) 
RIC. Gentile ed altro (avv. Pomar) 
RES. Az. Speciale Amat (avv. Marcatajo ed altro) 


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi al Giudice del lavoro di Palermo del 28 gennaio 1998 Luigi Gentile e Mangano Alfonso, dipendenti Amat fino al 31 gennaio 1997, cessati dal servizio con la qualifica di Capo Tecnico ad esaurimento, citavano l'Azienda Speciale lamentando di non essere stati inclusi fra il personale in esubero strutturale nel programma di prepensionamento previsto dall'Azienda e di non avere potuto conseguentemente beneficiare della agevolazioni previste dalla legge. Deducevano in particolare l'arbitrarietà dell'operato dell'Azienda, asserendo che, in quanto appartenenti ad una categoria in esaurimento, per ciò stesso avrebbero avuto diritto all'inquadramento fra i lavoratori in esubero, ai quali - in conseguenza dell'intesa raggiunta con le OO.SS. il 23 giugno 1995 - non sarebbe stata applicata la delibera aziendale n. 172 del 9 marzo 1995, che aveva eliminato l'indennità di funzione e carica;
chiedevano inoltre che venisse dichiarata l'illegittimità della predetta delibera, per avere inciso, con atto unilaterale, su diritti ormai quesiti dai lavoratori.
Costituitasi l'Amat, che contestava la pretesa, il Giudice del lavoro, con sentenze n. 122 e 124 del 9 dicembre 2000, accoglieva la domanda, condannando l'Azienda alle differenze retributive derivanti dall'indennità di funzione e carica ed al versamento dei relativi oneri previdenziali.
Sull'appello dell'Amat, la locale Corte d'appello, riuniti i due procedimenti, con sentenza dell'8 marzo 2002, riformava la statuizione di primo grado, rigettando le domande proposta dai lavoratori.
I Giudici del gravame affrontavano la questione, ritenuta logicamente preliminare, della legittimità della delibera n. 172 del 1995, con cui erano stati disdettati gli accordi aziendali del 23 ottobre 1971 e del 23 ottobre 1985 concernenti l'indennità di funzione e carica, ed affermavano che la delibera era legittima, sul rilievo che è sempre possibile la disdetta unilaterale del datore da un accordo aziendale a tempo indeterminato e che non poteva configurarsi la violazione di diritti quesiti, perché, nella premessa della delibera, la ragione della disdetta si fondava sul venir meno dell'esigenza di disporre di prestazioni straordinarie da parte degli impiegati dei gradi più elevati, poiché il numero di essi era aumentato da 86 unità del 1985 (data di sottoscrizione dell'accordo) alle 243 attualmente in forza. Nè era configurabile la violazione di diritti quesiti, che sarebbe stata ravvisabile solo ove, dopo l'abolizione dell'indennità, l'azienda avesse continuato a pretendere prestazioni straordinarie. Indi la Corte territoriale esaminava la ulteriore questione relativa al diritto dei due lavoratori alla inclusione nella categoria del personale in esubero strutturale, per la quale era previsto il mantenimento dell'indennità. Riportato il tenore dell'art. 4 del DL 205/95, che disciplina il prepensionamento con onere a carico delle aziende di trasporto, ed il prepensionamento con finanziamento statale, previsto per "effettive eccedenze strutturali", da rilevare d'intesa con le associazioni sindacali di categoria, la Corte rilevava che l'Azienda, in data 23 giugno 1995, aveva stipulato con le OO.SS un verbale di intesa, in cui si escludeva per il personale rientrante ne gli esuberi strutturali - e che doveva essere ancora definito quanto al numero ed alla qualità - la abolizione dell'indennità di funzione e carica. Indi, le parti avevano sottoscritto un successivo verbale d i in tesa il 24 luglio 1995, con cui le i eccedenze strutturali aziendali venivano determinate in 235 unità e poiché il prepensionamento era stato richiesto da 111 lavoratori rientranti e da 120 lavoratori non rientranti negli esuberi strutturali, si concludeva che il prepensionamento avrebbe riguardato 231 unità. Ciò premesso la Corte territoriale affermava che l'individuazione del personale in esubero strutturale era stata effettuata in relazione alle effettive esigenze attuali di ristrutturazione aziendale, a seguito di confronto con le OO.SS. circa il concreto fabbisogno di personale nei vari settori, ragioni cui si doveva dare preminenza, mentre restava irrilevante, ai fini della selezione, il fatto che i due lavoratori ricorrenti appartenessero alla categoria ad esaurimento secondo il CCNL del 1987. Costoro, pertanto, non rientrando tra il personale in esubero, non avevano diritto al mantenimento dell'indennità di funzione e carica. Avverso detta sentenza i soccombenti propongono ricorso affidato a quattro motivi. Resiste l'Amat con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2113, 1362 e 1363 cod. civ., per avere la Corte di Palermo affermato la legittimità della delibera con cui si revocava l'indennità di funzione e carica. Sostengono i ricorrenti che, secondo l'accordo istitutivo, ossia l'accordo aziendale del 30 giugno 1934 della ex Sast, riprodotta nell'accordo del 23 ottobre 1985, l'indennità aveva natura composita, essendo intesa a retribuire i funzionali di alto grado anche per la responsabilità e l'impegno attribuiti e quindi non solo per compensare il lavoro straordinario, venendo infatti corrisposta anche in assenza di questo; la Corte territoriale non avrebbe neppure motivato sulla ragione per cui detta indennità dovesse continuare ad essere erogata alle 235 unità ritenute in esubero strutturale, pur essendo venute meno le esigenze lavorative che la giustificavano, mentre per le altre 120 istanze di prepensionamento la revoca era valida. L'indennità inoltre avrebbe avuto contenuto transattivo, essendo ricollegata, ai sensi dell'accordo del 1985, anche alla rinunzia allora espressa ad ogni pretesa per differenze e conguagli relativi a periodi maturati al primo gennaio 1985.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2078 cod. civ. e difetto di motivazione, per avere la Corte territoriale escluso che il provvedimento di revoca violasse diritti acquisiti, mentre la stessa azienda, con delibera n. 339 del 1986, nel confermare la natura intangibile dell'indennità, ne aveva postulato la modifica peggiorativa neppure con l'intervento delle associazioni sindacali. Peraltro il mantenimento della indennità di funzione per il personale considerato in esubero strutturale, e cioè per 235 dipendenti, si porrebbe logicamente in contrasto con il collegamento alla prestazione di lavoro straordinario. La indennità j corrisposta in misura fissa per molti anni, dovrebbe considerarsi una vera e propria indennità di mansione quindi integrativa della retribuzione. Inoltre il mantenimento per ben trentotto anni di tale indennità, costituirebbe comunque un uso negoziale o aziendale che inerisce al contratto individuale ai sensi dell'art. 1340 cod. civ. e quindi potrebbe essere modificato solo con il consenso degli aventi diritto. Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 205 del 1995, e difetto di motivazione, perché la disposizione relativa al prepensionamento delle eccedenze strutturali, con utilizzazione a favore delle aziende delle risorse stanziate e non impegnate, farebbe riferimento esclusivamente alle eccedenza strutturali preesistenti, mentre con gli accordi aziendali del giugno e luglio 1995, la definizione del numero e della qualità degli esuberi strutturali veniva collegata ad un piano, da attuare in futuro, di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale. Sarebbe quindi erronea la ritenuta irrilevanza del possesso da parte loro di una qualifica ad esaurimento, che starebbe invece a dimostrare una situazione di esubero. Solo facendo riferimento alla situazione già esistente al momento del rilevamento vi sarebbe la possibilità di controllare ed impedire errori e favoritismi nell'individuazione de gli esuberi, mentre nel verbale di intesa del 24 luglio 1995 mancava qualunque motivazione, nonché qualunque richiamo ad elementi certi, con impossibilità per gli interessati di verificare le ragioni della propria esclusione. Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1418 cod. civ., nonché difetto di motivazione, perché con detti accordi si era, immotivatamente ed incongruamente, mantenuta indennità di funzione e carica per i dipendenti considerati in esubero.
Il ricorso non merita accoglimento.
I primi due motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, attengono alla legittimità della delibera aziendale N. 172 del 9 marzo 1995, con cui veniva revocata "per tutti" l'indennità di funzione e carica, questione che assume efficacia preliminare rispetto alle altre e concernenti il prepensionamento, giacché, come ha logicamente ritenuto la sentenza impugnata, solo in caso di riconosciuta legittimità della revoca si renderebbe necessaria la disamina delle questioni ulteriori.
La legittimità della delibera aziendale è stata correttamente fondata dalla Corte territoriale sulla base del principio per cui è sempre possibile la disdetta unilaterale da un accordo aziendale senza determinazione di tempo, nella specie dagli accordi del 1971 e del 1985.
a) Invero la recedibilità ad nutum dei rapporti di durata a tempo indeterminato è principio generale dell'ordinamento - rispondente all'esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio - che come tale prescinde da qualsiasi previsione legislativa specifica oppure pattizia, per fugare il dubbio, talora prospettato (Cass. 9975 del 1995) che la indeterminatezza della durata (e perfino la durata non ragionevolmente contenuta) possa determinare la caduta del contratto "nell'area di disfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo" ed impedisca, perciò, di considerarlo meritevole di tutela e, come tale, giuridicamente valido a norma dell'art. 1322 secondo comma cod. civ.. Detto principio è stato più volte applicato anche in tema di contratti collettivi (tra le tantissime Cass. n. 1694 del 25 febbraio 1997 e n. 4507 del 16 aprile 1993) essendosi ritenuto che "Ai contratti collettivi postcorporativi - che, con la fine dell'ordinamento corporativo e la mancata attuazione dell'art. 39 Cost., rientrano esclusivamente nell'area dell'autonomia privata, con soggezione alla regolamentazione dettata per i contratti in generale - non è applicabile la disciplina prevista dal codice civile per i contratti corporativi e, in particolare, la norma dell'art. 2071, ultimo comma, cod. civ., relativa all'obbligo di determinare la durata del contratto, con la conseguente possibilità' che un contratto collettivo sia stipulato senza indicazione del termine finale, ossia a tempo indeterminato. In tale ipotesi, la mancata indicazione anzidetta non implica che gli effetti del contratto perdurino nel tempo senza limiti, atteso che - in sintonia con il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto ex art. 1375 cod. civ. ed in coerenza con la naturale temporaneità dell'obbligazione - deve riconoscersi alle parti la possibilità di farne cessare l'efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di un'espressa previsione legale, non essendo a ciò1 di ostacolo il disposto dell'art. 1373 cod. civ., che contempla il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata introdotta dalle parti, senza nulla disporre per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo".
Se dunque era consentito il recesso ad nutum da parte dell'Amat dagli accordi del 1971 e del 1985, tanto era sufficiente per affermare la legittimità della revoca e quindi per respingere il ricorso su questo punto, apparendo superflue le ulteriori argomentazioni svolte dalla Corte territoriale sulla ragionevolezza della effettuata revoca dell'indennità di funzione e carica, nonché sulla natura dell'indennità, b) Quanto poi alla dedotta violazione dei diritti acquisiti, di cui al secondo motivo, la tesi è infondata. Va preliminarmente rammentato il principio più volte affermato (tra le moltissime Cass. n. 12751 del 28 novembre 1992, n. 11805 del 14 novembre 1995) che le funzioni specifiche riconosciute dall'ordinamento alle associazioni sindacali consistono nella stipula di contratti collettivi aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti e nello svolgimento, in favore degli stessi, di opera di promozione civile, sostegno nelle rivendicazioni ed assistenza nelle controversie, senza che possa però configurarsi una legittimazione delle associazioni medesime a rinunciare, transigere o conciliare diritti soggettivi (ancorché acquisiti dai singoli lavoratori in forza di pattuizioni collettive), in difetto di espressa previsione normativa in tal senso o di uno specifico mandato da parte degli associati (cfr, le sentenze n. 1140 del 1983, n. 1577 del 1985). Ma non vi è contrasto tra questo principio e quello, del pari fermamente enunciato dalla Corte, secondo il quale, in tema di successione di contratti collettivi, il lavoratore non può invocare un diritto acquisito in forza della precedente contrattazione. Infatti, una cosa è l'indisponibilità, da parte del sindacato, dei diritti soggettivi perfetti attribuiti da un determinato contratto collettivo, ed altra cosa è la pretesa, da parte del lavoratore, di mantenere definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto nato da una norma collettiva che ormai non esiste più perché caducata o sostituita da una successiva contrattazione collettiva (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 4947 del 1991, n. 2155 del 1990, n. 403 del 1990, n. 1147 del 1988, n. 9175 del 1987, n. 5592 del 1986). Ciò perché le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano invece dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nell'ipotesi di successione fra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (che attiene esclusivamente, ai sensi dell'art. 2077 cod. civ., al rapporto tra contratto collettivo ed individuale), restando la conservazione di quel trattamento affidato all'autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, che possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia. D'altra parte, se così non fosse, ossia se la regolamentazione di ciascun rapporto fosse cristallizzata alla s tregua del contratto collettivo, non vi sarebbe più alcuno spazio per la contrattazione successiva e si darebbe origine ad obbligazioni senza determinazione di tempo, il che, come già detto, si pone in contrasto con i principi dell'ordinamento. c) Inoltre è sempre salva l'ipotesi che la clausola originariamente di fonte collettiva,, sia poi recepita nel contratto individuale per inequivoca volontà1 delle parti in tal senso espressa, sia pure per facta concludentia, anche se non può ritenersi fatto all'uopo concludente la mera reiterazione del comportamento datoriale di adesione alla clausola collettiva anche nel lungo periodo, perché, come rilevato dalle Sezioni Unite nell'esame del tema degli usi aziendali (Cass., S.U., n. 3134-1994), l'oggettiva esistenza di un obbligo giuridico e in particolare dell'obbligo derivante d a contratto collettivo costituisce giustificazione adeguata della reiterazione del comportamento datoriale, la quale di per se non implica minimamente la volontà' di recepire nell'individuale la disposizione del contratto collettivo.
d) Va escluso quindi che la revoca possa essere impedita dalla sussistenza di un uso aziendale, giacché, è principio consolidato (tra le tante Cass. n. 10642 dell'11 agosto 2000, e 17 maggio 2002 n. 7200) che per la formazione degli usi aziendali è necessario il protrarsi nel tempo di comportamenti che abbiano carattere tacito, non siano, cioè1, il prodotto di specifici vincoli contrattuali, giacché nella specie l'indennità derivava da accordi aziendali. È infondato anche il terzo motivo.
Negli anni 90 sono stati emesse numerose disposizioni, intese al risanamento di vari settori che si trovavano in crisi, risanamento da attuare espungendo dall'attività produttiva, attraverso il prepensionamento, i lavoratori aventi una età anagrafica e/o i una anzianità contributiva tale da essere prossimi al conseguimento dei requisiti necessari per la pensione di vecchiaia e/o di anzianità. Si tratta, a mero titolo esemplificativo, del prepensionamento nel settore siderurgico di cui all'art. 8 del DL n. 299 del 16 maggio 1994, convertito nella legge n. 451 del 19 luglio 1994, e nel settore del trasporto aereo di cui all'art. 9 del medesimo provvedimento. Questi prepensionamenti recavano una disciplina analoga a quella prevista dal DL 205/95 in esame per le aziende di trasporto (questo DL non fu convertito, ma più volte reiterato, da ultimo con il DL n. 501 del 25 novembre 1995, poi convertito con la legge n. 11 del 5 gennaio 1996), ed infatti tutti i lavoratori interessati dei diversi settori dovevano presentare la domanda all'impresa di appartenenza, che avrebbe provveduto a selezionare le varie richieste sulla base di un piano triennale o biennale di pensionamento anticipato che ogni azienda doveva approntare. Il piano di prepensionamento è ispirato al duplice intento di attuare sia il risanamento, sia il rilancio del settore produttivo attraverso la "ristrutturazione e riorganizzazione". Ed infatti il DL 205/95, che viene in applicazione nella specie, dispone che il pensionamento anticipato viene introdotto "al fine di favorire il processo di riorganizzazione e risanamento del settore del pubblico trasporto" È poi vero che al terzo comma si fa riferimento alle "effettive eccedenze strutturali", ma, stanti le finalità sopra ricordate, non si può escludere, contrariamente a quanto si assume in ricorso, che le effettive esigenze strutturali siano anche quelle derivanti dal processo di riorganizzazione, e non già solo quelle preesistenti. D'altra parte la legge delega all'azienda "d'intesa con le organizzazioni sindacali di categoria" di rilevare le effettive esigenze strutturali, senza porre alcun criterio selettivo, che sia passibile di verifica in sede giudiziale, a richiesta di colui che si consideri pregiudicato. Inoltre il singolo dipendente è salvaguardato, in via generale, dal fatto che il prepensionamento è pur sempre a domanda. È infondato anche il quarto ed ultimo motivo. Invero l'accordo del 23 giugno 1995, per cui l'indennità di funzione veniva mantenuta proprio ai dipendenti in esubero, restava comunque nell'ambito dell'autonomia contrattuale riservata alle parti contraenti collettive e non appare in contrasto con una specifica disposizione di legge che ne possa provocare la nullità ai sensi dell'art. 1418 cod. civ..
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese del giudizio vengono compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2004.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2004