TRIBUNALE DI MODENA
ORDINANZA 20 DICEMBRE 2001
dott. Michele Cifarelli
Poste Italiane s.p.a. (avv. A. Molè, R. Pini, A. Sandulli e V. Tavormina,) c. Daniele Malavasi, (avv. G. Borelli e L. Gazzetti) - Consiglio Nazionale delle Ricerche - Registration Authority Italiana (Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna), Naming Authority Italiana (avv. E. Fogliani, P. Menchetti, M. Riguzzi, P. Sammarco).
TRIBUNALE DI MODENA
Causa n. 3156/00 R.G.
Il G.I.
Tale provvedimento, in sede di attuazione ex art. 669 duodecies c.p.c., è stato interpretato dal medesimo giudice della cautela, con provvedimento in data 14 febbraio 2001, nel senso che "per chiusura dei siti" deve intendersi la revoca dei relativi domain names in capo al Malavasi ma non anche la contestuale assegnazione degli stessi all'ostante società, per cui, con l'ordine di revoca suddetto alla Registration Authority, è stata ivi disposta "la contestuale sospensione dell'assegnazione di tali nomi a dominio sito all'esito del giudizio di merito".
2) Ciò premesso, non merita accoglimento l'istanza di modifica
avanzata dalle Poste italiane, per difetto di mutamento di circostanze
rilevanti in questa sede.
In effetti, tale parte ha addotto, a sostegno dell'istanza, l'incremento
in termini di servizi, nuove modalità di fruizione dei servizi medesimi
e correlate campagne pubblicitarie della propria presenza in "rete", sostenendo
che l'impossibilità di utilizzo dei siti in parola con suffisso
.it determinerebbe oggettivamente una irreversibile perdita di clientela,
posto che gli utenti "tendono a cercare sulla rete il nome corrispondente
al servizio, che ha certamente maggior visibilità rispetto al nome
della società che tale servizio gestisce".
Orbene, l'ultimo elemento dedotto (a parte la sua dubbia condivisibilità,
visto che l'istante risulta tramite altra società di gestione titolare
del sito "bancoposta.biz"e e potrebbe aggiudicarsi il domain names "bancoposta.net"
ancora libero, e può pertanto comunque offrire i suoi servizi attraverso
un sito con domain name corrispondente al servizio medesimo, facilmente
reperibile in via diretta - soprattutto ove le massicce campagne pubblicitarie
di cui si dà conto nell'istanza, e che hanno, per sua stessa ammissione,
portato un notevole incremento dell'utenza di "rete", fossero in tal senso
indirizzate - od attraverso motori di ricerca che, come noto, selezionano
tutti domain names a prescindere dai suffissi, non essendo ipotizzabile
- né, in fatto, prospettata - una oggettiva plusvalenza commerciale
dei siti identificati da domain names a suffisso .it rispetto a quelli
a suffisso .net, .biz etc.) non costituisce certo mutamento delle circostanze
considerate in sede di concessione della cautela, trattandosi di una mera
argomentazione logica svolta fin dal ricorso introduttivo ante causam.
Quanto agli altri, è certo che fra i mutamenti delle circostanze
rilevanti ai fini dell'art. 669 decies c.p.c. non possono farsi rientrare
quelle mutazioni delle realtà volontariamente provocate dalla
parte che voglia avvalersi di tale disposizione, per cui il fatto che Poste
italiane abbia incrementato l'utilizzo commerciale della "rete" risulta
ontologicamente inidoneo a supportare l'integrazione della cautela richiesta.
3) Anche l'istanza di revoca proposta riconvenzionalmente dal Malavasi in forza della medesima norma non merita accoglimento, in quanto nessuno dei fatti addotti a suo fondamento (e cioè una sopravvenuta carenza di legittimazione attiva dell'istante per essere stati nel frattempo i servizi in parola affidati ad altra società, a nome Postecom s.p.a., ovvero una sorte di confessione della nullità del marchio registrato "bancoposta" derivante dall'ammissione che esso rappresenta un servizio) costituisce circostanza sopravventua idonea a rendere inattuale la concessa cautela - la prima, visto che i servizi per cui è causa risultano ancora direttamente gestiti da poste italiane s.p.a. nel proprio sito Posteitaliane.it, e posto che il titolare di un marchio registrato ha diritto alla tutela inibitoria pur se lo sfruttamento commerciale si realizzi tramite licenziatari; la seconda, in quanto, per tacer d'altro, un marchio ben può essere identificativo di un servizio piuttosto che di un prodotto, per testuale disposizione di legge).
Modena, 20 dicembre 2001
Michele Cifarelli