Diritto di Internet e dell'informatica

  TRIBUNALE  DI  MONZA, ORDINANZA 26 MAGGIO 2001
dott. Danilo Galletti
     Cybersearch. / Francesca Sansone 


Nel procedimento cautelare avente ad oggetto inibitoria industriale promosso da  CYBERSEARCH s.a. nei confronti di SANSONE Francesca, R.G. n. 3522/01, 

il G.p.c., 
sciogliendo la riserva di cui al verbale del 10.5.01, perenti il 22.5.01 i termini concessi alle parti per deposito di memorie e documentazione, letti gli atti ed i documenti di causa, ha pronunziato la seguente

ORDINANZA

premesso che
1)- Sulla legittimazione attiva di cybersearch. - in via pregiudiziale deve rilevarsi  l'infondatezza dell'eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo a Cyberserach s.a.: infatti il documento allegato alla memoria 17.5.01, portante in calce la data del 11.5.01, e consistente in una visura delle risultanze del Registre de Commerce francese,  riporta l'avvenuta variazione  della  denominazione  sociale  da  Advice  a Cybersearch,  datandola  17.2.00  (deposito  avvenuto  il 22.3.00,  in  modo  conforme  a  quanto  sostenuto  nel ricorso); il documento è utilizzabile in questo giudizio (ove il modulo di cognizione  è "sommario", benchè proveniente da un'autorità amministrativa estera, e non prodotto in "originale" (d'altro canto, avendo il documento valore di  certificazione, l'originale  consiste  propriamente nella. dichiarazione dell'autorità relativa al fatto del quale  ha  contezza,  a  meno di  non  contestare  la provenienza dell'atto, con l'onere tuttavia di fornire idonei elementi atti a suffragare l'affermazione);
il documento allegato viceversa dalla resistente il 22.5.01 (a  prescindere  dal  fatto  che era stato autorizzato unicamente  il  deposito  di  una  memoria illustrativa,  e  non  di  documentazione)  non  può ritenersi  prova  contraria,  non  consistendo  in  una visura "storica" del soggetto iscritto (ragion per cui è logico che non riporti in modo completo le vicende pregresse);

2) Sulla natura arbitrale del procedimento di cui aIl'art.15 delle Regole di  Naming. - appare  fondata invece l'eccezione di parte resistente relativa alla pendenza di giudizio arbitrale irrituale relativo alla stessa controversia qui azionata in sede cautelare; la  resistente  infatti  ha  dimostrato  l'avvio  del procedimento  arbitrale  previsto  dall'art.  15  delle regole di Naming (prodotte in parte dalla ricorrente, ma agevolmente reperibili all'interno del sito www.nic.it, sì da considerarsi rientranti addirittura nella sfera del "notorio"), da parte della stessa ricorrente, ove le argomentazioni esposte sono sovrapponibili in buona sostanza a quelle redatte a corredo del ricorso; il procedimento  in  questione  appare  qualificabile effettivamente  come arbitrato  irrituale,  in  sintonia con la  definizione in tal senso contenuta nelle stesse regole del Naming,  atteso che,  nonostante  l'utilizzo diffuso    di    espressioni   linguistiche    tipiche dell'attività  giurisdizionale,  dirimente  risulta  la previsione di poteri'" cautelari" in capo al collegio arbitrale  in  pendenza della  procedura  (art. 15.5); infatti,   com'è   noto,   tale   potestà   è   preclusa nell'arbitrato  rituale  dall'art.  818  c.p.c.,  sicché l'interpretazione  della  clausola,  nel  senso  che  la stessa possa avere un'efficacia giuridica (arg. ex art. 1367  c.c.),  deve  condurre  alla  qualificazione  in termini di irritualità; in sostanza  la clausola compromissoria  in questione risolve  il  problema,  caratteristico  dell'arbitrato irrituale, della compatibilità del modulo di soluzione pattizio della  controversia  eletto  dalle  parti  con l'eventuale   insorgere   di   esigenze   di   urgenza, abilitando  il  collegio decidente a porre  in essere decisioni interinali e provvisorie,  sempre basate sul consenso preventivo delle parti,  ed aventi natura ed efficacia contrattuali;  la inesecutività con i mezzi giurisdizionali  dei  provvedimenti  in  questione  nel frangente è supplita dalla competenza ad attuarli in capo ad un soggetto terzo inter partes  (la RA),  che garantisce l'ottemperanza spontanea;
questo Giudice reputa altresì che identica sia la causa petendi dei due "giudizi" (in caso contrario, se cioè il Collegio arbitrale dovesse decidere sulla base di disposizioni   esclusivamente   contrattuali, nessun ostacolo potrebbe sorgere sul piano della disponibilità della tutela cautelare ordinaria a tutela dei diritti assicurati dall'ordinamento giuridico generale: cfr. i rapporti fra il Giurì del CAP e la tutela ordinaria davanti al Giudice, sulla base della disciplina sulla proprietà industriale e sulla concorrenza sleale);
infatti il Collegio arbitrale decide "secondo equità", sulla  base  delle  regole  di  naming  e delle norme dell'ordinamento italiano (art. 15.6); analoga conferma nasce dall'esame della procedura "amministrativa" di cui all'art.  16,  ove la sovrapponibilità dei termini giuridici  è  ancora  più  evidente,  e  si  menzionano appunto alla tutela del marchio contro l'uso confusorio del dns (art.  16.6,  norma che la stessa ricorrente, nell'atto  di  nomina  del  proprio  arbitro,  reputa applicabile altresì al procedimento ex art. 15);
al riguardo non è decisivo che la ricorrente agisca qui per chiedere la inibitoria all'uso del segno, laddove nel  procedimento  arbitrale  il petitum è  ovviamente soltanto la riassegnazione del nome di dominio fatto costitutivo  di   entrambe   le  pretese   è   infatti, chiaramente ed inequivocamente, la tutela del marchio Cybersearch contro  la  contrattazione  a  mezzo  di gestione di sito web,  sicché alcuna causa di merito potrebbe   essere   instaurata   davanti   all'Autorità Giudiziaria all'esito della concessione della cautela invocata;
addirittura,   l'oggetto  dei  procedimento  arbitrale appare più ampio, siccome esteso, in ipotesi, altresì alle situazioni ove il domain name è stato registrato, eppure non viene di fatto utilizzato, restando il sito inattivo;  in queste ipotesi problematica sarebbe  la tutela del segno distintivo,  laddove la procedura di cui  all'art.  15  assicura  all'instante  una  tutela "anticipata" rispetto all'uso effettivo confusorio 
ogni  perplessità  sul  fatto  che,  evidentemente,  la tutela cautelare giurisdizionale offerta dal settore normativo specifico dei marchi registrati (artt. 61 ss. l. mar.) offre strumenti più efficaci e di più ampia portata, non può essere nemmeno prospettata, atteso che l'inconveniente  discende   dalla   scelta  di  parte ricorrente di sottomettersi alla procedura arbitrale, così   "rinunziando"   pro   tempore   alla   tutela giurisdizionale;
ne discende com'è noto  la  sospensione della tutela cautelare davanti al Giudice Ordinario; infatti con il compromesso   in   arbitrato   irrituale   le   parti "rinunziano" alla tutela giurisdizionale  (cfr. Cass., n.  12225/1995;  6757/1993),  almeno  fintantoché  non sopravvenga la pronunzia arbitrale;  i  firmatari del compromesso  insomma  tutelano  le  proprie  posizioni giuridiche    surrogando    negozialmente    l'attività giurisdizionale del magistrato, anche se probabilmente ciò non configura già una vera e propria "rinunzia" alle situazioni giuridiche processuali implicate, come invece  ritiene  la giurisprudenza  appena  richiamata, bensì solo un "rinvio" della tutela giurisdizionale ad un momento successivo,  dopo  la pronunzia del  lodo, sicché la dottrina ha efficacemente potuto affermare ché  l'azione  di  cognizione  è  allo  stato  solo "prematura";
ne discende comunque,  in entrambe  le  configurazioni teoriche, la carenza attuale dell'interesse ad agire da parte dell'attore, tanto nella causa di merito quanto in quella cautelare, attivata ante causam;
l'improponibilità attuale della causa di merito cagiona infatti la inammissibilità anche della fase cautelare, che dopo la riforma del 1990 presuppone espressamente ed  inderogabilmente la   successiva  ed   immediata introduzione della pretesa in sede ordinaria, persino in  quei  giudizi,  come  quello  possessorio,  ove  in precedenza sembrava potersene prescindere  (v. la nota Cass., sez  un., n. 1984/1998; l'omessa instaurazione del giudizio di merito, e l'impossibilità di iniziarlo al fine di ottenere un'improbabile "sospensione" dello stesso (ex artt. 295 o 296 c.p.c.), comporta infatti senza   eccezioni   l'inefficacia   del  provvedimento cautelare reso (artt. 669 octies- novies c.p.c.); in tal senso si è pronunziata del resto la più recente giurisprudenza (Cass. nn.12225/1995;  6757/1993,citt.; Trib. Bologna, 23 giugno 1997, 13 gennaio 1997; Trib. Torino, 14 aprile 1997; Trib. Reggio Emilia, 26 luglio 1996;  Trib.  Vercelli,  20 agosto  1996;  Trib. Torino, 4 dicembre 1995; Trib. Verona, 18 ottobre 1993; Trib, Milano, 29 settembre 1993; contra, isolatamente, Trib. Velletri, 13 novembre 1995);
d'altro  canto   le  norme   contenute  negli  artt.669 quinquIes e octies, ult. cpv., c.p.c., sono ritenute pressoché pacificamente applicabili alla sola varietà di arbitrato "rituale";  un  argomento  a conferma di quest'impostazione    discenda    altresì    dall'art. 669 novies1  ult.  co.,  n.  1,  sebbene  si sia dubitato persino della sua vigenza,  per l'apparente contrasto con l'abolizione del termine annuale per il deposito del lodo, ai fini dell'exequatur, operata dalla 1. n. 25/1994,  dubbio  peraltro  fugato  dalla  più  recente dottrina,  che rileva opportunamente la diversità dei relativi piani concettuali;
rileva poi il G.p.c. che,  se è vero che talvolta la giurisprudenza ha osservato che "in presenza di patto per arbitrato irrituale le parti non possono invocare la tutela cautelare se non prospettando,  in funzione del futuro giudizio di merito,  la caducazione del medesimo patto per motivate  ipotesi di risoluzione" (Trib.  Bologna  23  giugno  1997,  cit.),  ciò  appare possibile,   in  astratto,   per  l'intervenuto  mutuo dissenso (art. 1372 c.c.) rispetto al compromesso, o a condizione  che  sia  effettivamente  dimostrata  la ricorrenza di un alterazione della "base negoziale" e della causa del negozio compromissorio, tale per cui la rimozione dello stesso ripristini la normale sfera di tutela giurisdizionale; ciò può avvenire attraverso la prospettazione  di un  fatto,  comune  ad  entrambe  le parti,  e non dipendente dalla volontà delle stesse, nella  cui presupposizione  esse  abbiano  stipulato l'accordo; si potrebbe ad es.  dimostrare  che  la clausola arbitrale fu pattuita nella presupposizione della non verificazione delle circostanze che rendono all'attualità   urgente,    e   non   procrastinabile, l'intervento  del  giudice  in  sede  cautelare,  con ampiezza di poteri coercitivi;  in tale situazione il G.p.c.  potrebbe  al  limite  adottare  provvedimenti provvisori ed urgenti,  funzionali alla conservazione delle  ragioni  del  ricorrente,  e  nella  prospettiva de1l'assicurazione degli effetti del giudizio di merito finale,  che  contempli  altresì la  risoluzione  del suddetto accordo per i motivi appena enunziati;
d'altro canto  non  può  essere  condiviso  il  recente suggerimento  dottrinale  di  addivenire,  in  queste ipotesi, a quanto pare per la sola integrazione del presupposto   dell'urgenza,   alla   dichiarazione   di scioglimento del contratto per l'impossibilità dello stesso di assecondare la sua funzione tipica, posto che nel  nostro  ordinamento  la  sopravvenuta  "inutilità" dell'obbligazione  contratta  produce effetti  solo  in coincidenza con la impossibilità della stessa  (art. 1256 c.c.) la quale richiede ben altre e più radicali ragioni giustificative;
nulla di tutto ciò è predicabile tuttavia nel presente giudizio, ove anzi la configurazione del compromesso in termini   tali   da   prevenire   eventuali   necessità "urgenti", priva di base fattuale qualunque eventuale argomentazione  fondata  sulla  clausola  rebus  sic stantibus

3) Sull' interesse  ad  agire  di  Cybersearch  e  sulla ricorrenza  del periculum in mora. - ancora  in via preliminare deve osservarsi come questo Tribunale,  in sintonia con gli orientamenti dominanti della dottrina e della giurisprudenza, abbia già affermato decisamente la natura di segno distintivo del domain name secondario (Trib. Monza, 25.1l.OO, Hachette Filipacchi Presse s.a.-Gestioni Radiotelevlsive -s.r.l.; sul punto non occorre più dilungarsi;
va invece osservato, ad ulteriore conferma della non ricevibilità del ricorso, che in questo procedimento ha agito  esclusivamente  cyberserach  s.a.,  società  di diritto  francese  non stabilita,  apparentemente,  nel nostro  paese;  la  stessa  indica  espressamente  come soggetto richiedente la registrazione del domain name, ed  interessato  pertanto  all'utilizzo  dello  stesso, evidentemente per l'esercizio in Italia dell'attività tipica di recruiting on line descritta nel ricorso, la società controllata Cybersearch Italia s.r.l.;
appare  evidente  allora  che,  soprattutto  in  sede cautelare, il soggetto che può affermare l'incidenza a proprio  svantaggio  di  un  pregiudizio  grave  ed irreparabile   potrebbe   essere   solo   e   solamente cybersearch Italia s.r.., e non già la controllante francese, del resto titolare del marchio;
in sostanza, se anche in astratto fosse da affermarsi la contraffazione del marchio, non potrebbe certamente negarsi la legittimazione della titolare dello stesso ad agire in sede ordinaria per reprimere la lesione della privativa; e tuttavia nessun periculum in mora sussisterebbe  nei  confronti  della  stessa,  che  non esercita (sulla base delle stesse allegazioni attoree) alcuna attività in Italia;
diversa potrebbe essere la situazione non tanto se la controllata fosse licenziataria italiana del marchio (circostanza probabile, ma irrilevante, atteso che la medesima non ha agito in giudizio,  quanto se fosse stata allegata l'esistenza di un rapporto tale per  il danno subito dalla società italiana si ripercuota immediatamente sulla controllante;
ma nulla in tal senso si rinviene in atti;
in ultima analisi, sembrerebbe che la ricorrente si dolga in realtà della mera compressione della capacità del marchio di svolgere un'efficace funzione attrattiva" in Italia  (c.d  dilution), rivendicando tuttavia una tutela "allargata" concessa soltanto al titolare del marchio "rinomato" ai sensi della lett b del'art.1 l. mar., al  riguardo  è  opinione  del  giudicante,  fondata sull'esame  sistematico  della  1.  mar.,  dei  lavori preparatori,  nonché della  Direttiva  comunitaria  del 1988, che la nozione di "rinomanza" debba essere intesa in  termini  meno  rigidi  rispetto  all'elaborazione precedente che aveva riguardato i marchi 2celebri" o "supernotori"  (e che presuppone ad es. 1'art.  6 bis della Convenione di Unione di Parigi, non a caso citata con caratteri di autonomia dalla nuova 1. mar. a fianco del segno "rinomato": cfr. art. 17, lett. b);
al riguardo non sembrano da sposare ne' la prospettiva radicale per cui il marchio rinomato necessiterebbe di essere conosciuto dalla maggior parte dei consumatori in  generale,  senza  distinzioni  merceologiche  (c.d. opzione "tedesca"), ne' quella per cui qualunque marchio utilizzato  di  fatto,  e  pertanto  reso  "noto"  al pubblico,  potrebbe giovarsi della tutela "allargata" (c.d.  opzione  "olandese",  fondata  non  a  caso  su suggestioni   provenienti   da   un   ordinamento   che attribuisce  al  marchio  una  funzione  "attrattiva" autonoma ed ulteriore rispetto a quella distintiva, tutelando il titolare contro il rischio di dilution in sé);
se  per  ogni  segno  originale  infatti,   anche  a prescindere dalla fungibilità fra i prodotti,  e dal pericolo  di  ingenerare  confusione,  fosse  tutelato l'interesse   del   titolare   a   non   subire   un depotenziamento   della   carica   attrattiva   extramerceologica del marchio,  sarebbe  alterata  in modo disfunzionale la concorrenza nel sistema, attraverso la diminuzione ingiustificata, non compensata da vantaggi significativi,  delle  potenzialità  che  gli  operatori possono ricavare legittimamente dal contesto;
al contrario questo Giudice,  recependo del resto una recente pronunzia della Corte di Giustizia comunitaria (sent.  14 settembre 1999,  "General Motors"),  le cui statuizioni  interpretative  sono  vincolanti  per  le giurisdizioni nazionali che interpretano la normativa di  attuazione  dei  documenti  normativi  comunitari, ritiene che sta sufficiente, per riprendere il citato arresto,  una  conoscenza  da  parte  di  "una  parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi. contraddistinti da detto marchio", elemento da rilevarsi attraverso l'esame de "la quota di mercato coperto, l'intensità, l'ambito geografico e la durata del  suo  uso,  nonché  l'entità  degli  investimenti realizzati dall'impresa per promuoverla";
e tuttavia gli elementi discriminanti di cui sopra non sono stati nè allegati  (se si esclude l'affermazione dei  rilevanti  investimenti  effettuati,  tuttavia  non supportata da alcun argomento probatorio> nè tantomeno provati dalla ricorrente;

4) Sulla contrattazione del marchio Cyber search e sulla confondibilità. - questo Giudice deve poi rilevare ad abundantiam  che  anche  nel  merito  il  ricorso  non sembrerebbe  assistito  dal  requisito  del fumus boni iuris, infatti,  anche  se  non  possono  condividersi   le argomentazioni  di  parte  resistente  in  ordine  alla novità e capacità distintiva del marchio da valutarsi nel  suo  complesso,  e  non  già  disgiuntamente,  in relazione ad ogni singolo termine linguistico, cosicché all'agglomerato di per sè nuovo Cyber search non può negarsi una capacità distintiva minima, sufficiente a qualificarlo quantomeno come marchio debole,  tutelato almeno contro la contraffazione integrale), nonché alla somiglianza  dei  segni   (essendo   la  riproduzione praticamente pedissequa, senza che si possa attribuire alcuna importanza discriminante alla congiunzione dei due termini ed all'aggiunta del suffisso .it, che non vengono ricevuti dai destinatari della comunicazione che  si  avvale  di   Internet   come   elementi   di differenziazione   rilevanti),   difetta   in   maniera evidente l'affinità fra i servizi "veicolati" dai due segni distintivi,  sicché alcun pericolo confusorio è prospettabile;
infatti mentre la ricorrente gestisce un servizio di intermediazione nella ricerca e nell'offerta di lavoro, scopo del sito gestito dalla Sansone è esclusivamente (e la circostanza non è stata nemmeno contestata)  la ricerca di titoli letterari inerenti al settore della fantascienza;
infatti l'attitudine confusoria dev'essere apprezzata in relazione alla destinazione, almeno potenziale ed indiretta,   delle  due  attività  commerciali  alla soddisfazione dei medesimi bisogni degli utenti finali; si pensi,  per fare un esempio,  all'incongruità,  ed all'irrazionale effetto monopolistico, della eventuale tutela del marchio registrato da un mediatore in un settore merceologico particolare contro un operatore che  si  avvalga  di  segno  analogo  per  svolgere un'attività di intermediario in settore completamente diverso;
nessuna  affinità  è  pertanto  predicabile   sarebbe incongruo, e strumentale in realtà alla concessione di una tutela concessa ormai soltanto ai segni "rinomati", ritenere  affini  i due  servizi  basandosi sulla mera caratteristica  comune  di  espletare  un  servizio  di ricerca di dati;
e questo pur senza dover condividere l'affermazione di parte resistente per la quale l'utente Internet sarebbe un destinatario di Comunicazioni commerciali fornito di particolari capacità di attenzione;  
e non è possibile infatti attribuire all'utente Internet capacità di  discernimento  superiori  alla media,  non essendo la capacità tecnica di utilizzo di un bene sofisticato di per sé  indice rivelatore dì maggiore "resistenza" all'inganno confusorio;  occorrerà allora discriminare, all'interno della classe di utenti (ormai tale  da  confondersi  con  il  novero  generale  dei consumatori),  fra le singole categorie merceologiche, more solito; non si ricava allora dal tipo di servizi offerti   dalle  parti   una   tipologia  dl   fruitore particolarmente  sofisticato  od  "esoterico",  tale  da comportare    comunque   una   valutazione   di    non ingannevolezza nella comunicazione del segno usurpato, senza contare come l'analisi economica del diritto, in relazione    ai    fenomeni    di    misreapresentation pubblicitaria,  abbia ormai  dimostrato  l'inefficienza dell'allocazione in capo al destinatario del messaggio ingannevole di oneri di solidarietà particolari);
tutto da dimostrare, poi, è che il rilevamento del sito organizzato dalla resistente attraverso un motore di ricerca od uno spider sia idoneo a rendere trasparente la differenza di contesto,  attesa la sinteticità del report dello strumento di ricerca, tale da non rendere necessariamente il navigatore edotto del tenore reale del sito;
d'altro canto, i presupposti tipici del grabbing o del cybersquatting,  pur  implicitamente  adombrati  fra  le righe  del  ricorso,  non  sono  stati  né  allegati  nè dimostrati in termini oggettivi;
la  integrale reiezione del  ricorso  fa  scaturire  la condanna alle spese, liquidate in dispositivo;

P Q.M.

1) rigetta il ricorso;

2) Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in £ 240.000 per spese, £.1.000.000 per diritti,  f 5.000.000 per onorari,  oltre a IVA e CPA.

Si Comunichi.

Monza, 26. 5.01
Il  G.pc.
dott. Danilo Galletti