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Anno IV - n. 869 di venerdě 28 maggio 1999
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Arriva la polemica presa di posizione del direttore della Naming Authority italiana su una delle questioni più calde del momento
Commenti: la cache non faccia paura
Fonte: Punto Informatico

28/5/1999 - Roma - Pubblichiamo integralmente l'intervento che ci è stato inviato da Enzo Fogliani, Direttore del comitato esecutivo della Naming Authority italiana.

"Sulla rivista on line Punto Informatico è apparso in data 17 maggio 1999 un articolo, a firma di Luca Schiavoni, nel quale si ipotizza che le copie che si creano durante la navigazione su Internet nella cache del browser siano illegali, ed espongano l'utente a "rischi altissimi" di "multe salatissime".

Secondo l'autore dell'articolo, l'ignaro utente di Internet il cui browser utilizzi la cache diverrebbe addirittura colpevole del reato di ricettazione: egli infatti ammonisce che "in quel caso, in quanto ricettatori, sarà ben difficile negare la complicità per le copie pirata".

Il vespaio che hanno destato tali gravissime quanto infondate affermazioni induce a qualche precisazione, sia di fatto che di diritto, per dimostrare come le allarmistiche idee del signor Schiavoni non abbiano il minimo fondamento.

È noto cosa siano e come funzionino sia la cache sui singoli computer, sia i server proxy. Sostanzialmente essi mantengono traccia o addirittura copia dei dati ricevuti più di recente. In questo modo, nel momento in cui l'utente li richiama (accedendo, per esempio, ad un sito Internet già visitato), il computer non legge materialmente tutti i dati dalla fonte originaria, ma dalla cache del suo computer (o dal server proxy). E secondo il signor Schiavoni proprio questo caching "sarebbe un sistema di copiatura illegale ed incontrollato di materiale protetto", in quanto testi ed immagini vi sarebbero scaricate "senza il permesso degli autori".

Questi essendo i fatti, si può in primo luogo spazzare via il primo allarmante assunto del signor Schiavoni, secondo cui chi utilizza la cache nella navigazione su Internet sarebbe un ricettatore, e di conseguenza passibile, secondo l'art. 648 del nostro codice penale, della reclusione da 2 a 8 anni e della multa da 1 a 20 milioni di lire.
Il reato di ricettazione, infatti, presuppone l'acquisto, la ricezione o l'occultamento di denaro o cose provenienti da delitto. Nel caso di specie, ciò si avrebbe soltanto: (a) se venissero copiate nella cache materiali "frutto di un delitto", e (b) se vi fosse il dolo dell'utente; ossia, se l'utente fosse conscio del fatto che sta copiando qualcosa frutto di un delitto. (Si noti che la norma non parla genericamente di reato, ma di delitto, ossia del tipo di reato più grave previsto dal nostro ordinamento; art. 17 c.p.).

Si tratta quindi di ipotesi piuttosto improbabile, e non certo applicabile alla normale utenza. A prescindere dal fatto che non è cosa comune trovare su Internet materiale che sia frutto di un delitto, mancherebbe in ogni caso l'elemento soggettivo del dolo dell'utente. La cache infatti lavora in automatico, e quindi anche ipotizzando che l'utente capiti su un sito contenente immagini o dati frutto di un delitto, il fatto che la sua cache registri in automatico il contenuto del sito non sarà reato, salvo che non sia dimostrato il dolo specifico, ossia che il suddetto utente vuole esplicitamente scaricare sul proprio computer materiale frutto di un delitto, o che il suddetto materiale sia ulteriormente utilizzato e diffuso.

In tutti gli altri casi, gli utenti possono stare tranquilli. Navigare su Internet con un browser che utilizzi la cache o connettersi ad un provider che utilizzi un server proxy non configura il reato di ricettazione.

Accertato quindi che utenti e provider non rischiano anni di reclusione e milioni di multa per il solo fatto di utilizzare la cache o il proxy, si può verificare se ciò costituisca qualche altro tipo di illecito.
Anche in questo caso, per la legge italiana la risposta è negativa.
Anzitutto, bisogna specificare che non tutto quello che circola su Internet È protetto dal diritto d'autore. È infatti tutelato dalla legge solo ciò che, in una concreta forma espressiva, presenta i requisiti del carattere della originalità e della novità (la cosiddetta creatività). Il che esclude già dall'indagine gran parte dei dati che possono finire nella cache o nel server proxy.

Per quanto riguarda invece le opere tutelate dalla legge sul diritto d'autore (l. 22.4.1941, n. 633 e successive modifiche, che a seguito del d.l. 29 12 1992, n. 518 parifica i programmi per i computer alle opere letterarie), è necessario verificare se effettivamente la copia sulla cache di un computer leda tale diritto.

Anzitutto, è del tutto ovvio che solo la riproduzione che sia in contrasto con il volere dell'autore dell'opera viola il diritto d'autore. Chi pone del materiale su Internet e lo rende accessibile a terzi, lo fa con il palese scopo di renderlo visibile. Non solo. Egli è perfettamente conscio del fatto che il mezzo per visionarlo sono i browser, i quali utilizzano le cache sui singoli computer; così come è perfettamente conscio del fatto che su Internet esistono server proxy creati proprio allo scopo di facilitare la diffusione dei dati.

Quindi, cache e proxy non producono affatto copie illegali, ma copie temporanee non solo implicitamente autorizzate, ma addirittura, volendo, anche auspicate da chi vuole diffondere la propria opera su Internet. Lo scopo di chi pone in linea le proprie opere su Internet è ovviamente quello di farle conoscere e diffondere; e la cache ed i proxy agevolando e velocizzando tale diffusione, sono quindi strumento che non va affatto contro, ma agevola gli interessi dell'autore.

Del resto, lo stesso sig. Schiavoni, non senza contraddizione, riconosce che esistono comandi specifici (come il tag "nocache" nella pagina html) con i quali gli autori delle pagine web possono evitare che il browser utilizzi la propria cache. La circostanza che la pagina web si lasci scaricare nella cache perché non contiene il comando "nocache" dimostra quindi che il suo autore autorizza quel tipo di riproduzione, finalizzata alla sua visualizzazione sul singolo elaboratore.

Sotto altro profilo, è da osservare che la protezione accordata al diritto di copia riconosciuto all'autore si configura nell'ambito della tutela del diritto alla paternità e del diritto allo sfruttamento economico dell'opera.

Quanto al primo aspetto, è agevole osservare che la mera copia automatica di dati nella cache o su un proxy non va a violare in alcun modo il diritto di paternità dell'opera. La copia nella cache, essendo automatica, è identica a quella originale, per cui violazione del diritto d'autore si avrebbe soltanto se detta copia fosse modificata ed utilizzata ulteriormente negandone la paternità.

Quanto al secondo, la semplice permanenza di una copia automatica nella cache di un computer non reca alcun pregiudizio economico all'autore. A prescindere dal fatto che, essendo la cache automatica, spesso i dati vi rimangono senza essere più utilizzati dal browser finché non vengono cancellati da dati più recenti, è evidente che la mera possibilità che detti dati siano nuovamente visionati dall'utente non crea alcun danno al suo autore. Il fatto che gli stessi dati rimangano disponibili per tutti su Internet, infatti, esclude a priori che l'accesso al sito con utilizzo della cache o di un server proxy arrechi alcun pregiudizio economico al suo autore.

Ben diversa è ovviamente la fattispecie in cui si utilizzi la cache per effettuare e distribuire copie illegali di opere protette da diritto d'autore. In questo caso, infatti, diviene lo strumento per un comportamento illecito; il che peraltro non significa di per sé il suo utilizzo sia a priori illegittimo. Sotto questo aspetto, la cache e i server proxy sono paragonabili al registratore a cassette o al masterizzatore Lo strumento di per sé è del tutto lecito; è l'uso non corretto che in alcuni casi se ne fa che diventa illegittimo.

Quindi, il normale uso della cache dei browser e dei server proxy è del tutto lecito e legittimo. I navigatori su Internet possono dormire sonni tranquilli, sicuri che, anche se qualche dato di qualche sito visitato rimane nella cache del loro computer, non corrono né il rischio di essere arrestati, né il rischio di multe salatissime, checché ne dicano persone in vena di facile (quanto infondato) allarmismo.



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