CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III,  N. 11234
13 novembre 1997

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III, 13 NOVEMBRE 1997 N. 11234
Pres. MERIGGIOLA - Rel. PETTI - P.M. GAMBARDELLA
Andrea, Laura e Katia Sassella (avv. Marini Balestra e Camisasca) c. soc. Elitellina (avv. Antonini e Giugni)

Trasporto di persone - Responsabilità del vettore aereo - Art. 2050 c.c. -  Natura di attività pericolosa del volo - Condizioni.

RIASSUNTO DEI FATTI:
    Il 13 luglio 1982 un elicottero di proprietà della Elitellina s.p.a., diretto a Chiareggio per conto della stessa, dopo aver urtato dei cavi elettrici si schiantava al suolo. Poiché nell'incidente perdevano la vita il pilota Tognetti ed il trasportato Sassella, la moglie ed i figli di quest'ultimo convenivano in giudizio, davanti al tribunale di Sondrio, l'Elitellina per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni, morali e patrimoniali, da loro subiti a seguito di tale incidente. Poiché questa corte, con sentenza del 16 gennaio 1990, rigettava la domanda, gli attori proponevano appello innanzi alla corte d'appello di Milano la quale, con decisione del 1 luglio 1994 confermava la statuizione dei giudici di primo grado. Avverso questa sentenza i congiunti del defunto proponevano ricorso in cassazione.

MASSIME:
    Poiché la natura pericolosa di un'attività deve derivare da una specifica previsione normativa, l'art. 2050 c.c. non può trovare applicazione con riferimento alla navigazione aerea a meno che questa non si sia svolta in condizioni di anormalità e pericolo (1).
 

MOTIVI DELLA DECISIONE :

(...omissis...)
- Il ricorso merita accoglimento in ordine alle dedotte censure.
Secondo l'ordine logico precede l'esame del terzo motivo (relativo alla responsabilità per l'esercizio di attività pericolosa), seguirà l'esame congiunto del primo e del secondo motivo (relativi all'applicazione dell'art. 2049 c.c. per la responsabilità indiretta della società proponente).
Con il terzo motivo  si deduce l'error in iudicando  per la esclusione della natura dell'attività pericolosa (art. 2050 c.c.) in relazione alle circostanziate operazioni di volo  compiute dall'elicottero, che operava in condizioni logistiche disagevoli e con ostacoli naturali ed artificiali (le barriere dei fili della linea telefonica sospesa). Sul punto la motivazione dei giudici del  merito è del tutto apodittica. Ed in vero, nel contrastare l'opinione espressa dai giudici di primo grado, i quali, tenendo conto delle circostanze dedotte, avevano qualificato come pericolosa la concreta attività di volo, per poi negare l'accertamento del nesso di causalità, i giudici di secondo grado si limitano ad affermare che l'attività non era pericolosa solo perché l'attività degli aeromobili (tra cui l'elicottero) è disciplinato dal codice della navigazione.
È ben vero che la natura pericolosa dell'attività deriva dalla previsione specifica della legge, e che tale non è di per sé l'attività di navigazione aerea (cfr. Cass. 20 giugno 1990 n. 6175), ma è altresì vero che questa corte ha affermato il principio (peraltro insito nella norma del codice civile, allorché si riferisce "alla natura dei mezzi operati") che un'attività di per sé non pericolosa, lo diventa per il suo carattere intrinseco, come è possibile che sia avvenuto nel caso di specie, proprio nella considerazione delle circostanze analiticamente considerate dai primi giudici e totalmente pretermesse dai secondi.
In definitiva, come ha già rilevato questa stessa Corte (sent. n. 2769 del 1976) la norma codicistica dell'art. 2050, normalmente non opera quando l'attività di navigazione aerea rientra nella normalità delle condizioni previste, in osservanza di piani di volo e di condizioni di sicurezza, ma torna ad operare, integrando la disciplina speciale, in condizioni di anormalità e pericolo.
Questo criterio logico giuridico risulta totalmente pretermesso dai secondi giudici, con conseguente disapplicazione della verifica fattuale delle condizioni di volo, idonee a qualificare l'attività stessa come pericolosa o meno in relazione all'evento verificatosi, e con la pretermissione delle regole circa la presunzione di colpa, per non avere, la società proprietaria del mezzo, avuto una diligenza scrupolosa nel predisporre tutte le precauzioni necessario e sufficienti per impedire l'evento. La norma dell'art. 2050, ove ritenuta applicabile attraverso la valutazione di tutte le circostanze note, determina dunque un'inversione dell'onere della prova sulla colpa, con l'inasprimento dell'obbligo di diligenza. Nel caso di specie, invece, prescindendo da tale indispensabile accertamento, la norma è stata disapplicata, con un salto logico che determina il conseguente errore in punto di diritto. (cfr. per quanto utili: Cass. 1993 n. 8069 e 1983 n. 1425).
Con il primo ed il secondo motivo si deduce invece la violazione dell'art. 2049 c.c. in relazioni alla responsabilità della società preponente, per l'omessa insufficiente valutazione delle circostanze da cui era possibile desumere, sia pure in via presuntiva che il Tognetti era sin dall'inizio alla guida dell'elicottero, come risultava dal piano di volo e dagli impegni presi con la società, mentre il Sassella aveva semplici funzioni di assistenza al volo. Tali elementi di valutazione (il rapporto di polizia giudiziaria, le deposizioni dell'amministratore delegato della società, il piano di volo, la posizione del Tognetti al posto di guida primo pilota, l'inchiesta del ministero dei trasporti) sono stato totalmente pretermessi, limitandosi la motivazione a sottolineare un dubbio acritico, fondato sulla possibilità dell'uso dei doppi comandi. Dubbio acritico, poiché per essere ragionevolmente espresso, doveva indicare criticamente l'idoneità dei richiamati elementi di valutazione.
Non può dunque escludersi (ma tale accertamento compete al giudice di rinvio) che in relazione all'incarico di trasporto (circostanza pacifica) il Sassella, che non doveva pilotare il mezzo, assumesse la veste di incaricato della società, rendendo così operativa la norma invocata (cfr. Cass. 1996 n. 1793; 1995 n. 11566; 1988 n. 2026).
(omissis).

 


Diritto dei trasporti
1998 745
Vito Riccardo Cervelli
  Brevi osservazioni sulla navigazione «pericolosa».

    La sentenza che si annota lascia perplessi sia per la soluzione adottata dalla Cassazione, sia per l'iter logico che i giudici hanno seguito per giungervi.
Tralasciando il discorso sull'applicabilità o meno dell'art. 2049 c.c. alla fattispecie in questione, in quanto sul punto la corte si limita a cassare per difetto di motivazione, si deve centrare l'attenzione sulla possibilità che il risarcimento dei danni derivanti dall'attività di navigazione sia regolato dall'art. 2050 c.c.
Ad un primo esame si dovrebbe dire che i giudici di legittimità abbiano escluso, almeno in via generale, tale possibilità, ma si deve osservare che le ragioni addotte per sostenere tale conclusione non paiono condivisibili perché sembrano contraddette dal dettato normativo e dall'evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che si è avuta sull'argomento.
Quando i giudici affermano, infatti, che «la natura pericolosa dell'attività deriva dalla previsione specifica della legge» e che, in mancanza di questa indicazione normativa, la navigazione aerea non può essere considerata tale, paiono riprendere la tesi (1) che sostiene che, al fine di determinare le attività rientranti nell'ambito dell'art. 2050 c.c., si debba far riferimento a disposizioni quali il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza oppure le norme in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.
Sebbene le leggi sopra citate possono fornire utili indicazioni (2), tale affermazione, tuttavia, non può essere condivisa perché contrastante con il testo normativo dell'art. 2050 c.c. che valuta la pericolosità unicamente con riferimento alla natura dell'attività ed ai mezzi impiegati, con la conseguenza che può ormai dirsi definitivamente abbandonato il tentativo di tipizzare legislativamente le attività pericolose (3), in quanto è ormai pacifico che tale valutazione, riservata al giudice del merito, vada effettuata caso per caso (4).
D'altro canto, ad ulteriore conferma di quanto detto, si potrebbe osservare che, se si accogliesse la tesi criticata, si giungerebbe all'assurdo che l'art. 2050 non potrebbe applicarsi a tutte quelle attività nelle quali sono impiegati macchinari pericolosi per l'utilizzo dei quali, tuttavia, il legislatore non è stato in grado, ad esempio perché inventati solo di recente, di dettare un'organica disciplina.
Se, dunque, si accetta questa conclusione, si rende necessario per l'interprete procedere all'esame delle caratteristiche della navigazione aerea al fine di verificare se essa possa essere fatta rientrare oppure no sotto l'ambito d'applicazione dell'art. 2050 c.c.
Prima di passare a quest'analisi, tuttavia, è opportuno dar conto di un altro punto della decisione in commento che suscita non poche perplessità. La Suprema Corte, infatti, ha concluso la propria motivazione osservando che «la norma codicistica dell'art. 2050 c.c., normalmente non opera quando l'attività di navigazione aerea rientra nella normalità delle condizioni previste [.], ma torna ad operare, integrando la disciplina speciale, in condizioni di anormalità e di pericolo», con la conseguenza che sembrerebbe che i giudici abbiano voluto affermare che sebbene la navigazione aerea non possa essere ritenuta un'attività pericolosa, lo divenga qualora non siano rispettate le regole che ne disciplinano lo svolgimento (ed in questo senso parrebbe indicativo anche il riferimento ai piani di volo ed alle condizioni di sicurezza).
Così intesa, tuttavia, l'affermazione non può essere condivisa perché pare dimenticare che per l'applicazione dell'art. 2050 c.c. l'attività deve essere intrinsecamente pericolosa, perché se il pericolo derivasse dalla condotta, ad esempio imprudente, di chi l'esercita, allora la norma di riferimento sarebbe l'art. 2043 c.c. (5).
A questo punto, dunque, ci si deve domandare se effettivamente sia corretto escludere, come fa la giurisprudenza prevalente (6), la navigazione aerea dal novero di quelle attività che giustificano l'applicazione dell'art. 2050 c.c.
Alcuni autori (7), infatti, osservano che presupposto perché la responsabilità dell'esercente di attività pericolosa sia regolata dalla norma del codice civile è che tale esercizio non sia già interamente disciplinato da altre norme di legge (come ad esempio quelle sull'impiego dell'energia nucleare), poiché queste, prevalendo per il principio di specialità sulla disciplina codicistica, impedirebbero all'art. 2050 c.c. di operare (8).
Ne deriverebbe, dunque, (ed in questo senso sono orientate alcune pronunce giurisprudenziali oltre alla sentenza della corte d'appello di Milano (9) cassata con la decisione della Cassazione qui commentata), che la navigazione aerea potrebbe si essere considerata attività pericolosa, ma poiché essa è interamente regolata, anche nelle sue conseguenze dannose, dalle norme del codice della navigazione, la responsabilità del danneggiante va valutata in base a queste, e non in base all'art. 2050 c.c. (10), venendo così, in ultima analisi, a ribaltare il principio affermato dalla Suprema corte (la legge non indica a quali attività si applica la norma del codice civile, ma, al contrario individua quelle che non sono regolate dall'art. 2050 c.c.).
Si potrebbe, tuttavia, replicare che a ben vedere l'affermazione secondo la quale il citato codice detterebbe una disciplina esaustiva del fenomeno della navigazione non è esatta. È vero che il legislatore del '42 si è preoccupato di regolamentare molti eventi dannosi che possono essere conseguenza dell'esercizio dell'aeromobile (si pensi all'urto od ai danni a terzi sulla superficie), ma in altre ipotesi, come ad esempio quella portata all'attenzione dei giudici della Cassazione, tale esaustiva disciplina manca, con la conseguenza che, in applicazione dell'art. 1 secondo comma c. nav., si deve ricorre al diritto comune e dunque, per il nostro caso, all'art. 2050 c.c.
Né si può pensare di ricorrere all'art. 878 c. nav., perché questa norma detta soltanto un criterio di imputazione, ma nulla dice circa il titolo di questa responsabilità (11).
Si è tentato, allora, di aggiungere a questo motivo la circostanza che dovendo considerarsi, come sembra preferibile, pericolosa quell'attività o quel mezzo che comporti una rilevante possibilità (12) o meglio ancora una rilevante probabilità (13), di produrre eventi dannosi, la navigazione non possederebbe tale caratteristica sia perché la moltitudine di velivoli in volo, rapportata allo scarso numero d'incidenti, dimostrerebbe la sua sicurezza sia perché, non potendo l'aeromobile dinamizzarsi in modo pericoloso senza l'intervento dell'uomo, neppure si potrebbe ragionare di attività pericolosa per sua natura (14).
Per la verità, a parte l'ultima affermazione che pare riprendere la nozione ormai abbandonata di entità «seagente» (15) e che, dunque, non può essere seguita, anche il sostenere la sicurezza dell'attività di volo è quanto meno discutibile (16) soprattutto se si ritiene che la pericolosità di cui all'art. 2050 c.c. possa fondarsi anche sull'idoneità dell'attività o dei mezzi impiegati per il suo svolgimento di produrre disastri di vasta portata anche se non con frequenza costante (17).
D'altra parte neppure deve essere dimenticato che sotto la nozione di navigazione aerea si ricomprendono fenomeni con caratteristiche differenti  tra loro (si pensi al trasporto passeggeri su linee internazionali ed al volo da diporto o sportivo), con la conseguenza che fini dell'applicabilità dell'art. 2050 c.c. non pare opportuno svolgere un discorso unitario. Sembrerebbe, dunque, preferibile distinguere a seconda dell'attività svolta ed ammettere l'applicazione della norma in questione solo quando questa presenti i due requisiti che si sono sin qui enucleati (probabilità di produrre danni o idoneità a cagionare eventi dannosi di vasta portata).
Nell'effettuare tale analisi, tuttavia, si dovrà tener presente che, ai fini dell'applicazione dell'art. 2050 c.c., vi è una distinzione concettuale tra attività pericolosa e condotta pericolosa (o meglio negligente) (18). Ne consegue che se il pericolo non è intrinseco all'attività o ai mezzi impiegati per svolgerla, ma è cagionato dall'inosservanza da parte di chi l'esercita di regole di prudenza, allora tale attività non può qualificarsi pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.c. (19).
Se, dunque, si accettano tali considerazioni, si dovrebbe concludere che la sentenza in commento non possa seguirsi pienamente allorché, per qualificare il volo come attività pericolosa, fa riferimento alle condizioni di anormalità e pericolo individuandole nelle mancata osservanza dei piani di volo e delle condizioni di sicurezza. Se, infatti, può convenirsi che la presenza di ostacoli naturali od artificiali non altrimenti evitabili (come ad esempio la linea telefonica sospesa) possono portare a definire pericolosa un'attività che in sé considerata sarebbe innocua, non può condividersi, per quanto detto, che ad identica conclusione si possa giungere allorché non siano stati rispettate le norme di prudenza e diligenza.
 
 

VITO RICCARDO CERVELLI
  NOTE:
(1) Di recente v.: Cass. 8 giugno 1985 n. 3445 in Resp. civ. prev. 1986, 474.

(2)  CORSARO, Responsabilità da attività pericolose, in Dig. civ. XVII/1998, 82, 85. Con riferimento all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, tuttavia, si deve osservare che lo scopo del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 è di tutelare il lavoratore, cosicché la pericolosità dell'attività è valutata con riferimento alla possibilità che questa possa arrecare danno a costui e non con riferimento all'attitudine della medesima a ledere i terzi, con la conseguenza che le due valutazioni possono non coincidere. In questo senso v.: Cass. 17 dicembre 1991 n. 13364; BONVICINI, La responsabilità civile per fatto altrui, Milano, 1976, 379; COLOMBINI, Esercizio di attività pericolosa, in Arch. civ. 1996, 425, 429.

(3) Cass. 7 luglio 1964 in  Arch. resp. civ. 1967, 123: Cass. 30 marzo 1967 n. 702 in Giur. it. 1968, I, 364: Cass. 24 novembre 1971 n. 3415; Cass. 14 maggio 1977 n. 1949; Cass. 11 novembre 1987 n. 8304 in Arch. civ. 1988, 1005; Cass. 27 luglio 1990 n. 7571 in Arch. civ.  1991, 46; Cass. 30 agosto 1995 n. 9205 in Giur. it. 1996, I, 1, 460; Cass. 9 dicembre 1996 n. 10951; App. Palermo 27 aprile 1962 in Foro sic. 1962, 51; Trib. La Spezia 24 aprile 1963 in Arch. resp. civ. 1963, 65; Trib. Parma 15 marzo 1975 in Temi 1975, 292. In dottrina v.: SALVI, Responsabilità extracontrattuale. (diritto vigente), in Enc. dir. XXXIX/1988, 1186, 1233; BIANCA, La responsabilità, Milano 1994, 702 ss.; COLOMBINI, Esercizio di attività pericolosa, cit., 429.

(4) Il principio è pacifico, per una prima applicazione v.: Trib. Perugia 28 marzo 1955 in Rass. giur. umbra.

(5) GENTILE, Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, in Resp. civ. 1950, 97 ss.; BONASSI - BENUCCI, In tema di attività pericolose (art. 2050), in Temi 1956, 573; DEL CONTE, Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, in Temi 1957, 567 ss.; M. COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965, 291 ss.; FRANZONI, Responsabilità per esercizio di attività pericolose, in ALPA-BESSONE, La responsabilità civile, II, 2, Torino, 1987, 429 ss., 449.

(6) Cass. 12 luglio 1957 n. 2820 in Riv. dir. nav. 1958, II, 178; Cass. 12 ottobre 1964 n. 2575 in Arch. resp. civ. 1966, 344; Cass. 20 giugno 1990 n. 6175 in Resp. civ. prev. 1991, 506; App. Roma 12 dicembre 1964 in Dir. aereo 1965, 329; Trib. Bari 3 luglio 1974 in Arch. civ. 1975, 1235; contra con riferimento al decollo di un elicottero: Pret. Genova 28 luglio 1994 in Arch. circ. 1994, 981.

(7) FRANCHI, Note sulla responsabilità dell'esercente di una scuola di pilotaggio per danni arrecati a terzi dall'allievo pilota durante l'attività di prevolo, in Resp. civ. prev. 1993, 150, 160; COLOMBINI, Esercizio di attività pericolosa, cit., 568; GAZZONI, Manuale di diritto privato, VI ed., Napoli, 1995, 687.

(8) BIANCA, La responsabilità, cit., 711; GAZZONI, Manuale, cit., 687.

(9) Si tratta di App. Milano 1 luglio 1994 inedita.

(10) Cass. 12 ottobre 1964 n. 2575 cit.; Cass. 12 luglio 1957 n. 2820 cit.; Cass. 20 giugno 1990 n. 6175 cit.; Trib. Bari 3 luglio 1974 cit. In dottrina: FRANCHI, Note sulla responsabilità dell'esercente, cit., 160; COLOMBINI, Esercizio di attività pericolosa, cit., 568; GAZZONI, Manuale, cit., 687.

(11) BERLINGIERI, Armatore ed esercente, in Dir. mar. 1986, 269, 272; A. LEFEBVRE-G. PESCATORE-L. TULLIO, Manuale, cit., 349.

(12) PACCHIONI, Rischio, pericolo e pericolosità, in Rass. giur. circ. strad. 1943, 43 ss.; GENTILE, Responsabilità per l'esercizio d'attività pericolose, cit., 97 ss.; BONASSI - BENUCCI, In tema di attività pericolose, cit., 473 ss.; GERI, Le attività pericolose e la responsabilità (cod. civ. art. 2050), in Dir. prat. ass. 1961, 287; COMPORTI, Esposizione al pericolo, cit., 291; BIANCA, La responsabilità, cit., 705; Cass. 29 maggio 1972 n. 1712; Cass. 12 dicembre 1992 n. 13530 in Resp. civ. prev. 1993, 82; contra GERACI, Premessa allo studio per un inquadramento della responsabilità civile per l'esercizio di attività pericolosa, in Arch. resp. civ. 1972, 31.

(13) DEL CONTE, Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, cit., 569 ss. Nel senso che la probabilità sia concetto meno ampio della possibilità v.: ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, XII ed., Milano, 1991, 207.

(14) FRANCHI, Note sulla responsabilità dell'esercente, cit., 160

(15) DE MARTINI, Responsabilità per danni da attività pericolosa e responsabilità per danni nell'esercizio di attività pericolosa, in Giur. it. 1973, I, 2, 963, 968.

(16) Per COMPORTI, Esposizione al pericolo, cit., 99 gli artt. 965 e 978 c. nav. dimostrerebbero la pericolosità della navigazione aerea; definiscono pericolosa tale attività, ma senza prendere posizione sull'art. 2050 c.c., LEFEBVRE- PESCATORE - TULLIO, Manuale di diritto della navigazione, VIII ed., Milano, 1996, 668.

(17) FRANZONI, Responsabilità per esercizio di attività pericolose, cit., 454; COMPORTI, Esposizione al pericolo, cit., 297; TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Napoli, 1961, 275; SCOGNAMIGLIO, Responsabilità civile, in Noviss. dig. it. XV/1968, 628, 647.

(18) Sulla distinzione tra attività pericolosa e condotta pericolosa si veda Cass. 21 dicembre 1992 n. 13530, nonché Cass. 16 febbraio 1996 n. 1192 in Dir. trasp. 1998, 465.

(19)  BIANCA, La responsabilità, cit., 705. In senso contrario tuttavia si veda Trib. Torino 24 ottobre 1991 in Arch. civ. 1992, 816 che ha applicato l'art. 2050 c.c. per affermare la responsabilità del gestore di un impianto di sci nel caso in cui uno sciatore aveva riportato danni per aver urtato contro una rete metallica non adeguatamente protetta da sacchi di gommapiuma.
 

Vito Riccardo Cervelli