Diritto dei trasporti
1998 707

Enzo Fogliani
Voglia di lavorare saltami addosso

    Il fatto ed il misfatto che seguono sono capitati personalmente al sottoscritto nel corso di due cause di diritto marittimo e per questo trovano asilo nella presente rubrica.
 
    Genova, qualche anno fa. Tribunale civile, quinta sezione. Sono in attesa del mio turno nell'aula del dottor Zingale, il quale sta trattando la causa precedente alla mia. Uno dei due avvocati impegnato nella trattazione ha citato una sentenza di Cassazione pubblicata su una rivista poco conosciuta e comunque non presente nella biblioteca del tribunale. Accertato ciò con un breve giro di telefonate alla cancelleria e alla biblioteca del tribunale, il giudice istruttore telefona nel corso dell'udienza alla cancelleria della Cassazione per farsi mandare il testo integrale della sentenza via fax. Sospende temporaneamente la trattazione, tratta un'altra causa, dopodiché - sono trascorsi non più di dieci minuti - riceve via fax da Roma il testo della sentenza richiesta, sulla cui base riprende quindi la discussione orale della causa interrotta dieci minuti prima.

    Roma, inizio 1998. Corte d'appello, I sezione (ometto il nome del consigliere istruttore e relatore della vertenza. Si dice il peccato, ma non il peccatore .). C'è stato un lodo arbitrale inappellabile (1988) che una parte ha tuttavia impugnato e che la corte d'appello, nella contumacia dell'altra, ha inopinatamente annullato (1990) con sentenza parziale. La parte soccombente impugna detta sentenza per cassazione, mentre la fase rescissoria (nella quale nel frattempo la parte contumace si è costituita) vivacchia di lunghi rinvii disposti nell'attesa che il supremo collegio si pronunci. Nel 1994 la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza parziale, riconoscendo l'inappellabilità del lodo.

    Venuta meno la sentenza di annullamento, la fase rescissoria deve decidere solo sulle spese legali. Poca cosa, potrebbe pensare qualcuno. Ma così non è. Viene prodotto il dispositivo della sentenza di cassazione; rinvio per esame e per la produzione della sentenza integrale. Prodotta quest'ultima, nuovo rinvio per consentire alla controparte (che peraltro la conosce benissimo) di esaminarla. Finalmente, precisate le conclusioni, la causa va in decisione nel 1998.

    Ma la Corte non decide. Per un qualche motivo il collegio non trova la sentenza di cassazione nel fascicolo, e anziché richiederla d'ufficio (se non altro perché si è persa nella sua cancelleria .), non trova di meglio che rimettere la causa in istruttoria perché la parte più diligente ne produca una nuova copia. Rinvio dunque al 1999, con previsione di nuova collegiale (se tutto va bene) nel nuovo millennio.

    Eppure, sia il Tribunale di Genova che la Corte d'appello di Roma sono entrambi collegati via telefono e via fax alla stessa Corte di cassazione. La Corte d'appello di Roma, poi, dista dalla Cassazione poco più di un chilometro in linea d'aria. Ma evidentemente una telefonata urbana appariva troppo disturbo per l'onorevole collegio, nella cui cancelleria era andato disperso il testo integrale della sentenza prodotto dalla parte interessata.

    Due modi di lavorare, due modi di intendere la giustizia. Mentre il giudice di Genova induce buone speranze sulle possibilità di una seria giustizia, il giudice romano fa riflettere sui punti su cui legislatore dovrebbe battere per far guarire la malata giustizia. Finché continueranno a lavorare giudici che trascinano una causa per altri sei anni dopo che la Cassazione ha detto che non avrebbe neppure dovuto nascere, o che scaricano sul cittadino l'inefficienza delle proprie cancelliere pur di non alzare un dito di troppo (pardon, un telefono di troppo .) qualsiasi riforma sarà destinata a fallire.

    I dati specifici sui due fatti riportati sono disponibili e documentabili a richiesta.

ENZO FOGLIANI