TRIBUNALE DI PALERMO 
22 ottobre 1997


 
 TRIBUNALE DI PALERMO 22 OTTOBRE 1997
Pres. MONTELEONE - Est. TULUMELLO
Soc. Siremar (Avv. Ferraro e Passanisi) c. Associazione regionale consumatori e ambiente (Avv. A. e G. Palmigiano)

Trasporto di persone - Trasporto marittimo - Condizioni generali di trasporto - Clausole vessatorie - Approvazione ministeriale - Irrilevanza.

Trasporto di persone - Trasporto marittimo - Condizioni generali di trasporto - Clausole sulla soppressione della partenza e mutamento di itinerario - Limitazione della responsabilità al prezzo di passaggio - Vessatorietà.

Trasporto di persone - Trasporto marittimo - Condizioni generali di trasporto - Clausole vessatorie - Tutela inibitoria cautelare - Giusti motivi d’urgenza - Requisiti di sussistenza.

RIASSUNTO DEI FATTI:
Con ricorso depositato il 24 luglio 1997, L’Associazione regionale consumatori e ambiente (Adiconsum) chiese inibirsi in via d’urgenza alla Sicilia regionale marittima s.p.a. (Siremar) l’utilizzazione di alcune clausole delle condizioni generali di trasporto marittimo, da questa utilizzate nei contratti con i consumatori, ai sensi dell’art. 1469-sexies, secondo comma, c.c. Con ordinanza del 5 settembre 1997 (in Foro it. 1997, I, 3009), il giudice designato accolse parzialmente la domanda di inibitoria.

MASSIME:
L’approvazione ministeriale del regolamento disciplinante le condizioni di trasporto non ha rilievo ai fini della valutazione dell’abusività delle clausole in esso contenute (1).
Sono vessatorie, ai sensi dell’art. 1469-bis, n. 2, c.c., le clausole delle condizioni generali di trasporto marittimo di passeggeri che limitano l’obbligo del vettore al risarcimento in misura pari al prezzo corrisposto per il passaggio nei casi di soppressione della partenza e mutamento dell’itinerario (2).
Sussistono i giusti motivi d’urgenza ex art. 1469-sexies, secondo comma c.c. per la concessione della tutela inibitoria cautelare, qualora le clausole vessatorie riguardino un contratto (come il trasporto marittimo di persone) che ha per oggetto l’esercizio di un diritto fondamentale della persona come la libertà di movimento e quando esse hanno una potenziale diffusività connessa alla situazione strutturale di un mercato in cui l’offerta avviene in regime di monopolio ancorché parziale. (3)

MOTIVI DELLA DECISIONE :

(...omissis...)
3. La qualificazione dell’attività della Siremar operata in precedenza consente preliminarmente, in punto di esame dell’abusività delle clausole impugnate, di sgombrare il campo da un evidente equivoco terminologico.
 L’approvazione ministeriale del regolamento disciplinante le condizioni di trasporto non ha alcun rilievo nella materia in esame.
 L’autorità amministrativa compie, in sede in approvazione, una valutazione di congruità in cui rimangono del tutto estranei i profili di equilibrio contrattuale, di buona fede e di vessatorietà riferiti al rapporto gestore - utente, trattandosi piuttosto di una valutazione discrezionale che si compie nel contesto della richiamata convenzione, e che dunque risulta strutturalmente ancorata (unicamente) al parametro della rispondenza di tale regolamento agli obiettivi che la pubblica amministrazione persegue attraverso la stipula della convenzione medesima e l’erogazione del relativo finanziamento : obiettivi che attengono alla tutela degli interessi pubblici sottesi all’erogazione del servizio, e non alla tutela civilistica del consumatore.
 D’altra parte, lamenta la reclamante che in sede di recepimento della direttiva si è omesso di estendere la clausola di esclusione di cui all’art. 1469ter, terzo comma. c.c., oltre che alle leggi anche ai regolamenti (come previsto dalla direttiva stessa) : a parte il fatto che, in punto di qualificazione formale, seri dubbi sussistono sulla esatta percezione della categoria delle fonti secondarie del diritto nel contesto della prospettazione in esame (atteso che la direttiva si riferiva - espressamente ed opportunamente - alle sole “disposizioni regolamentari imperative”, e non anche ad atti di natura convenzionale portanti il mero nomen iuris di “regolamenti”, ma privi dei requisiti di forma e di sostanza da cui discende l’attributo dell’imperatività), in ogni caso sfugge a tale prospettazione la circostanza che la stessa direttiva (art. 8) ha stabilito che “Gli Stati membri possono adottare, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore”.
 Ora, non si sa bene se per adeguare la disciplina comunitaria ad un contesto ordinamentale interno in cui il termine “regolamento” designa le più svariate categorie di fonti normative (anche nell’ambito dell’autonomia privata), sicché un recepimento letterale della direttiva avrebbe sollevato numerose questioni interpretative in sede applicativa, ovvero in esito ad una precisa scelta tendente ad individuare il livello primario delle fonti del diritto quale unico limite alla tutela civilistica in esame (evidentemente nei confronti di un soggetto in qualche modo pubblico), certo è che il legislatore italiano ha ritenuto di offrire al consumatore un “livello di protezione” sicuramente più elevato rispetto a quello riconducibile al testo della direttiva, di tal che è del tutto contrario alla logica del sistema far discendere dalla rilevata difformità fra direttiva comunitaria e disposizione interna una reintroduzione surrettizia - in via interpretativa - di una limitazione di tutela espressamente esclusa dal legislatore interno.
 Ciò posto, rileva il collegio come con i motivi di reclamo non si è contestato il provvedimento impugnato, se non nella prospettiva ora esaminata, sotto il profilo della ritenuta abusività delle clausole il cui utilizzo è stato inibito.
 Ciononostante, un autorevole indirizzo interpretativo - che il collegio condivide - considera il reclamo ex art. 669terdecies c.p.c. come n rimedio a carattere sostitutivo, che implica un riesame della domanda cautelare nel suo complesso, investendo pertanto di pieni poteri, in relazione alla predetta domanda, il giudice del reclamo.
 Tale  considerazione impone al collegio da un lato di valutare il profilo in esame ancorché non espressamente impugnato, e dall’altro di estendere tale valutazione anche alle clausole, in relazione alle quali pure è stata chiesta l’inibitoria, non ritenute abusive dal giudice delegato (g.d.) ed il cui utilizzo la parte reclamata ha invece chiesto di inibire in sede di reclamo.
 A quest’ultima estensione si giunge sia in ragione delle superiori considerazioni relative alla natura del reclamo, sia considerando il reclamo stesso un mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di inibitoria concesso dal g.d., e ritenendo conseguentemente applicabile alla fattispecie in esame la disposizione generale in tema di impugnazioni incidentali tardive (art. 334 c.p.c.).
 Ritiene il collegio che le clausole ritenute abusive dal g.d. presentino il predetto requisito, per le ragioni esposte nella motivazione del provvedimento impugnato, al quale si rinvia.
 In particolare, corretta e condivisibile appare l’operazione di interpretazione e di qualificazione compiuta dal primo giudice in relazione alla sussunzione delle clausole contrattuali esaminate nelle corrispondenti categorie normative per le quali opera la presunzione di vessatorietà, non superata dal professionista predisponente.
 Giusta la regola di rinvio contenuta nell’art. 1469sexies c.c., è poi evidente che il carattere dell’abusività, presupposto della tutela collettiva, si modella su quella della vessatorietà, definito nelle disposizioni relative alla tutela individuale, nel senso che al binomio vessatorietà - inefficacia corrisponde quello - diverso sotto il profilo della qualificazione (da un punto di vista di teoria generale) del vizio della clausola e degli effetti giuridici dello stesso in ragione del diverso stadio del procedimento di formazione del contratto in cui il vizio stesso viene in rilievo, ma identico quanto all’interesse tutelato ed all’individuazione delle previsioni contrattuali ritenute dal legislatore lesive di tale interesse - della abusività - inibitoria.
 Quanto all’art. 15, secondo e terzo comma, del regolamento contrattuale, rileva questo collegio che tale clausola contiene una limitazione di responsabilità riconducibile al disposto dell’art. 1469 bis, n. 2 c.c..
 È infatti senz’altro condivisibile l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, per cui “elemento non essenziale appare l’individuazione esatta della nave o dell’aliscafo a mezzo del quale il trasporto viene effettuato”, e che nessun connotato di abusività può essere ricondotto alla previsione di un’obbligazione alternativa in capo al professionista.
 L’abusività della clausola risiede però nella limitazione di responsabilità (al “prezzo versato”) per l’ipotesi di risoluzione del contratto conseguente al rifiuto da parte del passeggero di un’obbligazione alternativa difforme qualitativamente o quantitativamente rispetto a quella dedotta in contratto (nave che parta “successivamente”), il che equivale a limitare i diritti del consumatore per l’ipotesi di adempimento inesatto da parte del professionista.
 Quanto al terzo comma, valgono le medesime argomentazioni, atteso che in forza di tale clausola è il professionista predisponente a valutare l’imputabilità dell’inadempimento ed a limitare conseguentemente la propria responsabilità, in contrasto con la disposizione sopra richiamata.
 Il requisito della sussistenza di giusti motivi di urgenza condiziona la concedibilità dell’inibitoria nelle forme del c.d. rito cautelare uniforme, anziché - è da ritenere - in quelle del giudizio ordinario di cognizione.
 Il significato del richiamato elemento della fattispecie normativa non può certamente sovrapporsi a quello della categoria del periculum in mora, elaborato dalla giurisprudenza proprio in materia cautelare, per la evidente inconciliabilità fra canoni di giudizio strutturalmente  teologicamente ancorati a controversie individuali e tendenzialmente successive ad un evento pregiudizievole, ovvero anteriori a questo, ma nell’imminenza della sua manifestazione, ed un giudizio di carattere preventivo e generale, la cui peculiarità funzionale è proprio quella di evitare che un pregiudizio, anche potenziale, abbia a colpire la categoria dei consumatori, a prescindere, come giustamente affermato nel provvedimento impugnato, “da una attuale lesione di diritti soggettivi”.
 Poiché, come è stato osservato, l’inibitoria mira ad evitare che il contenuto di condizioni generali inique venga trasfuso nei contratti individuali, essa opera in una fase anteriore a quella in cui può configurarsi un pregiudizio, tradizionalmente inteso, in danno del singolo consumatore, sicché ricondurre i “giusti motivi di urgenza”, nella terminologia o nei contenuti, al periculum in mora, vuol dire non tener conto della specificità del giudizio, con conseguente svuotamento della pratica operatività del nuovo strumento di tutela.
 Parimenti inaccoglibile è l’altra tesi estrema, quella che propone un capovolgimento radicale del rapporto regola - eccezione indicato nei primi due commi dell’art. 1469 sexies c.p.c., nel senso che il ricorso alla tutela urgente costituirebbe - in considerazione della natura della domanda e degli interessi coinvolti - la regola e non l’eccezione.
 Non di un’interpretazione correttiva si tratterrebbe infatti, ma di una esegesi del testo legislativo radicalmente contrastante con il chiaro ed insuperabile principio ordinatore espresso dal testo medesimo, peraltro in rapporto di perfetta coerenza e sistematicità con le caratteristiche generali del sistema processuale in cui la domanda di inibitoria è calata, sistema che concepisce in chiave di eccezionalità e comunque di strumentalità rispetto al procedimento ordinario i rimedi latu sensu cautelari.
 Non è dunque autorizzata dal dato testuale - né, come visto, da considerazioni di ordine sistematico - la tesi della tipizzazione legislativa dell’inibitoria come autonoma misura cautelare, rispetto alla quale il periculum in mora sarebbe in re ipsa, in relazione alla natura del fenomeno regolato.
 D’altra parte, l’inibitoria, in quanto tale, non è un mezzo di tutela la cui previsione normativa implica una valutazione o presunzione di pericolo attuale o potenziale, tale da richiedere il (necessario) ricorso a forme di tutela extra ordinem : in materia di responsabilità aquiliana, come in materia di immissioni, l’azione inibitoria costituisce un tradizionale strumento di tutela che anche quando è posto a presidio di diritti di rango non inferiore a quelli in esame (si pensi al diritto alla salute) si propone, in assenza del positivo accertamento della sussistenza dei requisiti per l’emissione di un provvedimento cautelare, nelle forme del rito ordinario.
 Nessuna significativa differenza, tale da giustificare la radicale inversione della prospettiva tradizionale, discende dalla trasposizione dell’inibitoria dal settore della tutela individuale dei diritti a quello della tutela collettiva, se non nel senso che si sta per precisare.
 Conseguentemente, la concessione dell’inibitoria c.d. urgente richiede la sussistenza di ragioni specifiche, ancorché non parametrate su di un concreto pregiudizio ma modellate in relazione al particolare tipo di azione proposto, tali da giustificare il ricorso al rimedio previsto in via eccezionale piuttosto che a quello previsto in via ordinaria.
 Ritiene che il collegio che, in tale operazione ermeneutica, sicuri e condivisibili punti fermi siano stati individuati nell’ordinanza impugnata con riferimento alla natura del diritto per il cui esercizio è necessario accedere alla stipulazione del contratto le cui clausole sono ritenute abusive, alla situazione strutturale del mercato, ed alla potenziale diffusività delle clausole abusive anche in relazione alle caratteristiche stagionali del mercato stesso.
 Sotto il primo profilo non si può non condividere l’affermazione del giudice delegato per “l’oggetto del contratto riguarda l’esercizio di un diritto fondamentale della persona, quale quello di libertà di movimento, che sovente si tramuta in una vera e propria necessità per coloro che si spostano per esigenze cogenti (ad es. di lavoro).
 Quanto più la conclusione del contratto si rivela per il consumatore un mezzo necessario per esercitare un diritto fondamentale della persona, tanto maggiore sarà la diffusività delle clausole contrattuali abusive, e tanto più rilevante sarà il pregiudizio arrecato ai consumatori dalla sottoposizione necessitata ad un regime contrattuale iniquo, essendo l’effettiva libertà di determinazione del consenso inversamente proporzionale all’importanza che riveste per l’esplicazione della personalità umana - nell’ambito della gerarchia dei valori indicata dalla Costituzione - il diritto per il cui esercizio il consumatore è costretto ad aderire ad un regolamento contrattuale eterodeterminato.
 Quanto al secondo aspetto, non ha molto senso la contestazione, da parte della difesa reclamante, dell’affermazione del g.d. per cui è pacifico tra le parti che il trasporto marittimo è esercitato dalla Siremar in regime di monopolio.
 Nel provvedimento impugnato la riferita affermazione si dà per pacifica tra le parti in relazione a “determinate mete” ; la stessa Siremar, nel foglio di deduzioni in data 27 agosto 1997 (pag. 3), aveva affermato che essa opera “in alternativa e concorrenza con operatori privati in diverse ‘tratte’ quale incaricata di un servizio pubblico” : il che evidenzia come esattamente il g.d. abbia fatto riferimento all’esistenza, pacifica tra le parti, di un monopolio (parziale) della Siremar.
 Inoltre, dagli atti - ed in specie dalle produzioni documentali di parte reclamante - emerge che laddove la Siremar non opera come monopolista, essa agisce in regime di sostanziale oligopolio.
 Ebbene, se la funzione dell’inibitoria è quella di evitare che condizioni generali di contratto abusive vengano trasfuse nei contratti individuali di consumo di beni e servizi, sul versante della sussistenza dei giusti motivi atti a giustificare concessione dell’inibitoria stessa in via di urgenza non può non avere un rilievo decisivo la circostanza che mentre in un regime di libera concorrenza l’utilizzo di clausole contrattuali abusive da parte di un professionista presenta una potenzialità diffusa inversamente proporzionale al numero dei professionisti concorrenti che operano in quello stesso settore di mercato (salvo che costoro applichino le medesime condizioni contrattuali, e sempre a condizioni dell’effettiva identità del ben o servizio offerto), invece in caso di monopolio od oligopolio l’abusività delle clausole è naturalmente - secondo una valutazione legata all’id quod plerumque accidit - destinata a numerosi rapporti contrattuali individuali, ove non ne venga tempestivamente inibito l’utilizzo.
 Come è stato acutamente osservato in dottrina, è stata da tempo superata la convinzione che i contratti per adesione fossero espressione di un potere monopolitico ed oligopolistico.
 Il rischio della predisposizione di clausole abusive, dunque, non è maggiore quando il predisponente sia un monopolista : quello che aumenta in questo caso, è il rischio della rilevante e rapida diffusione delle clausole stesse, tenuto anche conto che i residui settori di mercato ancora sottratti all’effettiva concorrenza sono, come in questo caso, quelli relativi all’esercizio di servizi od all’acquisto di beni di primaria necessità.
 A tale considerazione si aggiunga poi, nello specifico, che nella stagione estiva aumenta considerevolmente il numero degli utenti del trasporto marittimo che concludono contratti individuali regolati dalle condizioni generali abusive.
 Se lo scopo della tutela offerta con l’inibitoria è quello di evitare e prevenire la formazione di contratti individuali modellati su schemi generali viziati dal connotato dell’abusività, allora il criterio discrettivo fra inibitoria c.d. ordinaria ed inibitoria c.d. urgente non può che risiedere, nel rispetto della lettera e dello spirito sia della legge che della direttiva, negli elementi indicati.
 Pertanto, il reclamo principale risulta infondato anche sotto questo profilo.
 
(omissis).
 
 

Diritto dei trasporti
1998 176
Federico Bianca
 Clausole abusive nel contratto di trasporto marittimo di passeggeri ed azione inibitoria ex art. 1469-sexies c. c.

Il ricorso presentato al Tribunale di Palermo dall’Associazione Consumatori e Ambiente ex art. 1469 sexies, 2^ comma c.c., contro alcune clausole delle condizioni generali predisposte dalla Siremar, risulta essere il primo caso di applicazione del complesso normativo posto a tutela dei consumatori nei riguardi delle clausole contrattuali c.d. vessatorie presenti nei contratti di trasporto marittimo di passeggeri.
Con due ordinanze relative alla stessa controversia (la presente è stata emessa in sede di reclamo alla prima (1 ), il Tribunale di Palermo si è pronunciato in ordine alla abusività di alcune clausole che regolano il trasporto di passeggeri per mare con specifico riferimento al collegamento con le isole e si è inserito nel sempre più vivo dibattito giurisprudenziale e dottrinale relativo all’ambito di applicabilità della tutela inibitoria prevista dal secondo comma dell’art. 1469-sexies c.c..
In tale contesto ci sembra di potere affermare che l’ordinanza in esame ha centrato l’ambito applicativo della norma prevista dall’art. 1469-sexies 2^ c. c.c., riconoscendo l’esistenza dei giusti motivi di urgenza che legittimano l’azione cautelare in tutta quella serie di circostanze di fatto e di diritto che riguardano la natura del servizio oggetto del contratto, o le modalità concrete di svolgimento di tale servizio, nonché la obiettiva collocazione nell’ambito del mercato del professionista predisponente (2 ).
Il dibattito è tuttora ancora aperto, ma con riferimento al trasporto marittimo di passeggeri, specie se di linea, non si può fare a meno di concordare con l’ordinanza che si annota per avere considerato come elementi costitutivi dei giusti motivi per agire in via d’urgenza, quel connotato di essenzialità del servizio, in riferimento alla libertà di circolazione e quella caratteristica di potenziale lesività del regolamento impugnato, in funzione della forte diffusività del regolamento stesso.
È da osservare che l’opinione espressa dal tribunale si pone, per così dire, a metà strada rispetto a quelle tesi che attribuiscono ampia portata applicativa all’inibitoria collettiva d’urgenza (3) in contrasto con quelle altre tesi, prevalentemente di origine giurisprudenziale, che interpretano la norma in maniera decisamente più restrittiva, fino al punto che certa attenta dottrina ha definito interpretatio abrogans (4 ).
Sicuramente ai fini della terzietà della posizione ha assunto un ruolo determinante il tipo di contratto regolato dalle condizioni impugnate e, quindi, il requisito previsto dal 1469-ter, primo comma c.c. della natura del servizio reso dal professionista.
In questo senso, dunque, sembrerebbe corretto quel riferimento all’aspetto qualitativo che nelle tesi ad interpretazione restrittiva funge da linea di demarcazione al di sotto della quale si troverebbero quelle situazioni giuridiche qualitativamente meno rilevanti e tali da non giustificare l’ammissibilità di una inibitoria collettiva e preventiva urgente (5).
A ciò si aggiungono, però, motivazioni di altro tipo e che fanno riferimento al contrario, ad aspetti di tipo quantitativo, quali la larga diffusività (ma in questo caso, pensiamo si possa parlare di larga diffusione) delle clausole incriminate, attesa la posizione di monopolista del fornitore del servizio.
Tali argomentazioni trovano ostacolo da parte dell’esaminato indirizzo interpretativo e, vale la pena di dire, che la motivazione non è priva di una qualche apparente validità, giacché si sostiene che qualificando la larga diffusività delle clausole abusive contenute nelle condizioni generali di contratto come requisito del “motivo di urgenza”, si darebbe ingresso ad un aspetto sempre presente nella c.d. contrattazione di massa, tale da creare una sovrapposizione della fattispecie prevista dal primo e secondo comma dell’art. 1469-sexies c.c., quando, in realtà, il dettato normativo è distinto ed in definitiva ciò vuol dire che il legislatore ha inteso assegnare all’ipotesi dell’intervento d’urgenza un quid pluris distintivo.
È opinione di certa dottrina che l’interpretazione letterale sistematica delle norme dell’art. 1469-sexies c.c. non consenta una lettura aderente alla volontà effettiva del legislatore comunitario (e, poi, nazionale), il quale ha inteso introdurre una disciplina che tuteli il consumatore in un momento anteriore a quello della conclusione dei singoli contratti, in modo da realizzare un controllo preventivo che sappia incidere sulla complessiva attività di predisposizione delle clausole ed indirizzarsi alla generalità indistinta dei consumatori (6).
È evidente pertanto che il contenuto da attribuire ai giusti motivi d’urgenza che legittimano l’azione cautelare proprio perché va riferito ad una azione del tutto atipica nel panorama dei mezzi di tutela cautelare conosciuti nel nostro ordinamento non può essere desunto adoperando criteri simili o in qualche modo ricollegati a quelli concretizzantesi nel “periculum in mora”.
Da questo punto di vista se è incontestabile che la giurisprudenza più restrittiva ha esplicitamente preso le distanze, è anche vero però che (almeno nel caso del Tribunale di Roma) il richiamo ad un concetto di pregiudizio derivante dal mantenimento della situazione, introduce un’argomentazione che, a nostro avviso, fa comunque riferimento ad un’ipotesi di pericolo di danno.
In questo modo c’è il rischio che lo sforzo interpretativo torni ad orientarsi sul tipo di danno derivante in ipotesi dall’abusività delle clausole, cosicché i motivi d’urgenza vengano considerati giusti o meno a seconda della valutata gravità del danno. Ciò è quanto accaduto nella vicenda che ha visto contrapposto il Codacons con le Ferrovie dello Stato.
Il Tribunale di Palermo, invece, assume al riguardo una posizione diversa ed a nostro avviso più corretta, poiché stabilisce che la peculiarità funzionale dell’inibitoria di cui si parla sia quella di evitare che un pregiudizio, anche potenziale, abbia a colpire la categoria dei consumatori.
L’ambito di applicazione viene, in sostanza, riferito ad un momento valutativo anteriore, nel quadro del quale la posizione nel mercato del professionista predisponente e la diffusività delle condizioni generali sotto esame assumono il valore di indici che possono supportare l’esistenza di “giusti motivi” (7).
Venendo all’oggetto della controversia, va preliminarmente osservato che sembra opportuno sgombrare il campo dalla questione prospettata in tema di non applicabilità della disciplina a tutela del consumatore a quelle condizioni generali di trasporto approvate dall’autorità amministrativa.
Entrambe le ordinanze aderiscono a quella consolidata corrente di pensiero (8) che non attribuisce alle condizioni generali di trasporto nei servizi pubblici di linea, approvate dall’autorità amministrativa ex art. 1679 c.c., natura regolamentare al pari di un atto amministrativo vero e proprio, ma gli attribuisce la natura di un semplice atto negoziale unilaterale sottoposto all’approvazione amministrativa quale condicio iuris per la sua efficacia.
È pertanto evidente che l’ente predisponente non può invocare tali argomentazioni per esentare le condizioni di trasporto dall’esame della vessatorietà.
Nel merito, va rilevato che la vessatorietà si determina qualora la clausola, malgrado la buona fede, determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (cfr. art. 1469-bis, c.c.), il che comporta necessariamente una valutazione di merito della clausola nell’ambito del contratto nel quale è inserita (9).
Tale valutazione in concreto si ritiene necessaria, poiché il generico riferimento alla limitazione del diritto del consumatore rischia di diventare una petizione di principio astratta e per ciò stesso non idonea ai fini della valutazione richiesta ex art. 1469-bis c.c.
Osservando più attentamente, allora, si può notare come l’art. 15 delle condizioni generali di trasporto della Siremar riprenda, nella struttura, la disciplina fissata agli artt. 402 e 403 c. nav.
Nell’ambito di tale disciplina se è vero che lo stesso legislatore ha riconosciuto come legittima la limitazione del risarcimento al solo prezzo pagato dal passeggero in caso di impedimento alla partenza della nave per causa non imputabile al vettore (cfr. art. 402 c. nav. primo comma. art. 15 condizioni generali), è anche vero che negli altri casi di impedimento alla partenza o di mutamento di itinerario il legislatore, dopo la risoluzione del contratto, ha attribuito al passeggero il diritto al risarcimento senza limitazioni (art. 403, secondo comma, c. nav.), tranne che nell’ipotesi di giustificato motivo, nell’ambito della quale il limite di risarcimento è fissato in una somma pari al doppio del prezzo netto di passaggio (art. 403, terzo comma c. nav.).
Tenendo presente questo quadro di riferimento, riteniamo che le clausole oggetto d’esame si debbano ritenere effettivamente abusive e vessatorie, dal momento che contengono una regolamentazione che non giustifica una composizione degli interessi delle parti diversa rispetto a quella posta dal codice con specifico riferimento alla posizione contrattuale del passeggero.
In altre parole, sembra di potere affermare che l’abusività risieda nel fatto di limitare il diritto del passeggero in ordine al risarcimento di un danno arrecatogli dal vettore, senza prevedere a carico di quest’ultimo degli ulteriori comportamenti che valgano a compensare l’inadempimento.
È per questo che il legislatore, nel disciplinare la medesima fattispecie, ha riconosciuto esplicitamente il diritto al risarcimento ed è con riferimento a questo parametro che si può, a nostro avviso, commisurare la vessatorietà dell’art. 15, secondo comma della condizioni generali della Siremar.
Peraltro, va notato che le condizioni generali all’art. 15 usano due locuzioni che possono a prima vista indurre ad una valutazione meno critica, poiché recitano “se la società è costretta a sopprimere la partenza” e “Il passeggero in caso di mutamento di itinerario o di ritardo della partenza per causa non imputabile alla società ...”.
Sembrerebbe, in effetti di trovarsi in presenza di ipotesi assimilabili a quelle previste ex art. 402 c. nav..
In realtà tale assimilazione incontra qualche difficoltà poiché la prima locuzione darebbe luogo ad una illogica duplicazione del primo comma dell’art. 15, mentre la seconda locuzione incontrerebbe le difficoltà già segnalate in ordine alla ingiustificata compressione della posizione contrattuale del passeggero.
Per quanto riguarda, invece, le clausole che limitano la responsabilità del vettore per danni o lesioni alla persona del passeggero, contenute nell’art. 17 delle condizioni generali, va precisato che esse sono state dichiarate inefficaci perché derogano ai principi fissati dagli artt. 1681 e 1693 c.c. e 409 c. nav. che stabiliscono una diversa distribuzione dell’onere della prova.
A tale riguardo va però aggiunto che la disciplina contenuta nell’art. 409 c. nav. è espressamente dichiarata inderogabile dall’art. 415 c. nav., e pertanto ci sembra di poter affermare che le clausole in questione debbano essere considerate inefficaci ex art. 1469-bis c.c. anche con riferimento ad un quadro normativo che ne sanzionerebbe radicalmente l’applicazione ex art. 1418 c.c..
Peraltro, le clausole in oggetto sono state predisposte in modo da lasciare qualche margine d’incertezza circa la loro portata abusiva.
Infatti, mentre i primi tre commi non sembrano scostarsi dalla disciplina legislativa, il quarto comma, che contiene l’illecita inversione dell’onere probatorio, contiene anche una formulazione da un lato riassuntiva (“danni di qualsiasi tipo o genere” e dall’altro congiuntiva con le precedenti (a causa dell’avverbio “inoltre”) per cui finisce per travolgere anche i precedenti tre commi.
La valutazione complessiva non può pertanto discostarsi da quella correttamente operata dall’ordinanza del Tribunale di Palermo.

Federico Bianca
  NOTE:
(1) Trib. Palermo, 5 settembre 1997, in Foro it. 1997, 3009.
(2 ) Nel senso di una interpretazione per così dire restrittiva cfr. Trib. Torino, 4 ottobre 1996, in Foro it. 1997, 287 ; Trib. Torino, 16 agosto 1996, ibidem ; Trib. Torino, 14 agosto 1994, ibidem, con nota di G.M. ARMONE, Inibitoria collettiva e clausole vessatorie : prime disavventure applicative dell’art. 1469 sexies c.c. ; Trib. Roma, 28 maggio 1997, in questa Rivista, con nota critica di G. MASTRANDREA, Brevi note sull’inapplicabilità della Tutela inibitoria cautelare d’urgenza ; Trib. Torino 4 ottobre 1996, in Foro It. 1997, 287.
(3)  G.M. ARMONE, Inibitoria collettiva d’urgenza, cit., 296, 297.
(4) G. MASTRANDREA, Brevi Note sull’inapplicabilità della tutela inibitoria cautelare, cit.
(5)  Cfr. Trib. Torino, 4 ottobre 1996, cit. ; Trib. Roma 28 maggio 1997 cit.
(6)  A. BARENGHI, (a cura di) La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996, 221 ; P. BARCELLONA, Condizioni Generali di Contratto e tutela del contraente debole, in Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, Milano 1970 ; S. RODOTÀ, Condizioni Generali di contratto, buona fede e poteri del giudice, ivi, p. 80 e ss ; G. ALPA, Tutela del consumatore e controlli sull’impresa, Bologna 1977, G. Patti e S. Patti, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Il Codice Civile, Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1993, 455.
(7) A tale proposito si ricorda che parte della dottrina aveva suggerito di affidare all’autorità antitrust il controllo preventivo sulle condizioni generali di contratto: ROPPO-NAPOLITANO, Clausole abusive, in Enc. Giur. VI 1994, 12 ;
(8) v. per tutti : L. TULLIO, Condizioni generali di contratto e clausole vessatorie nella contrattualistica dei trasporti, in Dir. Trasp., 1995, 733.
(9) A. BARENGHI (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli 1996, 38 e 53 ; L. TULLIO, Condizioni generali di contratto, cit., 726.