Diritto dei Trasporti 
  1998      pag. 47 
 
MASSIMO CAMPAILLA
IL REGIME GIURIDICO DELLE ZONE FRANCHE
DEL PORTO DI TRIESTE
 

SOMMARIO — 1. Introduzione — 2. L'evoluzione storica del regime giuridico del Porto franco di Trieste — 3. Prevalenza del regime dei punti franchi del Porto di Trieste contenuto nell'Allegato VIII sulla disciplina comunitaria — 4. La posizione assunta dagli organi statuali italiani in merito alla natura giuridica delle zone franche del Porto di Trieste — 5. La posizione assunta dagli organi comunitari in merito alla natura giuridica delle zone franche del Porto di Trieste  — 6. Conclusioni.

1. Introduzione — In occasione del riordino della legislazione in materia portuale l'art. 6 par.12 della legge n. 84 del 1994 ha espressamente «fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del Porto di Trieste»; parrebbe dunque che, con tale previsione normativa, il legislatore, nell'apprestarsi a rivisitare la disciplina giuridica dei porti nazionali, abbia inteso riaffermare l'applicabilità, nelle zone franche del Porto di Trieste, di un autonomo regime giuridico che si discosta dalla normativa generale dettata in materia doganale in relazione alle attività esercitate nelle aree portuali (1).
In effetti, dall'analisi del quadro normativo a cui occorre fare riferimento per determinare la natura giuridica delle zone franche del Porto di Trieste (caratterizzato peraltro da una pluralità di fonti normative che, in special modo dopo l'intervento del legislatore comunitario in materia doganale, ha creato non pochi dubbi e divergenze interpretative) si potrebbe giungere alla conclusione che, per talune aree portuali triestine, vige un regime giuridico più favorevole rispetto a quello previsto per le aree doganali «franche» ai sensi del diritto interno o comunitario (2).
L'attuale assetto normativo a cui sono assoggettate le zone franche del Porto di Trieste è il prodotto di un complesso fenomeno di stratificazione normativa che ebbe inizio fin dall'annessione della città di Trieste all'Italia. In seguito al primo conflitto mondiale nelle zone franche del Porto di Trieste venne infatti mantenuta in vigore la previgente normativa speciale che l'ordinamento dell'Impero austro-ungarico dettava, per i porti di Trieste e Fiume, in materia di punti franchi, depositi doganali e credito doganale (3). Vennero così a sovrapporsi il regime doganale speciale già dettato per il porto di Trieste e la normativa doganale all'epoca vigente nell'ordinamento giuridico italiano.
Le norme che prevedono la natura di Porto franco in capo a talune aree del porto di Trieste vennero ad assumere rilievo al livello dell'ordinamento internazionale alla fine della seconda guerra mondiale, con la sottoscrizione del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 e, successivamente, del Memorandum di Londra del 1954. Come si vedrà più dettagliatamente in seguito, l'Allegato VIII al Trattato di pace prevede che il Porto di Trieste debba essere mantenuto accessibile «per l'uso in condizioni di eguaglianza per tutto il commercio internazionale [...] così come è consuetudine negli altri porti franchi del mondo». È inoltre previsto che il transito delle merci per il porto di Trieste avvenga in un regime di completa libertà.
I principi sanciti dal Trattato di pace del 1947 e dal Memorandum di Londra del 1954 vennero recepiti ed attuati nell'ordinamento giuridico italiano ad opera dei decreti del Commissario Generale del Governo n. 29 del 19 gennaio 1955 e n. 53 del 23 dicembre 1959 (4). Successivamente il regime normativo speciale vigente nel porto franco di Trieste venne sempre espressamente fatto salvo dal legislatore nazionale nei vari provvedimenti normativi che avrebbero in qualche modo potuto influire sul menzionato regime (5).
Già da un primo, sommario, inquadramento della materia è dunque possibile affermare che, sul piano della normativa nazionale, non è dato rinvenire particolari ostacoli alla configurazione della perdurante applicabilità delle norme speciali dettate in favore del Porto franco di Trieste. Il problema della corretta individuazione delle norme applicabili al Porto franco di Trieste, tuttavia, si pone concretamente non appena il campo dell'indagine venga esteso alla normativa doganale comunitaria.
Mediante il Regolamento CEE 2913/92, che istituisce il codice doganale comunitario (ma prima ancora con il Reg. CEE 2504/88, in GUCE L 225/8 del 15.08.1988), la Comunità europea ha adottato una particolare disciplina delle «zone franche e dei depositi franchi». (Artt. da 166 a 182 del codice doganale). Questa disciplina, pur essendo più liberale rispetto a quella di carattere generale prevista per il territorio doganale comunitario vero e proprio, non garantisce, tuttavia, agli operatori i medesimi vantaggi sul piano del regime doganale previsti dal Trattato di pace del 1947 e dal Memorandum di Londra del 1954. La disciplina comunitaria non consente, infatti, (come viceversa sarebbe possibile laddove si ritenessero applicabili i principi dettati dall'Allegato VIII al Trattato di pace) di svolgere nei punti franchi in essa contemplati tutte le attività economiche connesse con i traffici portuali in assenza di controlli da parte delle autorità doganali. Fra l'altro, in base al regime dettato dalla normativa comunitaria per i punti franchi dalla stessa previsti risultano, in tali aree, vietate (o quantomeno fortemente limitate) le attività che comportino la manipolazione delle merci .
La sovrapposizione dello speciale regime giuridico delle zone franche del Porto di Trieste (ispirato ai principi dell'Allegato VIII del Trattato di Pace del 1947, mai espressamente abrogati ed anzi espressamente fatto salvi, in più occasioni, dal legislatore nazionale) e della normativa comunitaria in tema di zone franche, ha fatto sì che si siano riscontrate in passato interpretazioni del dato normativo radicalmente divergenti fra loro da parte degli organi amministrativi cui è demandata la sua applicazione.

2. L'evoluzione storica del regime giuridico del Porto franco di Trieste — Come si è più sopra accennato, da lunghissimo tempo e sino ad oggi ininterrottamente, alcune zone del Porto di Trieste hanno goduto di un regime extradoganale (6). Questo fu istituito da Carlo VI d'Asburgo con una patente del 18 marzo 1719 e si è consolidato nel periodo teresiano dopo la pace di Aquisgrana del 1748. Il primo provvedimento che razionalizza la disciplina dei punti franchi del Porto di Trieste risale al 1891 ed è dovuto all'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria e d'Ungheria: si tratta dell'ordinanza 23 giugno 1891 con la quale, al par. 4, si riconosce testualmente che: «Il punto franco, insieme ai magazzini generali ivi esistenti (eccettuati i magazzini destinati eventualmente per depositi del territorio doganale [par. 5]), sarà riguardato come territorio estradoganale. [...] Le merci indigene (eccettuato il caso del par.5) perdono col solo entrare nel punto franco, siano esse depositate o nò nei magazzini generali, la loro nazionalità, e non potranno quindi ricondursi nel territorio doganale senza essere sottoposte al trattamento daziario di entrata e senza pagare il dazio».
Nel 1918, col succedersi a Trieste (ed a Fiume) della sovranità italiana a quella dell'Impero d'Austria, il regime di extradoganalità dei punti franchi del porto non viene abrogato, anzi le autorità del Regno d'Italia si premurano, con i Regi decreti n. 1356 del 1922 e n. 225 del 1924, di mantenere le prerogative che già caratterizzavano i Punti Franchi di Trieste e Fiume.
Nel 1925 viene poi emanato il Testo Unico delle norme doganali nel quale l'anzidetto regime viene ancora una volta riaffermato (art. 1): «I punti franchi di Trieste (Porto Vittorio Emanuele III e Porto Emanuele Filiberto Duca D'Aosta) e il Punto franco di Fiume sono considerati fuori dalla linea doganale. Le merci estere che vi sono introdotte si considerano definitivamente uscite dallo Stato e rimangono a libera disposizione del commercio, salvo le limitazioni di cui agli articoli seguenti.
 Le merci nazionali o nazionalizzate si considerano definitivamente esportate e sono assimilate a tutti gli effetti alle merci estere, salvo che non siasi provveduto a mantenere la nazionalità nei casi e nei modi indicati all'art. 10».
Anche i Paesi Alleati vincitori della Seconda Guerra Mondiale riconoscono e riaffermano lo speciale regime extradoganale del porto di Trieste, caratterizzato dalla libertà di traffici e di attività economiche in generale. Tale regime viene enunciato nell'Allegato VIII del Trattato di pace di Parigi del 1947, concluso tra le Potenze Alleate (per un numero complessivo di 20 Stati) e l'Italia (ratificato mediante autorizzazione concessa con legge 2 agosto 1947, n. 811, in G.U. 2 settembre 1947 n. 200) (7); tale Allegato, come si avrà in seguito modo di rilevare, risulta in effetti uno dei due strumenti normativi di carattere internazionale relativi al Porto di Trieste attualmente in vigore.
L'art. 1 dell'Allegato VIII stabilisce che: «Al fine di assicurare che il porto e le attrezzature di transito di Trieste siano disponibili per l'uso in condizioni di eguaglianza per tutto il commercio internazionale e per la Yugoslavia, l'Italia e gli Stati dell'Europa Centrale, così come è consuetudine negli altri porti franchi del mondo:
a) È istituito un porto franco da dazi doganali nel Territorio Libero di Trieste nell'ambito dei limiti predisposti o stabiliti in accordo con l'art. 3 del presente Strumento.
b) Le merci che passano il Porto Franco di Trieste godono di una libertà di transito come stipulata nell'art. 16 del presente Strumento».
L'art. 5 del medesimo Allegato precisa inoltre che: «Le navi mercantili e le merci di tutti i paesi godranno di un completo libero accesso nel Porto Franco per carico e scarico, sia per beni in transito, sia per beni destinati o provenienti dal Territorio Libero.
Le Autorità del Territorio Libero non percepiranno sulle merci di importazione, in esportazione od in transito attraverso il Porto Franco né dazi doganali, né altri gravami, che non siano in corrispettivo dei servizi prestati». Ancora, sulla medesima materia, l'art. 9 dell'Allegato VIII prevede che: «Le Autorità del Territorio Libero hanno titolo per stabilire e riscuotere diritti portuali nel Porto Franco.
Il Direttore del Porto Franco determina tutti i gravami per l'uso delle attrezzature e dei servizi del Porto Franco. Tali gravami dovranno essere ragionevoli e correlati ai costi delle operazioni, dell'amministrazione, del mantenimento e dello sviluppo del Porto Franco».
A sancire il particolare rilievo sul piano internazionale di questo strumento pattizio (e degli altri strumenti istitutivi del Territorio Libero di Trieste) concorse il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, previamente alla sua sottoposizione alle Parti contraenti, lo esaminò e lo approvò con la risoluzione del 10 gennaio 1947 (8).
Come è noto, il regime del Territorio Libero di Trieste, per contingenze storiche, non ebbe mai la possibilità di essere concretamente instaurato e, dalla fine del conflitto sino al 1954, i governi britannico e statunitense mantennero il controllo militare della c.d. zona A del Territorio mentre quello iugoslavo esercitava il controllo militare della c.d. Zona B del Territorio.
L'impossibilità di tradurre in atto le clausole del Trattato di pace relative al Territorio Libero di Trieste condusse i Governi del Regno Unito, degli Stati Uniti, d'Italia e di Yugoslavia a siglare a Londra il 5 ottobre 1954 un Memorandum d'Intesa attraverso il quale si individuano nel Territorio Libero due distinte Zone di cui affidava rispettivamente l'amministrazione e la responsabilità ai governi italiano e jugoslavo (9).
Il definitivo tramonto del, peraltro mai istituito, Territorio Libero di Trieste non faceva venire meno le previsioni relative al Porto Franco; anzi la Repubblica Italiana riaffermava solennemente il suo impegno in questo senso. Al punto 5 del Memorandum si prevede infatti che: «Il Governo italiano si impegna a mantenere il Porto Franco di Trieste in armonia con le disposizioni degli articoli da a 1 a 20 dell'Allegato VIII del Trattato di pace con l'Italia» (10). A questo impegno il nostro Paese ha tenuto fede con l'emanazione, il 19 gennaio 1955, del Decreto n. 29 del Commissario generale del Governo Italiano per il Territorio di Trieste (11) con il quale, non sembra inutile sottolinearlo, si dispone (art. 1) che: «È mantenuto nel Porto di Trieste il Porto franco costituito dai seguenti punti franchi esistenti nel 1939:
1) Punto franco Vecchio coi Moli da 0 a IV;
2) Punto Franco Nuovo coi moli V e VI».
L'art. 2, a sua volta, riecheggiando il contenuto dell'art. 1 dell'Allegato VIII del Trattato di Pace, ribadisce che: «Il porto Franco è aperto alle navi mercantili ed alle merci di tutti i Paesi che vi godranno delle franchigie e delle libertà conformi alle relative norme e consuetudini internazionali ed alle disposizioni del presente decreto».
Per quanto poi attiene al regime doganale, l'art. 4 del decreto conferma e recepisce la disciplina internazionale, stabilendo: «Il Porto franco è considerato fuori dalla linea doganale ed in esso, salvo le limitazioni di cui all'articolo seguente, si possono compiere in completa libertà tutte le operazioni inerenti allo sbarco, imbarco e trasbordo di materiali e merci, al loro deposito e alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione, anche di carattere industriale».
All'impegno internazionale assunto con la sottoscrizione del Memorandum di Londra l'Italia non è venuta meno in sede di approvazione del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia Doganale contenuto nel d.P.R. del 23 gennaio 1973, n. 43. In tale strumento normativo il nostro legislatore ha anzitutto esteso il regime di extradoganalità a tutti punti franchi esistenti sul territorio nazionale, prevedendo, all'art. 2, che «sono assimilati ai territori extra-doganali i depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti» (13). Esso, tuttavia, ha inoltre previsto la salvaguardia del regime più favorevole di cui gode il Porto di Trieste, sottolineando espressamente l'origine internazionalistica, e non meramente nazionale, di tale regime; l'art. 169 del T.U. in materia doganale infatti stabilisce: «Per i punti franchi compresi nella zona del Porto franco di Trieste di cui all'Allegato VIII del trattato di pace fra l'Italia e le potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo con decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, restano ferme, in deroga a quanto stabilito nei precedenti articoli, le vigenti disposizioni più favorevoli».
È peraltro noto che il Memorandum di Londra ha cessato di produrre i suoi effetti nei rapporti bilaterali tra Italia e Yugoslavia il 3 aprile 1977 ossia al momento dello scambio degli strumenti di ratifica del Trattato di Osimo, firmato tra detti due Paesi il 10 novembre 1975 (14). Tale è l'espressa previsione dell'art. 7 del Trattato medesimo.
Ciò tuttavia non ha inciso in alcun modo sul regime del Porto franco di Trieste. Innanzitutto, giova sottolinearlo, il Trattato di Osimo fa venir meno l'efficacia del Memorandum di Londra soltanto, come già rilevato, limitatamente ai rapporti bilaterali tra i due paesi firmatari dello stesso trattato di Osimo, ossia Italia e Yugoslavia. Il trattato di Osimo non incide, quindi, sulla efficacia del Memorandum di Londra nei rapporti che interessano gli altri Stati firmatari di quest'ultimo e nemmeno, ovviamente, con riferimento alla posizione dello Stato italiano nei confronti degli Stati parti dell'Allegato VIII del Trattato di pace, cui il Memorandum fa espressamente riferimento. In secondo luogo, e segnatamente, nel secondo trattato firmato ad Osimo in pari data, l'Accordo sulla promozione della cooperazione economica, Italia e Yugoslavia concordano non solo nel riconfermare e salvaguardare il regime dei punti franchi di Trieste, ma altresì decidono di estenderlo ad alcune zone limitrofe alla città di Trieste (15). A tal riguardo si rilevi che l'art. 1 dell'Accordo prevede che «Ciascuna parte destina una parte del suo territorio, indicata nel Protocollo allegato (Allegato I) a zona libera, alla quale è esteso il regime delle merci dei «Punti franchi di Trieste», conformemente alle modalità previste dal summenzionato Protocollo». Quest'ultimo all'art. 1 individua come zona libera sul territorio italiano la zona delineata dalla linea ferroviaria a partire dal confine di Stato sino alla strada Fernetti-Opicina, la medesima strada Fernetti Opicina, la strada Opicina-Basovizza, la strada Basovizza-frontiera di Stato, e la frontiera di stato medesima. Nell'ambito di questa zona, precisa l'art. 1 in questione, il regime dei Punti Franchi di Trieste sarà applicato conformemente alle modalità stabilite dal presente Protocollo. Tali modalità, ai sensi dell'art. 2 del Protocollo, sono le seguenti: «Nell'ambito della Zona possono essere esercitate, senza alcuna restrizione, imposta e diritto di dogana, tutte le operazioni relative all'entrata ed uscita dei materiali e merci, al loro stoccaggio, commercializzazione, manipolazione e trasformazione, comprese quelle a carattere industriale».

3. Prevalenza del regime dei punti franchi contenuto nell'Allegato VIII sulla disciplina comunitaria — Al fine di determinare esaustivamente il regime dei punti franchi del Porto di Trieste, occorre dunque esaminare l'incidenza che il diritto comunitario ha, o può avere, sulla disciplina pattizia e nazionale degli stessi sopra richiamata.
Il problema si pone concretamente perché, come indicato all'inizio della presente trattazione, mediante Regolamento CEE n. 2913/92, che istituisce il codice doganale comunitario (ma prima ancora con il Reg. CEE 2504/88, in GUCE L 225/8 del 15.8.1988), la Comunità europea ha adottato una particolare disciplina delle «zone franche e dei depositi franchi» (articoli da 166 a 182 del codice doganale). Questa disciplina, pur essendo più liberale di quella prevista per il territorio doganale vero e proprio, non garantisce, tuttavia, agli operatori i medesimi vantaggi sul piano del regime doganale previsti dall'Allegato VIII del Trattato di pace e dal Trattato di Osimo.
In proposito è opportuno osservare che le ragioni che hanno portato le Autorità doganali ad assumere posizioni quantomai oscillanti e spesso contrastanti, possono essere ricercate nel sovrapporsi della disciplina comunitaria con la previgente disciplina speciale delle zone franche del Porto di Trieste.
Un attento esame del diritto internazionale vigente e degli strumenti pattizi in particolare sembrano condurre a confermare la ricostruzione del dato normativo per cui i punti franchi del Porto di Trieste sono tuttora sottoposti alla speciale disciplina pattizia contenuta nell'Allegato VIII al Trattato di Pace del 1947.
In primo luogo, occorre osservare che se è vero che in virtù delle regole di diritto internazionale e del principio di successione nei trattati in particolare, in caso di obblighi incompatibili, il trattato successivo prevale su quello anteriore, è però altrettanto vero che tale effetto di prevalenza si verifica soltanto tra gli Stati che sono parti di entrambi i trattati (16). Per converso, quando il trattato successivo è stipulato solo da alcuni degli Stati parti di quello anteriore, esso non produce alcun effetto nei confronti degli Stati unicamente parti di quest'ultimo; in tal senso la regola posta dall'art. 30, par.4, lett. b della Convenzione di Vienna è chiarissima: «nei rapporti fra uno Stato parte ai due trattati e uno Stato parte ad uno soltanto di essi, il trattato al quale i due Stati sono parti regola i loro diritti e obblighi reciproci».
È sufficiente questo primo rilievo per rendersi conto che il Trattato comunitario e gli atti da questo derivanti potrebbero essere eventualmente fatti valere solo nei rapporti tra Stati membri della Comunità, ma certamente non nei rapporti tra Stati che, parti del Trattato di pace, non sono però membri del Trattato CE.
Le conseguenze scaturenti da questa prima osservazione sono però completamente superate ed assorbite da un secondo importante rilievo: il Trattato CE e gli atti da esso derivati non sono applicabili alle materie regolate dal Trattato di pace e dai suoi Allegati per la semplice ragione che è il medesimo Trattato CE a garantire, all'art. 234, la salvaguardia degli impegni pattizi precedentemente sorti. L'art. 234 infatti dispone che: «Le disposizioni del presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente all'entrata in vigore del trattato stesso, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra».
È questa, evidentemente, una clausola, concordemente definita di compatibilità o di subordinazione, molto comune nel diritto internazionale pattizio; essa è finalizzata ad evitare che ogniqualvolta gli Stati convenzionalmente si obblighino (più o meno consapevolmente) a prestazioni incompatibili con quelle connesse a trattati precedentemente stipulati, si rendano responsabili, sul piano internazionale, di inadempimento degli obblighi precedentemente assunti.
Essendo di uso generalizzato e di natura consuetudinaria, anche la Convenzione di Vienna del 1969 prevede l'utilizzo delle clausole di salvaguardia o di compatibilità; all'art. 30. par. 2 infatti, essa stabilisce: «Quando un trattato specifica che esso è subordinato a un trattato anteriore o posteriore o che non deve essere considerato come incompatibile con questo altro trattato, le disposizioni di quest'ultimo prevalgono».
È evidente che l'esistenza nel Trattato CE della clausola di cui all'art. 234 toglie ogni dubbio residuale circa l'attuale vigenza dell'Allegato VIII del Trattato di pace e del regime dei punti franchi in esso contenuto. È importante sottolineare inoltre che, in virtù dell'art. 234, tale regime si applica anche nei confronti degli Stati membri della CE (17). Del resto, stipulando nel 1975 il Trattato di Osimo, il quale, come visto, reitera nell'ambito dei rapporti con la Yugoslavia il regime dei punti franchi del Porto di Trieste fissato nell'Allegato VIII, l'Italia ha dato segno di ritenere ancora perfettamente valido ed appropriato detto regime. Tale opinione appare condivisa dagli Stati membri della Comunità e dalla Comunità stessa, posto che la stipulazione del Trattato di Osimo, di molto posteriore a quella del Trattato CEE, non ha dato adito ad obiezioni o riserve di alcun tipo da parte degli organi comunitari.
La disciplina dei punti franchi prevista dal Regolamento CEE n. 2913/92 non può dunque essere riferita ai punti franchi del Porti di Trieste: questi sono assoggettati al regime degli artt. da 1 a 20 dell'Allegato VIII (e a quello, coincidente, del Trattato di Osimo) la cui efficacia è espressamente fatta salva dal Trattato CE. Conformemente al principio del primato, detta disciplina del Regolamento CEE si applica invece ai numerosi altri punti franchi nazionali istituiti mediante legge ordinaria non recettizia di un trattato internazionale (18), nonché alle zone franche del Porto di Trieste istituite in epoca successiva al Trattato CEE.
Ogni altra interpretazione del campo di applicazione del regolamento n. 2913/92 sarebbe contrastante, oltreché con la parte ancora applicabile dell'Allegato VIII del Trattato di pace, anche con l'art. 234 del Trattato CE.
Giova peraltro sottolineare che il richiamato Regolamento n. 2913/92, istitutivo del codice doganale comunitario, non è il solo, né il primo, atto comunitario in cui si prevede espressamente e sistematicamente una disciplina sulle zone franche (v. articoli da 166 a 182); nel 1988 la Comunità aveva adottato uno specifico Regolamento n. 2504/88 relativo alle zone franche e ai depositi franchi. Rispetto a quest'ultimo, il Regolamento n. 2913/92 si pone come mera normativa integrativa. È, infatti, sufficiente scorrere le disposizioni dei due regolamenti per rendersi conto che il secondo (quello del 1992) contiene, con qualche marginale modifica, la stessa disciplina del primo: su 15 articoli di disciplina sostanziale contenuti nel regolamento del 1992, 12 hanno lo stesso tenore letterale di disposizioni del regolamento del 1988.
Più in generale deve rilevarsi che il Regolamento n. 2913/92 non è altro che un testo unico che riproduce e coordina le numerose discipline doganali precedentemente adottate dalla Comunità; tale funzione è messa in chiaro nei primi due «considerando» del medesimo regolamento: «considerando ... che ... occorre riunire in un codice le disposizioni di diritto doganale attualmente disperse in un gran numero di regolamenti direttive comunitarie ... », «considerando che il codice doganale comunitario (di seguito denominato codice) deve recepire l’attuale normativa doganale, che occorre tuttavia apportare talune modifiche a questa normativa per renderla più coerente e semplificarla, colmando quelle lacune ancora esistenti, per adottare una normativa comunitaria completa».
È dunque chiaro che per avere il corretto ed esatto quadro dell'assetto dei rapporti tra la disciplina comunitaria delle zone franche e lo status giuridico del Porto franco di Trieste occorre fare riferimento al Regolamento del 1988 espressamente dedicato alla disciplina delle zone franche e non a quello del 1992 che rappresenta più semplicemente un testo unico. Se tale riferimento viene compiuto non può non darsi rilievo alla dichiarazione inserita al processo verbale del Consiglio che ha adottato il regolamento del 1988. Il contenuto di tale presa d'atto è il seguente: «Per quanto concerne i problemi relativi all'applicazione del presente regolamento al territorio della Repubblica Italiana, il Consiglio e la Commissione riconoscono, su comunicazione della delegazione italiana e in  relazione con l'art. 234 del Trattato che:
1. Il porto franco di Trieste è stato istituito dall'Allegato VIII del Trattato di pace fra l'Italia e le potenze alleate e associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, e ha formato oggetto del Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954».
Quanto sopra ci sembra superi ogni incertezza circa l’attuale valore normativo dell'Allegato VIII in relazione all'art. 234 del Trattato CE.
Non solo, dunque, in occasione dell'adozione a livello comunitario di un regime dei porti franchi, non si è avuta alcuna implicita abrogazione della disciplina dell'Allegato VIII, ma le competenti autorità comunitarie hanno esplicitamente preso atto, in accordo con le autorità governative italiane, della necessità del mantenimento e della salvaguardia del regime del porto franco di Trieste previsto dall'Allegato VIII.
La dichiarazione del Consiglio e della Commissione della Comunità europea ha un duplice effetto: in primo luogo esclude che nel regime definito dall’Allegato VIII sussistano elementi di incompatibilità con il diritto comunitario che l’Italia sia obbligata ad eliminare ai sensi dell’art. 234, 2 comma; in secondo luogo esprime un consenso a che detto regime esplichi i suoi effetti eventualmente incidendo anche tra i rapporti tra Italia e Paesi membri della Comunità (19).
Infine, per rendere con completezza l'atteggiamento delle istituzioni comunitarie in ordine al problema in oggetto, ci pare opportuno richiamare un’altra dichiarazione a verbale del Consiglio e della Commissione resa in occasione dell’adozione del Regolamento 1854/89 del 14 giugno 1989 che attiene, tra l’altro, alla menzionata direttiva 77/388. Tale dichiarazione ha il seguente tenore: «Il Consiglio e la Commissione ricordano la loro dichiarazione iscritta a processo verbale della riunione del Consiglio in occasione dell'adozione da parte di quest’ultimo della direttiva 69/75 CEE del 4 marzo 1969, relativa all’armonizzazione delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative riguardanti il regime delle zone franche, dichiarazione che, per l'insieme, è stata confermata all'atto di adozione da parte del Consiglio della 6 direttiva (77/388/CEE), del 17 maggio 1977, relativa all'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di imposte sulla cifra d'affari [...].
Essi riconoscono pertanto che, conformemente all'art. 234 del trattato, le disposizioni del presente regolamento lasciano impregiudicata l'esecuzione degli obblighi internazionali che l’Italia ha assunto prima dell'entrata in vigore del Trattato per quanto riguarda il particolare status economico di Trieste».

4. La posizione assunta dagli organi statuali italiani in merito alla natura giuridica delle zone franche del Porto di Trieste — La sopra prospettata ricostruzione del regime giuridico delle zone franche del Porto di Trieste è stata condivisa, dopo alcune incertezze, dalla Amministrazione doganale.
Al riguardo si richiama, in primo luogo, l'opinione espressa dalla Direzione Circoscrizionale delle Dogane in un provvedimento di data 15 ottobre 1996; il Direttore della Circoscrizione ha affermato che lo sbarco e l'imbarco delle merci nei Punti Franchi triestini avviene:
«- In completa libertà da ogni vincolo doganale (art. 4 Decreto Commissario Generale del Governo per il territorio di Trieste n. 29 del 19/01/1955);
- senza ingerenza alcuna delle Autorità doganali (art. 11 Decreto ministeriale 20/12/1925).
In correlazione alle sopra delineate libertà -di precipuo contenuto fiscale- notoriamente assistite da salvaguardia di carattere internazionale ex Allegato VIII al trattato di pace di Parigi del 10/02/1947 -  è di tutta evidenza che, […] in materia rimane precluso ogni diretto intervento della Autorità doganale, [....]».
I contenuti di tale documento rispecchiano fedelmente quelli di una precedente presa di posizione della medesima Autorità doganale di data 30.01.96 (20).
Sono dunque state espressamente richiamate come applicabili alle zone franche del porto di Trieste, oltre che le disposizioni dell'Allegato VIII del trattato di pace di Parigi del 1947, l'art. 4 del Decreto del Commissario Generale del Governo per il territorio di Trieste n. 29 del 19/01/1955 e l'art. 11 del D.M. 20.12.1925.
L'art. 4 del Decreto del Commissario Generale del Governo per il territorio di Trieste n. 29 del 19/01/1955 prevede espressamente che «Il Porto franco è considerato fuori dalla linea doganale ed in esso, salvo le limitazioni di cui all'articolo seguente, si possono compiere in completa libertà tutte le operazioni inerenti alla sbarco, imbarco e trasbordo di materiali e merci, al loro deposito ed alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione, anche di carattere industriale».
L'art. 11 del D.M. 20.12.1925 conferma che «lo sbarco e l'imbarco delle merci nei Punti franchi avviene senza ingerenza delle autorità doganali».
Il regime giuridico sin qui delineato è stato, inoltre, confermato da quegli organi dello Stato italiano che hanno avuto modo di pronunciarsi sul regime dei punti franchi del porto di Trieste, anche in epoca successiva all'adozione del regolamento CEE in questione:
i) Innanzitutto il legislatore nazionale, il quale nell'emanare la legge quadro n. 84 del 28 gennaio 1994 sul «Riordino della legislazione in materia portuale», all'art. 6, ha espressamente «fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del Porto franco di Trieste» .
ii) In secondo luogo l'autorità giudiziaria ordinaria nazionale: nell'ordinanza resa il 7 giugno 1996 (inedita), il Tribunale di Trieste, Sezione penale, riferendosi al regime dell'Allegato VIII, ha qualificato il Porto di Trieste un «territorio extradoganale, compreso fra la linea doganale ed il confine politico dello Stato italiano».
Tale pronuncia non è isolata. Sempre il Tribunale di Trieste, II sez. civ., con ordinanza di data 21 settembre 1989 (21), ha affermato che i punti franchi del Porto di Trieste, pur parte del territorio italiano, hanno natura extradoganale.
Precedentemente sempre il Tribunale di Trieste, con sentenza di data 27 settembre 1979 (inedita), aveva espressamente affermato che «per i punti franchi compresi nella zona del porto Franco di Trieste di cui all'Allegato VIII del trattato di pace fra l'Italia e le potenze alleate ed associate firmato a Parigi il 10.2.1947 e reso esecutivo con D.lvo 28.11.1947 n. 1430 è tuttora vigente la più favorevole normativa di cui al richiamato trattato».
Sempre con riferimento alle posizioni assunte dall'Autorità Giudiziaria Ordinaria, è da segnalare una interessante ordinanza collegiale resa dal Tribunale di Trieste in data 13 maggio 1997 (inedita). La Crossbow S.r.l., società concessionaria di magazzini nell'ambito del Porto Franco Vecchio di Trieste, aveva manifestato l'intendimento di espletare, nell'ambito del Porto Franco, talune operazioni che dovrebbero essere considerate legittime qualora si considerasse tuttora vigente, in tali aree, il regime speciale sopra delineato; viceversa le operazioni commerciali che la Crossbow intendeva porre in essere avrebbero dovuto essere vietate laddove si fosse ritenuta applicabile alle zone franche del Porto di Trieste la normativa doganale comunitaria. Le Autorità Doganali, ritenendo le zone franche del Porto di Trieste parte integrante del territorio doganale della Comunità europea, hanno ritenuto di dovere ivi applicare la normativa comunitaria, ed hanno pertanto comunicato alla Crossbow che, alla luce delle disposizioni contenute nel Regolamento CEE 2913/92, non le avrebbero consentito di dare esecuzione ad un contratto di rilevante valore commerciale.
La Crossbow S.r.l., non ritenendo condivisibile l'opinione espressa dall'Amministrazione, ha richiesto tutela d'urgenza al Tribunale di Trieste, chiedendo di inibire alle Autorità Doganali di porre in essere qualsiasi attività volta a ledere il diritto soggettivo degli operatori portuali a svolgere, nell'ambito delle zone franche del Porto di Trieste, le proprie attività in completa libertà, secondo quanto previsto dalla speciale disciplina dettata dall'Allegato VIII al Trattato di pace di Parigi del 1947.
Il Tribunale di Trieste, con ordinanza collegiale ex art. 669 terdecies c.p.c. pronunciata in data 13 maggio 1997, ha affermato che «se il quadro normativo, anche di origine internazionale, fosse quello delineato dall'attrice, qui reclamante, gli atti dell'autorità doganale italiana, privi di qualunque sostrato che li legittimi, sarebbero atti non qualificabili come amministrativi, proprio poiché posti in essere senza l'esistenza del potere di carattere pubblicistico che connota ogni atto amministrativo e, quindi, meri comportamenti materiali della P.A. e per tali sindacabili nonché rimuovibili, a mezzo di interdizione alla reiterazione di essi, da questo organo giurisdizionale: si tratterebbe cioè di atti posti in essere in assenza del potere ad essi sottostante».
Ciò premesso il Collegio è passato ad esaminare la fondatezza delle ragioni addotte dalla ricorrente Crossbow, rilevando che «quanto alla fondatezza della tutela cautelare qui invocata, è necessario prendere le mosse dal Trattato di pace di Parigi del 1947 trattato che, al suo allegato VIII prevedeva la creazione nel Territorio Libero di Trieste di un porto franco doganale (art. 1) ricomprendente il territorio e gli impianti delle zone franche nei loro confini del 1939 (art. 3) con esenzione delle merci di importazione, in esportazione od in transito da dazi doganali ed altri oneri (art. 5); come è notorio però il Territorio Libero di Trieste mai venne in essere e dall'amministrazione alleata Trieste passò all'Italia (1954); l'Italia stessa, peraltro, a mezzo del memorandum d'intesa siglato a Londra il 5.10.1954, poco prima cioè ed al fine di ottenere la cessione di una certa zona di territorio ricomprendente, come è noto, la città di Trieste, si impegnò a mantenere il Porto Franco a Trieste in armonia con le disposizioni degli articoli da 1 a 20 del citato Allegato VIII al Trattato di pace (nei limiti statuiti nel 1939). Subito dopo l'Italia, infatti, a mezzo del Commissario Generale del Governo, emise il decreto n. 29 in cui all'art. 4 riconfermava, ottemperando agli impegni presi in sede di sottoscrizione del memorandum ora ricordato, il regime doganale del Porto Franco. In seguito, come noto, nel 1957 l'Italia stipulò il Trattato istitutivo della Comunità Europea che, all'art. 234 statuisce che le sue disposizioni (quelle del trattato cioè) non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, prima della sua entrata in vigore, fra uno o più stati membri da una parte ed uno o più stati terzi dall'altra. Detta norma, evidentemente, fa salvi proprio gli impegni assunti dall'Italia in sede di Trattato di pace del 1947 e del seguente Memorandum del 1954 anche in tema di conservazione del Porto Franco in Trieste, accordi intervenuti con gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'allora Repubblica di Yugoslavia. Ancora, sempre consapevole dei propri impegni di natura e rango internazionale, l'Italia emanava nel 1973 il testo unico delle leggi doganali (D.P.R. 43/1973) nel quale (art. 169) faceva salve in materia le disposizioni più favorevoli di cui all'allegato VIII del trattato di pace su menzionato». Continua il Collegio rilevando che «il Regolamento CEE 2913/92 contenente il codice doganale comunitario parrebbe (art. 3) ricomprendere nel territorio doganale comunitario il Porto Franco di Trieste, ciò argomentando a contrario in base a quanto statuito al I punto in merito all'Italia e al suo territorio. Peraltro il Regolamento stesso fa salve (art. 2) le disposizioni contrarie stabilite da convenzioni internazionali, mirando così a fare salve situazioni quali quella del Porto Franco di Trieste, a favore del quale già vi è l'ancora vigente norma dell'art. 234 del Trattato istitutivo della CEE. Anche dopo l'emanazione e l'entrata in vigore del cennato regolamento e del codice doganale comunitario in esso contenuto, l'amministrazione statale ha, talvolta, riconfermato l'ancora attuale sussistenza delle prerogative del Porto Franco di Trieste e dei punti franchi di esso, fatto questo molto significativo. Gli stessi organi comunitari (vedi la relazione n. 95/7/2 versata in atti dal convenuto e proveniente dalla Commissione Europea direzione generale XIX) si sono espressi in termini di perplessità ma non in modo recisamente negativo, riconoscendo l'esistenza di precedenti accordi internazionali in materia (vedi anche, in senso analogo, la nota dd. 9.2.97 del Ministero delle Finanze con l'allegato riepilogo dei risultati del controllo avvenuto dal 3 al 14.6.1996)».
Il Collegio rileva, pertanto, che «va tratto il rilievo della fondatezza della pretesa attorea poiché le norme del Trattato di pace del 1947, poi riprese da Memorandum del 1954, costantemente applicate e richiamate dal nostro paese, vengono fatte salve dalle norme di chiusura di cui si è detto (art. 234 Trattato istitutivo CEE ad art. 2 regolamento 2913/92)».
Oltre che sul piano del diritto internazionale pattizio il Collegio parrebbe, poi, configurare l’esistenza di una norma di natura consuetudinaria che sancisca lo speciale regime giuridico delle zone franche del Porto di Trieste. Si legge, infatti, nella menzionata ordinanza che «è documentalmente provato che già da lunghissimi anni, prima sotto l'Impero e poi sotto il Regno d'Italia il porto di Trieste godeva di prerogative quali quelle qui rivendicate e pretese».
Il Collegio, dunque, accogliendo le argomentazioni della Crossbow S.r.l. ha ordinato «al Ministero delle Finanze e per esso al Dipartimento delle Dogane e delle Imposte Indirette di Trieste di non porre in essere attività che possano ledere il diritto della Crossbow S.r.l. di svolgere nel punto franco vecchio del Porto di Trieste, in regime extradoganale, le operazioni  connesse al negozio da essa stipulato con la Meadowridge Ltd.».
A seguito di tale pronuncia da parte del Tribunale di Trieste, la Direzione Centrale dei servizi doganali del Ministero delle Finanze, con nota Prot. n. 4382 del 12 giugno 1997, ha invitato la Direzione Compartimentale delle Dogane di Trieste ad attenersi «nel caso di specie come in possibili analoghi casi che dovessero verificarsi, all'orientamento espresso dal Tribunale di Trieste, che ha ritenuto ancora vigente, per i Punti franchi di Trieste, la normativa speciale anteriore al Trattato di Roma».
 iii) Conforme a quello da ultimo delineato appare, da ultimo, l'atteggiamento assunto dagli Organi di Giustizia Amministrativa nazionale: il Consiglio di Stato ha avuto modo di occuparsi della vicenda che in questa sede ci interessa nel parere reso il 21 marzo 1996 su uno schema di regolamento interministeriale in materia di definizione delle modalità di applicazione delle tasse e dei diritti marittimi nel Porto franco di Trieste.
L'art. 7 della l. 6 agosto 1991, n. 255 aveva disposto un aumento del 150% delle tasse e dei diritti marittimi nei porti italiani. Tale indiscriminato aumento delle tasse portuali ha determinato la richiesta dei Governi di Austria e Germania di mantenere il rispetto del Trattato di pace di Parigi, in virtù del quale, al fine di favorire la libera circolazione delle merci nel porto franco di Trieste, le Autorità italiane non possono percepire dazi, imposte né altri gravami che non siano corrispettivo dei servizi prestati. Il Consiglio di Stato, con il menzionato parere di data 21 marzo 1996, ha esplicitamente indicato come «referenti normativi primari" per il porto franco di Trieste le "norme del D. lgs. C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, costituente esecuzione del Trattato di pace di Parigi» ed ha pertanto espresso parere favorevole in merito all'approvazione di un regolamento ministeriale che consentisse, limitatamente al porto di Trieste, di evidenziare l'inapplicabilità della normativa generale e di determinare autonomamente l'ammontare delle tasse portuali sulle merci sbarcate ed imbarcate in tale scalo.

5. La posizione assunta dagli organi comunitari in merito alla natura giuridica delle zone franche del Porto di Trieste — Un'autorevole conferma della correttezza della ricostruzione del regime giuridico delle zone franche del porto di Trieste più sopra prospettate si evince anche dalla posizione recentemente assunta dagli organi comunitari ed in particolare dai Servizi della Commissione e dalla Corte dei Conti Europea.
In un documento predisposto dai servizi della Commissione, di data 17 aprile 1996, con riferimento al porto franco di Trieste, si afferma che «per quanto riguarda il Trattato di Parigi del 1947, le disposizioni più favorevoli risultanti dall'Allegato VIII potrebbero essere coperte dall'articolo 234 del Trattato di Roma [...] Inoltre, solo gli spazi designati nel Trattato di Parigi potrebbero godere della deroga sulla base dell'articolo 234 del Trattato di Roma, ad esclusione degli altri spazi creati ulteriormente. L'articolo 3 dell'Allegato VIII del Trattato di Parigi contempla la zona di Trieste nei suoi confini del 1939 che comprendevano il Punto franco vecchio e il Punto franco nuovo, ma non il Punto franco scalo legnami, il Punto franco S. Saba e il Punto franco Industriale. Da queste considerazioni si deduce quindi la necessità di chiarire la base giuridica della zona franca di Trieste».
Gli organi della Comunità Europea, dunque, con riferimento alla zona franca del porto di Trieste, hanno manifestato alcune perplessità; tali perplessità riguardano tuttavia più l'ambito di estensione territoriale della zona franca, piuttosto che la normativa ivi applicabile. L'esatta portata delle perplessità degli organi comunitari si ricava anche dall'esame del rapporto della Corte dei Conti della Comunità Europea datato 9 gennaio 1997. Al paragrafo 7 del menzionato documento si afferma che «per le zone franche di Trieste è stato invocato l'articolo 234 del Trattato di Roma che consente di onorare le convenzioni internazionali concluse fra Stati membri e paesi terzi prima dell'entrata in vigore del Trattato di Roma. Questa deroga, tuttavia, dovrebbe essere applicata solo alle zone franche di Trieste dichiarate tali anteriormente al Trattato di Roma e per effetto diretto di convenzioni internazionali (paragrafi 18 e 19)».
Al successivo paragrafo 18 la Corte dei Conti della Comunità afferma che «l'articolo 234 del Trattato di Roma consente di onorare le convenzioni internazionali concluse fra uno o più stati membri e uno o più paesi terzi anteriormente all'istituzione delle comunità. Il Trattato di Parigi che designa Trieste porto franco conferisce ad essa uno statuto speciale». Infine, al successivo paragrafo 19 la Corte dei Conti della Comunità chiede alle Autorità italiane di esprimere le proprie opinioni per quanto concerne «il motivo per cui la deroga prevista dall'art. 234 del Trattato di Roma dovrebbe essere applicabile alle zone franche costituite dopo il Trattato di Roma».
Da quanto sopra esposto pare possa desumersi che anche le competenti autorità comunitarie ritengano validamente applicabile, quantomeno nelle zone franche istituite anteriormente al Trattato di Roma, in forza della deroga di cui all'art. 234 del Trattato CE, la normativa più favorevole prevista dagli artt. da 1 a 20 dell'Allegato VIII del Trattato di Parigi del 1947.

6. Conclusioni — Dall'esame del complesso di norme, sia di carattere nazionale che di carattere internazionale, che concorrono a disciplinare le zone franche del Porto di Trieste, oltre che dall'esame delle posizioni assunte dall'Autorità Giudiziaria nazionale (sia Ordinaria che Amministrativa) e comunitaria, pare dunque possibile affermare che nelle zone franche del Porto di Trieste è tuttora vigente lo speciale regime giuridico dettato dagli artt. da 1 a 20 dell'Allegato VIII al Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, dal Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954, dai Decreti del Commissario Generale del Governo per il Territorio di Trieste n. 29 del 19.01.1955 e n. 53 del 23.12.1959, oltre che, per quanto non incompatibile con le norme sopra richiamate, dal D.M. del 20.12.1925.
Fra le sopra richiamate norme speciali tuttora applicabili alle zone franche del Porto di Trieste si segnala, in quanto di particolare interesse per gli operatori, l'art. 1 all'Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi, in virtù del quale «le merci in transito per il Porto Franco di Trieste godranno di libertà di transito ai sensi dell'art. 16 del presente strumento». A sua volta l'art. 16 dell'Allegato VIII prevede che alle merci in transito per il Porto Franco di Trieste sia garantita libertà di transito «senza alcuna discriminazione e senza percezione di dazi doganali o gravami, che non siano quelli applicati in corrispettivo si servizi prestati». Inoltre, ai sensi dell'art. 4 del Decreto del Commissario Generale del Governo italiano per il territorio di Trieste n. 29 del 19.01.1955, «il Porto franco è considerato fuori dalla linea doganale ed in esso, salvo le limitazioni dell'articolo seguente, si possono compiere, in completa libertà da ogni vincolo doganale, tutte le operazioni inerenti allo sbarco, imbarco e trasbordo di materiali e di merci; al loro deposito ed alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione anche di carattere industriale». La medesima norma prevede, inoltre, che «Le merci nazionali e nazionalizzate introdotte nel Porto franco sono considerate, agli effetti doganali, definitivamente esportate e sono assimilate alle merci estere, salvo che, a richiesta degli interessati, non siano assoggettate a vigilanza doganale per mantenerne la nazionalità». Ed ancora, a norma dell'art. 7 del decreto in esame, è previsto che le merci che abbiano per provenienza o destinazione il Punto Franco godano di completa libertà di transito «senza che vengano riscossi né dazi doganali né tasse di effetto equivalente, ad eccezione dei diritti che rappresentano il corrispettivo dei servizi prestati. Non sarà adottata, nei riguardi delle merci a destinazione ed in provenienza dal Porto Franco, alcuna misura discriminatoria in materia di tariffe, di servizi e di norme doganali e sanitarie». Si segnala, poi, che l'art. 11 del D.M. 20.12.25 prevede che «lo sbarco e l'imbarco delle merci nei punti franchi avviene senza ingerenza delle autorità doganali».
Alla luce del complesso di norme sin qui richiamate e della interpretazione delle stesse prospettata nelle più autorevoli sedi giurisdizionali e dottrinali, pare dunque possibile così riassumere lo speciale regime delle Zone franche del Porto di Trieste: le aree del Porto Franco sono da considerarsi al di fuori della linea doganale ed in esse si possono compiere, in piena libertà e senza ingerenza alcuna da parte delle Autorità Doganali (22), tutte le operazioni inerenti lo sbarco, l'imbarco ed il trasbordo di materiali e merci, al loro deposito ed alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione, anche a carattere industriale; le merci nazionali e nazionalizzate introdotte nel Porto franco sono considerate, agli effetti doganali, definitivamente esportate e sono assimilate alle merci estere. Alle stesse deve essere garantita completa libertà di transito senza alcuna discriminazione e senza percezione di dazi doganali o gravami, che non siano quelli applicati quale corrispettivo di servizi prestati.
 

Massimo Campailla
NOTE:

(1) «Sul tema della organizzazione amministrativa per la gestione dei punti franchi del porto franco di Trieste, che l'art. 6, 12° co. legge 84 del 1994 demanda al Ministro dei trasporti e della navigazione di regolamentare, occorre precisare che trattasi di materia regolata da legislazione speciale di fonte internazionale, la cui salvezza è stata ribadita anche dall'art. 6, 12° com. legge n. 84 del 1994. Quella legislazione si identifica, da ultimo, nell'Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi 10 febbraio 1947 reso esecutivo con il d.l.c.p.s. 28 novembre 1947, n. 1430 e ratificato con legge 25 novembre 1952, n. 3054 e per la cui attuazione sono stati emanati alcuni provvedimenti di legge e di regolamento»; così R. LONGOBARDI, I Porto Marittimi nella legge 28 gennaio 1994, n. 84, Torino, 1997, 147.
(2) Per la definizione di zone franche cfr. POLLIERI, Porti e Punti Franchi, in Novissimo Digesto, 299 ss., secondo il quale «Si definiscono franche quelle parti del territorio dello stato che, per finzione di legge, vengono considerate fuori della linea doganale e che, pertanto, sono sottratte alla applicazione del regime doganale ordinario: per questo effetto non si ha sempre coincidenza tra territorio politico e territorio doganale dello Stato, escludendosi da quest'ultimo il lembo di territorio definito franco»; nel caso che ci occupa, essendo indubbio che le zone franche del porto di Trieste siano sottratte al regime doganale «ordinario», si tratta di determinare i termini e la portata di tale deroga al regime doganale ordinario.
(3) Fra le principali normative in materia doganale, vigenti al momento dell'annessione della città di Trieste all'Italia si rammentano:
- Legge 30 aprile 1881 n. 63 sull'incorporazione dei punti franchi di Trieste e Fiume nel territorio doganale austro-ungarico;
- Ordinanza 23 giugno 1891 per l'esecuzione della Legge 23 giugno 1891;
- Ordinanza del 26 gennaio 1910 che modifica quella del 23 giugno 1891;
- Legge sulla tariffa daziaria del 13 febbraio 1906;
- Legge 9 maggio 1894 concernente l'acquisto da parte dello Stato delle opere realizzate nel porto di Trieste dal Comune, Camera di Commercio e Lloyd Austriaco e l'assunzione dell'impresa dei magazzini generali da parte dello Stato.
(4) Il Commissario Generale del Governo era un organo che cumulava il potere legislativo e quello amministrativo nell'ambito del territorio triestino, ove esercitava le competenze proprie dello Stato italiano, successivamente alla cessazione dei poteri in capo al Governo Militare Alleato. Tale organo venne istituito con decreto presidenziale del 27 ottobre 1954, così formulato: «Il Presidente della Repubblica, ritenuta la necessità di affidare a un commissario generale l'amministrazione del territorio di Trieste posto con la cessazione del Governo Militare Alleato sotto la responsabilità del Governo Italiano […] decreta: Il Prefetto Dott. Giovanni Palamara è nominato Commissario Generale del Governo, alla diretta dipendenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, per il territorio di Trieste posto sotto la responsabilità del Governo Italiano, con i poteri spettanti al Governo medesimo, per l'amministrazione del territorio, nonché con i poteri già esercitati nel territorio predetto dal cessato Governo Militare Alleato». Il primo e più significativo provvedimento adottato dal Commissario Generale del Governo nel Territorio di Trieste fu proprio il decreto n. 29 del 19 gennaio 1955 concernente la definizione della condizione giuridica del Porto franco di Trieste.
(5) Rinviando al seguito della trattazione per una più approfondita analisi dei contenuti delle norme qui menzionate, si segnala che la specialità del regime del porto franco di Trieste è stata fatta salva dall'art. 169 del d.P.R. n. 43/73 (T.U. delle leggi doganali); dall'art. 6 del d.P.R. 73/77 sul riordinamento dell'Ente Autonomo del Porto di Trieste; dall'art. 3 della L. n. 69/88 sulla gestione degli enti portuali; dal già menzionato art. 6 della L. n. 84/94 sul riordino della legislazione in materia portuale.
(6) Per una esaustiva ricostruzione storica del regime giuridico delle zone franche del Porto di Trieste cfr. R. LONGOBARDI, Le vicende dell'ordinamento portuale di Trieste (1918-1988), in Trasp., 1988, n. 45-46, 80 ss.
(7) Si è affermato che il Trattato di pace del 1947 avrebbe creato una nuova figura di territorio internazionale: cfr. al riguardo R. QUADRI, Diritto Internazionale Pubblico, Palermo, 1966, 591, secondo il quale «Una nuova figura di territorio internazionale era stata creata dal Trattato di pace con l'Italia: il Territorio Libero di Trieste, concepito per una notevole varietà di motivi fra i quali: risolvere il conflitto di pretese fra Italia ed Jugoslavia in ordine a quella città, creare uno sbocco marittimo libero e comune ai vari  Stati del retroterra, assicurare alla popolazione un regime imparziale e democratico; e non parliamo degli altri. Fu intorno al problema dello Statuto di Trieste che si polarizzò fondamentalmente l'attenzione della Conferenza di Parigi del 1946 e la Conferenza dei 4 Ministri degli Esteri di New York dello stesso anno. Da un lato si affermava la necessità di dare a Trieste uno stato internazionale caratterizzato dalla presenza di un organo internazionale (Governatore) dotato dei più vasti poteri in materia di ordine pubblico, polizia, tutela delle libertà fondamentali (gruppo anglo-americano), dall'altro si intendeva fare del territorio libero uno Staterello pienamente o quasi autonomo (U.R.S.S.), senza tener conto del progetto jugoslavo che cercava di ottenere per via traversa una piena discrezione, a favore di questo Stato, nei limiti del Territorio stesso. Attraverso una serie di contrasti, che si cercò di attenuare con un Progetto di Statuto-compromesso dovuto alla Francia, il problema venne risolto a New York nel novembre 1946 con l'accettazione di uno Statuto Permanente del Territorio Libero di Trieste (Allegato VI) e di uno Strumento per il Regime del Territorio Libero di Trieste (Allegato VII) ai quali deve aggiungersi la Strumento relativo al porto franco di Trieste (Allegato VIII). Nello Statuto Permanente non era dubbia la configurazione del territorio libero quale territorio internazionale».
(8) Cfr. al riguardo U.N. Security Council Official Records, 2nd Year, n. 3, 91 Meeting.
(9) Il problema della portata del Memorandum d'intesa di Londra del 5 ottobre 1954 è tutt'oggi dibattuto. Vi è, infatti, chi contesta che, con tale accordo internazionale, sia stata effettivamente restituita all'Italia la sovranità sui territori che, sulla base degli accordi del Trattato di pace di Parigi, avrebbero dovuto formare oggetto del Territorio libero di Trieste: l'Italia infatti avrebbe ottenuto solo l'amministrazione di tali territori e non già la sovranità sugli stessi. Al riguardo cfr. F.A. QUERCI, Il Porto di Trieste come territorio internazionale, in Trasp., 1996, 3 ss. secondo il quale «I territori integranti il Porto Franco, ai sensi dell'art. 2 comma 2 dell'Allegato VIII hanno subito una devoluzione a favore dello stesso e sono diventati territori internazionali, avendo l'Italia rinunciato alle proprie ragioni di sovranità»; secondo l'Autore citato l'Italia avrebbe pertanto violato in modo flagrante lo spirito del Trattato «riportando un territorio portuale che ha le caratteristiche di bene inappropriato ed inappropriabile, sotto la formula del Demanio marittimo».  Opinione di segno opposto è stata espressa da B. CONFORTI, L'attuale situazione giuridica del territorio di Trieste, in Riv. Dir. Int., 1955, 579, secondo il quale dal Memorandum di Londra «non risultano posti limiti alla potestà di governo degli stati italiano e jugoslavo, in vista di una futura destinazione del territorio triestino nel suo complesso: gli unici limiti all'attività di governo attengono alla salvaguardia degli interessi delle minoranze nelle due zone (art. 4 e all. II) e, per quanto riguarda lo Stato italiano, all'attuazione del regime di porto franco a Trieste (art. 5);  limiti che (particolarmente il primo), lungi dall'escludere una stabile appartenenza dei territori in questione ai due Stati, sembrano implicarla». In realtà il problema dell'appartenenza o meno del Porto (oltre che della città) di Trieste allo Stato italiano, ai fini della determinazione della normativa doganale da applicarsi a tali aree, appare di rilevanza marginale. Al riguardo è stato infatti correttamente rilevato che, a seguito della sottoscrizione del Memorandum d'intesa di Londra del 1954, lo Stato italiano è divenuto internazionalmente responsabile dell'applicazione, nelle aree del Porto di Trieste, dei principi stabiliti dagli artt. da 1 a 20 dell'Allegato VIII al Trattato di pace di Parigi «importando poco, a questi fini, il titolo di Stato amministrante o di Stato sovrano o il momento in cui l'un titolo sia mutato nell'altro» G. CONETTI, Il regime internazionale del Porto franco di Trieste, Trieste, 1986, 8.
(10) L'Allegato VIII si compone di 26 articoli di cui i primi 20 dettano i principi a cui deve ispirarsi l'amministrazione del Porto Franco, mentre gli articoli da 21 a 26 definiscono le attribuzioni della Commissione Internazionale del Porto Franco. A seguito dell'adozione del Memorandum di Londra il secondo gruppo di norme non appare più applicabile, mentre viene ribadita la necessità di dare attuazione ai principi ed alle finalità poste dagli artt. da 1 a 20, ponendosi a carico dell'amministrazione italiana l'obbligo di rispettarli e darvi attuazione.
(11) Si tratta di un provvedimento che sotto un profilo formale può essere annoverato tra quelli «a contenuto preordinato nel senso che alla formazione della volontà del legislatore locale concorsero in misura determinante precise indicazioni politiche del Governo nazionale che a loro volta traevano ragion d'essere nell'intendimento di dare esecuzione ad impegni assunti dall'Italia nei confronti degli Stati alleati»; così R. LONGOBARDI, Le vicende dell'ordinamento portuale di Trieste, in Trasp. 1988, n. 45-46, 98.
(12) Si è affermato che «pleonastico si rivela il comando giuridico, perché senza destinatari, contenuto sia nel Testo IVA, sia quello più specifico di cui all'art. 6 della Legge 18.1.1994, n. 84»; F.A. QUERCI, Il Porto di Trieste come territorio internazionale, cit. 11.
(13) Il Trattato di Osimo è stato reso esecutivo in Italia con L.14 marzo 1977 n. 73 in suppl. ord. G.U.  21 marzo 1977.
(14 ) Si tratta della c.d. zona franca italo-yugoslava; per una più approfondita analisi dell'estensione territoriale e del regime giuridico a cui tale zona è assoggettata, cfr. B. CONETTI, Zona Franca Italo-Yugoslava, in Novissimo Digesto.
(15) Cfr. al riguardo art. 30, par. 3, della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati, secondo cui «Quando tutte le parti  a un precedente trattato sono anche parti a un trattato posteriore, senza che il trattato anteriore sia estinto o che la sua applicazione sia stata sospesa in virtù dell'art. 59, il trattato anteriore si applica soltanto nella misura in cui le sue disposizioni sono compatibili con quelle del trattato posteriore».
(16) A conferma dell'opponibilità erga omnes dei principi originariamente fissati con gli artt. da 1 a 20 dell'Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi cfr. CONETTI, Il regime internazionale del Porto franco di Trieste, Trieste, 1986, 8 secondo cui «con il Memorandum d'intesa di Londra del 5 ottobre 1954 relativo al Territorio libero, il Trattato di pace del 1947 è stato modificato in maniera sicuramente opponibile erga omnes, sia agli Stati contraenti che ai terzi eventualmente beneficiari di sue disposizioni, sì che lo Stato italiano è divenuto internazionalmente responsabile, importando poco a questi fini, il titolo di Stato amministrante o di Stato sovrano o il momento in cui l'un titolo sia mutato nell'altro, per l'adempimento degli obblighi derivanti dal Trattato di pace con riguardo all'area della città e del porto di Trieste, su cui si veniva ad estendere la potestà di governo italiana in luogo del non costituito ordinamento del Territorio libero».
(17) v., ad esempio, d.lg. 5 gennaio 1948, n. 268, in G.U. 17 aprile 1948 n. 91, istitutivo di un punto franco nel Porto di Venezia; L. 15 marzo 1951, n. 191, in G.U. 3 aprile 1951 n. 76, istitutiva di un punto franco nel Porto di Messina; L. 4 novembre 1951, n. 1295, in G.U. 6 dicembre 1951 n. 281, istitutiva di un punto franco nel Porto di Brindisi; L. 11 febbraio 1952, n. 75, in G.U. 3 marzo 1952 n. 54, istitutiva di un punto franco nel Porto di Napoli.
(18) A prescindere dalla richiamata dichiarazione inserita al processo verbale del Consiglio che ha adottato il Regolamento del 1988 ed alla sua riferibilità anche al Regolamento del 1992, si ritiene che il Regolamento da ultimo menzionato non sia idoneo a derogare la normativa speciale del Porto Franco di Trieste per un ulteriore ordine di motivi. L'art. 2 del Regolamento 2913/92 prevede infatti che il codice doganale comunitario si applichi a tutta la Comunità «salvo disposizioni contrarie stabilite da convenzioni internazionali o da prassi consuetudinarie di portata geografica ed economica limitata». Lo stesso codice doganale comunitario fa dunque espressamente salve le situazioni giuridiche che, analogamente a quella vigente nel porto di Trieste, discendono da impegni internazionalmente assunti in epoca antecedente al Trattato CEE.
(19) Tuttavia, come si è già avuto modo di rilevare all'inizio della trattazione non mancano provvedimenti della Direzione della Circoscrizione Doganale di segno diametralmente opposto, in cui si ritiene che le attività che si svolgono all'interno delle zone franche del Porto di Trieste debbano essere disciplinate dal codice doganale comunitario; cfr. al riguardo le precedenti note n. 6, 7, 8. Con riferimento a tali posizioni assunte dalle Autorità doganali di Trieste, si è affermato che «Lo Stato italiano, attraverso i suoi organi periferici, e attraverso gli organi del territorio, stanno violando tutti i giorni, non già lo spirito del Trattato, ma soprattutto non stanno “assicurando alle merci stesse libertà di transito, in conformità alle consuete convenzioni internazionali” , discriminano e impongono gravami e canoni, senza corrispettivo di servizi prestati, applicano per quanto concerne il movimento delle merci a destinazione od in provenienza dal Porto Franco ogni più occhiuta misura discriminatoria in materia di tariffe, servizi, dogane, regolamenti sanitari, di polizia e di altra natura, in violazione dell'art. 16 dell'Allegato VIII»; così F.A. QUERCI, Il Porto di Trieste come territorio internazionale, op. cit., 11.
(20) In Riv. dir. int. priv. e proc., 1990, II, 984.
(21) Si è affermato che il mancato rispetto da parte delle Autorità Doganali del divieto di ingerenza nelle operazioni portuali che avvengono nelle zone franche del porto di Trieste deve essere considerato quale un atto internazionalmente illecito perché in contrasto con un trattato; al riguardo «è internazionalmente irrilevante che tali azioni od omissioni siano dal punto di vista del diritto interno legittime o meno: quello che importa è la valutazione che deve farsene secondo il diritto internazionale, come atti conformi ai doveri da quest’ultimo imposti ai suoi soggetti»; così F.A. QUERCI, Limiti di giurisdizione nel porto franco di Trieste, in Trasp. 1997, n. 71-72, 13.