Diritto dei trasporti
1997 458

Viria Conte
Parla inglese e vai dappertutto, ma non a Fiumicino!

    Si può senza dubbio affermare che nel nostro Paese, in questi ultimi anni, si sia riscoperto quale insostituibile fonte di ricchezza costituisca il turismo per l'economia nazionale.

    Ogni giorno, infatti, proliferano le più svariate iniziative dei privati e delle amministrazioni cittadine le quali, dirette a valorizzare l'imponente patrimonio culturale ed artistico, nonché ad elevare la qualità dei servizi turistici, perseguono l'auspicabile finalità di prolungare la permanenza del prezioso visitatore.

    Sarà forse sulla scia di tale entusiasmo che le Ferrovie dello Stato hanno voluto offrire il loro contributo affinché un ignaro gruppetto di turisti giapponesi e americani, in fiduciosa attesa del collegamento Roma-Fiumicino presso la stazione Termini di Roma il 3 marzo 1997, prolungasse la propria vacanza primaverile (dalla lettera di un utente alla Repubblica del 9 marzo 1997).

    Diciamo la verità: chiunque abbia avuto la necessità di transitare per le stazioni ferroviarie italiane ben sa che attribuire un senso compiuto ai fruscianti e rimbombanti messaggi provenienti dagli altoparlanti risulta essere un'impresa ardua anche per l'orecchio più sopraffino.

    Possiamo immaginare, tuttavia, che qualora lo sfortunato viaggiatore in attesa sui binari non parli più che correttamente l'italico idioma, decifrare gli incomprensibili suoni divenga addirittura impossibile, talvolta con conseguenze fatali per l'esito del viaggio.

    I nostri turisti, infatti, i quali si trovavano regolarmente sul binario 22, previsto per l'arrivo del treno diretto a Fiumicino-Aeroporto, non avendo avuto modo di comprendere l'annuncio che rivelava - in sola lingua italiana - un mutamento del binario all'ultimo istante, non hanno potuto partecipare alla notevole prova agonistica, che ha quindi permesso ai soli italiani di coprire di corsa gli 800 metri di distanza e di raggiungere in tempo i vagoni.

    Il collegamento, quindi, è partito per la propria destinazione, mentre i giapponesi e gli americani continuavano ad attendere invano presso il binario originario.

    Non si può prescindere dalla constatazione che il trasporto ferroviario - e in particolare, nel caso di specie, il collegamento tra Roma e l'aeroporto internazionale di Fiumicino - è destinato per sua natura ad interessare una vasta percentuale di utenti stranieri, la cui presenza non è certo da considerarsi un fenomeno di carattere eccezionale. A parte ogni considerazione in termini di immagine dell'azienda, l'opportunità di effettuare le comunicazioni dall'altoparlante non solo in lingua italiana, ma quantomeno in inglese, lingua generalmente conosciuta dalla maggioranza dei turisti, va inquadrata a nostro avviso nell'ambito del ben noto dovere di diligenza che incombe sul soggetto passivo dell'obbligazione secondo i principi generali di cui all'art. 1176 c.c.

    Con particolare riferimento al trasporto di persone, non si può non ritenere, infatti, che il vettore sia tenuto ad adottare tutte quelle misure che si rivelino necessarie per rendere effettiva la prestazione oggetto del contratto, tra le quali spicca - anche a livello intuitivo - la possibilità per l'avente diritto di raggiungere materialmente il mezzo di trasporto.

    Se la conseguenza dell'inadempimento del vettore si limitasse al ritardo patito dal passeggero, un eventuale risarcimento del danno fondato sul disposto degli art. 1681 e 1218 c.c. - attesa la relativa frequenza delle corse dirette all'aeroporto - sarebbe probabilmente di modesta entità.

    Ben diversa, invece, potrebbe rivelarsi la posizione del vettore qualora dalla propria condotta omissiva derivasse per l'utente la perdita del volo in conseguenza del ritardo patito a causa della concreta impossibilità di conoscere le variazioni del luogo di arrivo del treno.

    In quest'ultimo caso, infatti, data la peculiare natura del servizio di trasporto in esame - finalizzato al collegamento con l'aeroporto - è da ritenersi che il pregiudizio derivante dalla perdita dell'aereo, ponendosi quale conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del vettore ferroviario, dovrebbe essere anch'esso oggetto di ristoro ai sensi delle medesime norme di legge, e ciò sia in termini di danno emergente  - il quale potrebbe ad esempio comprendere il costo del biglietto aereo nel caso che la sua validità fosse limitata al volo mancato - che di lucro cessante, secondo gli ordinari principi di cui all'art.1223 c.c.

    In ogni caso, comunque, attesa l'evidente negligenza del debitore in relazione alle caratteristiche del trasporto in esame, il danneggiato potrebbe avvalersi delle norme relative alla responsabilità extracontrattuale, basando la propria richiesta risarcitoria sulle disposizioni di cui all'art. 2043 c.c.

    È da segnalare tuttavia che, probabilmente anche sulla scorta dei reclami presentati a seguito di tale episodio, le F.S. hanno comunicato il prossimo inserimento dell'inglese negli annunci ferroviari a partire dall'estate 1997.

    Ci congratuliamo per la saggia e prudente decisione, non senza sottolineare la sua opportunità anche in relazione al fatto che, conoscendo i ritmi di efficienza e di produttività di popolazioni quali quella nipponica, il risarcimento relativo al lucro cessante conseguente al ritardato ritorno al lavoro, potrebbe rivelarsi disastrosa per l'impresa ferroviaria.

VIRIA CONTE