Corte di cassazione |
26 |
aprile |
1999 |
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III, 26 aprile 1999 N. 12829
Pres. Grossi
– Rel. Vittoria
Caleca
& Costantino Ditta s.n.c.
(avv. G. Fiorino e A.Di Blasi) c. Sea Land Service i.n.c.
Trasporti Marittimi
(avv.ti A. Sperati, N. Balestra e K. Kielland)
Trasporto di cose
– Trasporto marittimo – Regole
dell’Aja-Visby
– Termine per l’esercizio dell’azione
– Accertamento tecnico preventivo
– Non interrompe il decorso del termine.
Riassunto dei fatti
La
società Caleca Costantino s.n.c. il 18 settembre 1981
spediva 4 mila sacchi di
nocciole alla Foreign Trading Agency Ltd di Londra, affidando il
trasporto alla
ditta di trasporti marittimi Sea Land di Londra con sede secondaria a
Genova, la
quale provvedeva ad imbarcare la merce a Palermo a mezzo di motonave.
All’arrivo del carico a destinazione
l’autorità inglese ne impediva lo
sbarco disponendo il rinvio al mittente in quanto le nocciole
risultavano
irrimediabilmente danneggiate. La società Caleca Costantino
s.n.c. con
citazione notificata il 26 novembre 1986 conveniva davanti al tribunale
di Patti
la società di trasporto, assumendo che la merce
all’atto in cui era stata
lavorata e caricata sui contenitori della Sea Land era in perfette
condizioni e
che il danno era stato provocato dalla società di trasporto
che aveva
effettuato l’imballo in modo erroneo ed in contenitori
inadeguati. Chiedeva
pertanto che la convenuta fosse dichiarata inadempiente
all’obbligazione
contrattualmente assunta e condannata al risarcimento del danno.
L’attrice
esponeva inoltre di aver chiesto al presidente del tribunale di Patti
un
accertamento tecnico preventivo in data 1 dicembre 1981 e che la
relazione era
stata depositata il 6 novembre 1986. La società di trasporto
Sea Land si
costituiva in giudizio opponendo alla domanda attrice una eccezione di
decadenza
sulla base dell’art. 3.6 della Convenzione internazionale di
Bruxelles del 25
agosto 1924 sulla polizza di carico, contestando inoltre la propria
responsabilità. Il tribunale di Patti rigettava la domanda
attrice ritenendo
che l’accertamento tecnico preventivo non fosse idoneo ad
impedire la
decadenza prevista dalla Convenzione. La decisione veniva confermata
dalla corte
di appello di Messina con sentenza 16 febbraio 1996 contro la quale la
Caleca
proponeva ricorso per cassazione.
MASSIME:
La
domanda di accertamento tecnico preventivo non può essere
considerata
un’azione tale da impedire la decadenza prevista dall'art.
III, n. 6 delle
regole dell'Aja-Visby, in quanto dà inizio ad un giudizio
conservativo nella
prospettiva della eventuale successiva instaurazione del processo di
cognizione
per l’accertamento e la tutela del diritto, ma non
è di per sè
(1)
domanda giudiziale che instauri un rapporto processuale diretto al
conseguimento
del diritto.
(1) V. la nota di E. Fogliani Natura del termine estintivo dell'art. III, n. 6 della Convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico ed effetti dell’accertamento tecnico preventivo su prescrizione e decadenza, a pag. 135
SENTENZA:
3.1.
- Il terzo ed il quarto motivo denunziano vizi di violazione di norme
di diritto
e di difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. in
relazione
all'art. 2966 cod. civ. ed all'art. 3.6. della Convenzione di Bruxelles
del 25
agosto 1924).
Possono
essere esaminati insieme perché propongono questioni
connesse relative al
medesimo punto della decisione.
3.2.
- La corte d'appello rigettando il
secondo e terzo motivo dell'impugnazione - ha affermato che l'art. 3.6.
della
Convenzione configura una decadenza. Questa interpretazione della norma
non è
impedita dal fatto che in essa mancherebbe l'indicazione dell'atto
idonea ad
impedirla. L'indicazione c'è, perché nella norma
è specificato che il vettore
è esonerato da responsabilità a meno che
un'azione non sia iniziata. Un'azione
è però una domanda giudiziale che instauri un
rapporto processuale diretto al
conseguimento del diritto. Non può essere considerata
un'azione, in questo
senso, la domanda di accertamento tecnico preventivo, perché
dà inizio ad un
giudizio conservativo, nella prospettiva della successiva instaurazione
del
processo di cognizione per l'accertamento e la tutela del diritto.
3.3.
- La ricorrente ripropone nella sostanza gli argomenti discussi dalla
corte
d'appello.
Sostiene
che l'art. 3.6. della Convenzione di Bruxelles non avrebbe potuto
essere
applicato, perché non individua l'atto idoneo ad impedire
l'effetto di esonero
del vettore da responsabilità.
Considera,
peraltro, che la norma non individuerebbe tale atto solo nella domanda
che dà
inizio ad un giudizio di cognizione, ma in qualunque domanda che,
introducendo
un processo, manifesta la volontà di far valere la
responsabilità del vettore:
sicché anche la domanda per un accertamento tecnico
preventivo può in concreto
valere ad, impedire la decadenza.
La
corte d'appello avrebbe perciò dovuto prendere in esame il
ricorso con cui tale
domanda era stata proposta, ricorso nel quale, in concreto, era stata in
modo inequivocabile manifestata la volontà di
agire in giudizio contro
il vettore: i giudici di secondo grado si sono invece arrestati al
rilievo
dell'astratta inidoneità della domanda per accertamento
tecnico preventivo a
valere come domanda giudiziale agli effetti di impedire l'esonero del
vettore da
responsabilità.
3.4.
- I due motivi non sono fondati.
3-5-
La Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924 ha ricevuto
piena ed
intera esecuzione in Italia con il R.D.L. 6 gennaio 1928, n. 1958,
conv. in L.
19 luglio 1929, n1638.
L'entrata
in vigore del nuovo codice della navigazione, approvato con il R.D. 30
marzo
1942, n. 327, non ha comportato l'abrogazione della legge del 1929
(Cass. 22
giugno 1954 n. 2153 e 16 luglio 1954 n. 2539).
L'art.
3.6. della Convenzione, nel testo originario, applicabile al caso in
esame in
ragione del tempo in cui i fatti sono accaduti, presenta, in francese,
la
seguente disposizione, che ne costituisce il quarto comma: - <En
tout cas le
transporteur e le navire seron déchargés de tout
responsabilité pour pertes
ou dommages à moin qu'une action ne soit intentée
dans l'année de la délivrance
des marchandises ou de la date à laquelle elles eussent du
étre delivrées>.
La
norma ha dato luogo a difficoltà di applicazione, quando si
è trattato di
decidere controversie, la cui soluzione veniva fatta dipendere dalla
natura del
termine in essa indicato.
La
Corte, dopo averlo considerato un termine di prescrizione (Cass. 16
luglio 1954
n. 2539), traendone la conseguenza della nullità di patti
che ne modificassero
la durata, nullità desunta oltre che dall'art. 3.8. della
Convenzione,
dall'art. 2936 cod. civ., si è successivamente orientata nel
senso di
qualificarlo come termine di decadenza (Cass. 13 ottobre 1958 n. 3225)
e ciò
nel precipuo intento di trovare nella disciplina della decadenza (art.
2968 cod.
civ.) fondamento giuridico a patti, che prevedessero o una
più ampia durata del
termine o l'efficacia di accordi di proroga conclusi tra le parti,
prima o dopo
i fatti (Cass. 24 luglio 1969 n. 2798, Cass. 31 maggio 1979 n..3140).
Questa
qualificazione (presupposta in altre pronunce, perché
già affermata dal
giudice di merito e non rimessa in discussione: Cass. 17 novembre 1976
n. 4269;
o senza rilievo ai fini della soluzione della causa: Cass. 6 giugno
1979 n.
3193) in epoca più recente è stata tenuta in
considerazione nella decisione di
una controversia in cui si discuteva se la domanda proposta
tempestivamente, ma
a giudice straniero privo di giurisdizione, fosse valsa ad impedire per
l'attore
la perdita del diritto voluto esercitare contro il vettore, una volta
che il
giudizio era stato riassunto davanti al giudice competente (Cass. 18
giugno 1987
n. 5337).
La
Corte lo ha ammesso, ma, avendo considerato che in materia opera un
unico
termine e di decadenza, ha fondato la propria decisione non sulla
qualificazione
del termine come prescrizione, bensì sulla ritenuta
applicabilità
dell'istituto della riassunzione e del suo effetto di prosecuzione
dell'originario giudizio, secondo la disciplina dettata dall'art. 50
cod. proc.
civ.
La
dottrina, che pure ha discusso l'argomento, presenta al riguardo varie
impostazioni,
3.
6. - La Corte osserva che i procedimenti di istruzione preventiva sono
caratterizzati dal punto di vista funzionale per essere preordinati a
consentire, prima e fuori dal giudizio di cognizione, la raccolta e
conservazione della prova di fatti rilevanti in funzione della domanda
od
eccezione da proporsi nel successivo giudizio (art. 693, terzo comma,
cod. proc.
civ.).
Questa
è la ragione che, nell'ordinamento processuale italiano, ne
giustifica
l'inserimento nella più ampia categoria dei procedimenti
cautelari.
Dai
quali però i procedimenti di istruzione preventiva si
differenziano sotto
l'aspetto strutturale, perché il risultato con esso
acquisito, ovverosia la
raccolta della prova, per essere conservato, non richiede che alla
conclusione
del procedimento segua entro uno spazio di tempo determinato
l'instaurazione del
giudizio di cognizione per far valere il diritto di cui si è
chiesta e ottenuta
cautela (com'era all'epoca ed è anche ora per gli altri
procedimenti cautelari,
quando anzi non costituiscano la prima fase di un unico giudizio).
Questo
non ha impedito che, nell'applicazione della disciplina sulla
prescrizione, dove
è riconosciuto effetto interruttivo-sospensivo all'atto con
cui si inizia un
giudizio (artt. 2943, primo comma, e 2945, secondo comma, cod. civ.),
identico
effetto sia stato riconosciuto al ricorso con cui è
richiesto un accertamento
tecnico preventivo e sino a quando non è depositata la
relazione del consulente
tecnico incaricato dell'accertamento (Cass. 6 febbraio 1989 n. 724; 11
maggio
1973 n. 1270, tra le altre).
Ciò
sulla base dell'art. 2913, primo comma, cod. civ., che si riferisce
anche agli
atti che danno inizio ad un giudizio conservativo.
Ritenere
però, che il ricorso con cui è chiesto un
accertamento tecnico preventivo
configuri quell'azione di cui è parola nell'art. 3.6. della
Convenzione di
Bruxelles del 1924 appare in contraddizione con l'esigenza posta dalla
norma,
che i diritti nascenti dal rapporto siano fatti valere entro un
predeterminato
lasso di tempo, decorso il quale il vettore possa considerarsi al
riparo da
future azioni volte a farne affermare la responsabilità.
Una
volta che il ricorso per accertamento tecnico preventivo fosse
ricondotto
all'ambito di applicazione dell'art. 3.6. della Convenzione, ne
deriverebbe
l'ineluttabile conseguenza di dover ammettere che l'accertamento della
responsabilità del vettore possa esser richiesto anche dopo
la scadenza
dell'anno in essa indicato e non secondo la regola posta dalla
Convenzione, ma
secondo la disciplina propria della prescrizione applicabile nel nostro
ordinamento in base all'art. 10 del codice della navigazione.
Considerare
che un'azione del tipo dell'accertamento tecnico preventivo richiesto
prima
dell'inizio della causa di merito verifichi la condizione prevista
dall'art.
3.6. della Convenzione conduce in tal modo al risultato di sostituire
alla
disciplina uniforme configurata dalla norma internazionale pattizia
regimi
differenziati a seconda delle norme di diritto internazionale privato
vigenti
nei diversi ordinamenti.
4.
Il quinto motivo denunzia vizi di violazione di norme di diritto e di
difetto di
motivazione (art. 360
nn. 3 e 5
cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2966 cod- civ., 422 cod. nav.
e 4 della
Convenzione di Bruxelles).
La
ricorrente lamenta che la corte d'appello non abbia
riconnesso effetto impeditivo al comportamento della Sea
Land, i cui
rappresentanti avevano partecipato, senza sollevare contestazioni, al
procedimento di accertamento tecnico preventivo, riconoscendo il suo
buon
diritto. Aggiunge che tra le parti non era mai stato in discussione che
si fosse
avuta la perdita della merce, ma solo quali ne fossero state le cause e
questo
implicava il riconoscimento del suo diritto, perché
è il vettore che in caso
di perdita deve provare l'assenza di colpa propria.
Ma
la corte d'appello, in risposta ad analoga censura dell'attuale
ricorrente ha
affermato che il vettore s'era limitato a partecipare alle operazioni
peritali,
senza effettuare alcun riconoscimento, né espresso
né tacito.
Ed
allora 1a parte avrebbe dovuto indicare da quali dichiarazioni fatte
nel corso
di quelle operazioni, se le avesse valutate, il giudice di merito
avrebbe dovuto
trarre il convincimento che i rappresentanti del vettore avessero
inteso
riconoscere il suo diritto.
Il
motivo non contiene alcuna indicazione sul punto ed esso è
perciò
inammissibile nella critica dell'accertamento dei fatti.
E'
invece infondato quando postula che, non avere il vettore contestato
che la
merce al momento della riconsegna era risultata avariata, implicasse
riconoscimento del proprio inadempimento e del diritto della
controparte al
risarcimento del danno.
L'obbligato.
non riconosce d'essere tenuto al risarcimento del danno derivato dal
proprio
inadempimento se non contesta che l'adempimento è mancato,
quando resta in
discussione se sia mancato per sua colpa, anche se è lui ad
essere onerato di
tale prova.
5
- Il sesto motivo denuncia vizi di violazione di norme di diritto (art.
360 n. 3
cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1693 e 1696 cod. civ. ed
all'art. 422
cod. nav.).
Il
motivo è inammissibile.
La
corte d'appello non ha esaminato la questione di merito,
perché ha ritenuto che
la parte fosse decaduta dal diritto dedotto in giudizio.
Se
fossero risultati fondati i precedenti motivi di ricorso, la questione
avrebbe
potuto e dovuto essere esaminata nel giudizio di rinvio.
Ma
non è configurabile vizio di violazione di norme di diritto,
quando di tali
norme non è stata fatta applicazione, perché la
questione di merito non è
stata decisa, per essersi il giudizio concluso in base alla decisione
dì una
questione preliminare impediente.
6
- Il ricorso è rigettato.
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Natura
del termine estintivo dell'art. III, n. 6 della Convenzione di
Bruxelles sulla
polizza di carico ed effetti dell’accertamento tecnico
preventivo su
prescrizione e decadenza.
La
sentenza che si annota, pur non contenendo massime rivoluzionarie, si
presenta
di un certo interesse in quanto ribadisce a distanza di circa un
decennio
concetti ormai pacifici nella prevalente giurisprudenza e dottrina.
L’ultima
pietra miliare del processo evolutivo che ha portato alla odierna
interpretazione della natura del termine di estinzione
dell’azione previsto
dalla Convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico risaliva ormai
al 1987,
allorché la Cassazione, con la sentenza n. 5357,
negò l’effetto impeditivo
della decadenza alla domanda giudiziale rivolta al giudice carente di
giurisdizione seppur riassunta entro il termine di cui
all’art. 50 c.p.c.
innanzi al giudice competente; con ciò mettendo la parola
fine agli ormai
datati dubbi sulla natura di decadenza del termine ([1]).
Tali
dubbi, dunque, sembravano ormai sopiti da tempo; sennonché
il ricorrente,
risollevandoli e costringendo la cassazione ad occuparsi seppur
incidentalmente
della questione, ha offerto lo spunto ad autorevole dottrina per
affacciare
nuovamente la tesi che il termine previsto dalle regole dell'Aja-Visby
sia di
prescrizione e non di decadenza ([2]).
Con
una breve nota redazionale a questa stessa sentenza Francesco
Berlingieri è
infatti tornato ad occuparsi della questione, ribadendo la natura
prescrizionale
del termine ([3]).
A suo avviso, infatti, nonostante le modifiche introdotte dalle regole
di Visby,
a favore della qualificazione del termine come prescrizione rimarrebbe
il
principio generale sancito dall'art. 2934 cod. civ., secondo il quale
ogni
diritto si estingue per prescrizione. Dato che secondo l’art.
2967 cod.civ.,
"nei casi in cui la decadenza è impedita il diritto
rimane soggetto
alle disposizioni che regolano la prescrizione", da tale
norma sarebbe
desumibile il principio secondo cui alla scadenza di un termine di
decadenza
dovrebbe necessariamente seguire quella del termine di prescrizione
applicabile
allo stesso rapporto. Di conseguenza, non essendo individuabile una
prescrizione
successiva alla scadenza del termine della Convenzione di Bruxelles cui
sottoporre il diritto, il termine stesso non potrebbe che essere
ritenuto di
prescrizione e non di decadenza ([4]).
Tale
tesi, a suo tempo più dettagliatamente sviluppata da
Righetti ([5]),
presta però il fianco a più di una critica.
Anzitutto, se si ammette in linea
di principio ([6]) che
le norme di carattere
generale del codice potrebbero essere derogate da una legge speciale,
non si
vede per quale motivo la maggior lunghezza del termine di decadenza
della
Convenzione di Bruxelles rispetto al termine prescrizionale del codice
della
navigazione ([7]) non
potrebbe ritenersi
legittimamente frutto di una norma speciale quale la Convenzione stessa.
In
secondo luogo, il richiamo all'art. 2967 cod. civ. appare del tutto
privo di
rilevanza, in quanto è del tutto ovvio che la sua
applicazione è possibile
solo nei casi in cui la decadenza opera, ossia si applica ad un diritto
esistente. Se il diritto cui è astrattamente applicabile la
decadenza si è
estinto per prescrizione prima del termine di decadenza, è
ovvio che la
decadenza stessa (e quindi l'art. 2967 c.c.) è
inapplicabile. E dedurre da tale
norma un principio generale secondo il quale un termine di decadenza
deve
necessariamente essere più breve di quello di prescrizione
appare piuttosto
ardito, visto che, in quel caso, l'inciso iniziale dell'art. 2967
sarebbe privo
di senso, se non ipotizzando che durante la decorrenza del termine di
decadenza
il parallelo termine di prescrizione non decorra; circostanza questa
che non
solo va contro il testuale disposto dell'art. 2934 c.c. secondo cui
tutti i
diritti si estinguono per prescrizione (e quindi anche quelli soggetti
a
decadenza), ma è
pacificamente esclusa dalla dottrina, concorde nel
ritenere che in ogni caso accanto al termine di decadenza decorra anche
quello
di prescrizione ([8]).
In
terzo luogo, i sostenitori della natura prescrizionale del termine
della
convenzione partono da un presupposto indimostrato ed inesistente,
ossia che un
termine di prescrizione debba necessariamente essere più
lungo di un periodo di
decadenza ([9]).
Ma, anche se questo è id quod plerunque accidit nel
nostro ordinamento,
nessuna norma e nessun principio logico impone che
ciò si verifichi. Anzi,
l'esame della normativa internazionale pattizia indica un orientamento
sempre
crescente volto a porre termini di decadenza che non escludano la
prescrizione,
ma siano più lunghi di essa, ed impediscano che con
successive interruzioni
della prescrizione il diritto si perpetui oltre un certo termine ([10]).
Infine - e appare
circostanza risolutiva - alla luce delle
modifiche introdotte alla Convenzione dalle Regole di Visby ([11])
non appare più possibile sostenere la natura di decadenza
del termine. Secondo
le regole dell'Aja-Visby da un lato il termine per l'azione
può essere
prorogato per accordo delle parti ([12]),
dall'altro colui che agisce in rivalsa contro il vettore gode di un
termine più
lungo di quello previsto per l’avente diritto al carico che
agisca
direttamente contro il vettore ([13]).
Sotto
il primo aspetto, basterà ricordare che dottrina e
giurisprudenza sono concordi
nel ritenere le norme sulla prescrizione come norme di ordine pubblico,
in
quanto dichiarate esplicitamente non derogabili dalle parti ([14]).
Dovendo quindi scegliere fra una interpretazione conforme ai principi
del nostro
diritto (quella che assegna al termine natura di decadenza) ed una
interpretazione che costringe a dedurre una deroga neppure implicita ad
un
fondamentale principio di ordine pubblico, appare indubbiamente
preferibile
quella che riconduce la norma entro il quadro sistematico del nostro
diritto ([15]).
Sotto
il secondo aspetto, basta esaminare la questione dal punto di vista del
vettore
debitore per rendersi conto come i termini non possano essere che di
decadenza.
Il periodo trascorso il quale in mancanza di azione nei suoi confronti
egli può
ritenersi "esonerato da ogni responsabilità"
varia a seconda
che il suo creditore abbia a sua volta ricevuto una citazione da parte
di un
terzo, oppure abbia risarcito del danno il ricevitore nel cui diritto
è
subentrato. Peraltro, il diritto fatto valere nei confronti del vettore
è
sempre il medesimo: quello al risarcimento del danno subito dalla merce
durante
il trasporto. Orbene, appare poco spiegabile il motivo per il quale,
trattandosi
del medesimo diritto, esso abbia vita più o meno breve a
seconda che un terzo
ne abbia fatto valere un altro - separato e autonomo - nei confronti di
chi
introduce l'azione nei confronti del vettore. Appare quindi preferibile
ritenere
che la norma non disponga affatto l'estinzione del diritto (conseguenza
logica, ex
art. 2934 cod. civ., della qualificazione del termine come di
prescrizione), ma
preveda invece a carico del creditore due diverse limitazioni
all'azione (ossia
termini di decadenza) a seconda della sua posizione soggettiva; ponendo
un
termine più lungo all'azione nel caso l'azione sia condotta
in rivalsa ([16]).
Da
quanto esposto sin'ora discende l'ulteriore logica conseguenza che, se
la
prescrizione applicabile al trasporto è più
breve del termine di decadenza, essa deve comunque essere
interrotta per
evitare che il diritto si estingua prima della proposizione di
un'azione, seppur
introdotta entro il termine di cui all'art. III, n. 6 delle regole
dell'Aja-Visby.
Se infatti questo termine è di decadenza, come visto non
può non esistere un
termine di prescrizione del diritto; lo stesso che, ex art.
1967 cod.
civ., continuerà ad applicarsi una volta impedita la
decadenza. Nel caso di
specie, non potrà che trattarsi del termine previsto
dall'art. 438 cod. nav. ([17]).
Una
volta eliminato ogni dubbio sulla natura del termine previsto dalla
Convenzione
ed accertato che si tratta di decadenza ([18]),
alla domanda di accertamento tecnico preventivo non può che
essere negato
qualsiasi effetto impeditivo della decadenza. Se infatti dottrina e
giurisprudenza sono
concordi nel
ritenere l’effetto interruttivo della prescrizione alla
proposizione di un
ricorso per accertamento tecnico preventivo ([19]),
altrettanto lo sono nel ritenere che tale accertamento non possa essere
parificato alla azione giudiziaria qualora la sua introduzione sia
richiesta per
impedire una decadenza ([20]).
Sotto questo aspetto la giurisprudenza è del tutto pacifica
e non soltanto nel
settore marittimo, ma in tutte quelle situazioni in cui vi sia una
decadenza che
può essere evitata soltanto con la proposizione di una
domanda giudiziale.
La
sentenza presa in esame pertanto correttamente ripercorre i principi
cardine
dell’istituto della decadenza e della prescrizione, mettendo
in luce le
diverse caratteristiche richieste affinché un atto possa
ritenersi interruttivo
della prima o impeditivo della seconda.
Ne
consegue che nei trasporti marittimi internazionali un accertamento
tecnico
preventivo, quale procedimento di natura conservativa,
vale ad interrompere e a sospendere sino al deposito della
relazione ([21])
il decorso della prescrizione, ma non vale ad impedire la decadenza, in
quanto
non considerabile azione giudiziaria volta alla soddisfazione del
diritto.
Enzo
Fogliani
([1]) Sulla sentenza della Cassazione n. 5357 del 18 giugno 1987 si vedano: Fogliani, Sul termine per l’azione contro il vettore secondo la convenzione di Bruxelles del 1924, in Dir. trasp. II/1988, 231; Comenale Pinto, Intorno agli atti impeditivi del decorso del termine ex art. 3, n. 6, comma 4, della IV Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico, in Giust.civ., 1987, 2214; Donati, Translatio judicii ex art. 50 cod. proc. Civ. anche in caso di domanda proposta innanzi a giudice straniero sprovvisto di giurisdizione? , in Foro it., 1988, I, 1204;; Maganza, Il termine di cui all’art. 3, n. 6 della Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico e l’art. 50 cod. proc .civ., in Dir. mar., 1988, 1108. Sulle diverse posizioni della dottrina e giurisprudenza circa natura del termine previsto dall’art. 3 n. 6 della Convenzione v. Modaffari, Sulla natura del termine previsto dall’art. 3 n. 6 della Convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico, nota alla sentenza del Tribunale di Livorno, 4 novembre 1987, in Dir.mar., 1989, 235.
([2]) Anche la corte di cassazione aveva inizialmente ritenuto il termine della convenzione di Bruxelles come termine di prescrizione (cass. 16 luglio 1954, n. 2539, in: Riv. dir. nav. 1954, II, 141, con nota di RICCARDELLI, I presupposti per l'applicazione della legge 19 luglio 1929, n. 1638, per l'esecuzione della Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico; in Dir. mar. 1955, 195, con nota di BERLINGIERI, Sull'ambito di applicazione delle convenzione di Bruxelles del 1924 relativa alla polizza di carico). Appena quattro anni dopo mutava opinione, qualificando il termine come decadenza. (cass. 13 ottobre 1958, n. 3325, in Dir. mar. 1959, 512, e in Riv. dir. nav. 1958, II, 3). Questo orientamento è stato poi in seguito sempre confermato di decennio in decennio (cfr. cass. 24 luglio 1969, n. 2798, in Dir. mar. 1969, 294, in Giur. It. 1970, I, 1, 26, e in Riv. dir. nav. 1971, II, 80, con nota di GRIGOLI, Sulla natura del termine previsto dall'art. 3, n. 6 della convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico; cass. 31 maggio 1979, n. 3140, in Dir. mar. 1980, 467; cass. 18 giugno 1987, n. 5357, cit.).
([4]) Berlingieri si chiede infatti: "Ora se il termine previsto dall’art. 3 § 6 della Convenzione avesse natura di decadenza, quale sarebbe la prescrizione applicabile? Quella, in ipotesi anche più breve, dell’art. 438 cod. nav.? Poiché, chiaramente, non vi è un termine di prescrizione applicabile, la conclusione deve essere che quello convenzionale ha, appunto, tale natura” (op. cit., ivi).
([5]) RIGHETTI, Sulla natura del termine estintivo ex art. III, n. 6, della convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico, e sua applicazione, in Dir. mar. 1966, 140, 158; la stessa tesi è ribadita dallo stesso Autore nel suo Trattato di diritto marittimo, II, Milano 1990, 793.
([6]) Come lo stesso RIGHETTI ammette, op. cit., per sostenere sotto altro profilo l'assimilabilità del termine della Convenzione di Bruxelles alla prescrizione.
([7]) Si noti comunque che il ragionamento di Berlingieri e di Righetti vale soltanto per le ipotesi in cui il trasporto abbia origine e fine in paesi bagnati dal Mar mediterraneo. Negli altri casi, la prescrizione di cui all'art. 438 cod. nav. è almeno identica al termine annuale di decadenza della Convenzione.
([8]) Per la dottrina precedente al codice civile del 1942, si veda SANTORO PASSARELLI, Prescrizione e decadenza, in Riv. Dir. Civ. 1926, 556, 567; per quella successiva, TRIMARCHI, Prescrizione e decadenza, in Jus 1956, 218, 242.
([9]) Anche CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu - Messineo, Milano 1988, 401, è del tutto contrario ad ipotesi di decadenza piu' lunga del periodo di prescrizione, da lui testualmente ritenuto "fenomeno da evitare e privo di qualsiasi logica giuridica". Al riguardo, e a prescindere da ogni considerazione circa la mancanza di motivazione di tale affermazione, basterà rilevare che anche le decadenze piu' brevi e quindi anche tutte le decadenze convenzionali dovrebbero considerarsi prive di "logica giuridica".
([10])
Basterà citare la convenzione di Roma del 7 ottobre 1952
relativa alla responsabilità per danni a terzi in superficie
provocati dagli aeromobili introdotta
nel nostro ordinamento con legge 2 marzo 1963,
n. 654, la quale prevede
accanto ad un termine di prescrizione di
due anni (art. 21.1), un
termine di decadenza di tre anni, trascorsi i quali
l'azione inammissibile (art.21.2); la
Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 sulla
responsabilità civile per i danni da inquinamento di
idrocarburi, resa esecutiva in Italia con legge 25 gennaio 1983, n. 89
la quale prevede (art. 8) un termine di
prescrizione di tre anni, nonché un termine
di sei anni che preclude l'esercizio dell'azione; oppure la
Convenzione di New York del 14 giugno 1974 sulla prescrizione
in materia di vendita internazionale di
merci la quale, pur prevedendo un termine di
prescrizione di quattro anni per la materia da essa regolata,
fissa all'art. 23 il termine massimo per l'instaurazione del
giudizio indipendentemente da ogni interruzione della prescrizione.
Tutte convenzioni che prevedono esplicitamente un termine di
prescrizione breve del diritto, seguito da un termine di decadenza
dall’azione molto più lungo.
([11]) Sulle regole di Visby in relazione al termine per l’azione si vedano, fra gli altri, Tullio, Vigenza internazionale (ed adozione interna) delle “Regole di Visby”, in Trasp. 14/1978, 91; Volli, Modifica al regime della prescrizione, in Dir. mar., 1986, 632, relazione al convegno sulle regole di Visby, Genova 1986; Righetti, Modifica al regime della prescrizione, in Dir. mar., 1986, 635, relazione al convegno sulle regole di Visby, Genova 1986; Righetti, Decadenza dal diritto al risarcimento dei danni, in Dir. mar. 1986, 588.
([12]) Art. III, n. 6, IV comma delle regole dell'Aja-Visby.
([15]) La questione è stata dibattuta anche prima delle regole di Visby, in quanto nella prassi le proroghe del termine erano d'uso comune anche prima della modifica all'art. 6 della Convenzione. La dottrina che sosteneva la natura prescrizionale del termine si è sempre trovata in difficoltà di fronte al contrasto fra la ritenuta prorogabilità del termine delle convenzione ed il disposto dell'art. 2936 cod. civ. (significativamente considerato come "l'ostacolo maggiore per la qualificazione di tale termine come prescrizione"; così GALANTINI, Il termine estintivo ex art. 3, n. 6 della Convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico, in Riv. dir. int. priv. e proc. 1985, 299, 306). La labile soluzione per conciliare le extension con l'inderogabilità delle norme sulla prescrizione veniva individuata nell'art. III, n. 8 della Convenzione di Bruxelles, sul presupposto che detto articolo dichiarasse "inderogabili solo in senso favorevole al vettore le disposizioni precedenti in tema di responsabilità dello stesso" (così RIGHETTI, Sulla natura del termine estintivo ex art. III, n. 6 della convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico, e sua applicazione, in Dir. mar. 1966, 140, 163. In realtà, la Convenzione dichiara nulle e prive di effetto le clausole di un contratto di trasporto che esonerino il vettore da responsabilità o ne attenuino la responsabilità in modo diverso da quello previsto dalla convenzione). Nell'art. III, n. 8 sarebbe quindi da individuare, secondo RIGHETTI, norma speciale che consentirebbe di derogare all'art. 2936 e avrebbe reso lecite le extension. La tesi non era però convincente, in quanto da un lato l'art. III, n. 8 specificava che le clausole derogative dovevano essere contenute nel contratto di trasporto, mentre le extension sono in genere posteriori non solo alla stipula del contratto, ma anche alla sua esecuzione; dall'altro, seguendo la tesi di RIGHETTI, si avrebbe l'ulteriore conseguenza che l'art. III, n. 8 avrebbe anche reso lecite, in contrasto con l'art. 2937 cod. civ., rinunce preventive da parte del vettore al termine estintivo; il che, per una norma che regolamenta espressamente le obbligazioni del contratto di trasporto e non il periodo di tempo per farle valere, appariva francamente eccessivo.
([16]) Chi agisce in rivalsa subentra nel diritto del danneggiato contro il vettore; cfr. art. 1916 cod. civ.
([17]) Nel
trasporto marittimo internazionale regolato dalle regole dell'Aja-Visby
la necessita' di previa interruzione della prescrizione si pone per i
trasporti aventi origine e termini entro i paesi bagnati dal mar
mediterraneo, per i quali l'art. 438 cod. nav. prevede una prescrizione
di 6 mesi, o nei casi in cui l'attore agisca utilizzando il termine
suppletivo di cui all'art. III,
n. 6-bis.
Nel trasporto aereo internazionale regolato dal sistema di Varsavia (e, in un prossimo futuro, dalla Convenzione di Montreal del 1999) è invece sempre necessaria una previa interruzione della prescrizione, in quanto i termini di prescrizione del codice della navigazione sono in ogni caso più brevi del termine di decadenza dall'azione.
([18]) Trattandosi di un termine di decadenza, ad esso è applicabile la sospensione feriale dei termini prevista dall'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, che la Corte costituzionale ritiene applicabile a tutti quei termini per agire in giudizio stabiliti a pena di decadenza da norme di carattere sostanziale (c. cost. 2 febbraio 1990 n. 49, in Foro it. 1990, I, 2383; c. cost. 13 luglio 1987 n. 255, in Foro it. 1987, I, 2277; c. cost. 13 febbraio 1985, n. 40, in Giust. civ. 1985, I, 965). In concreto, quindi, il termine di decadenza di cui all'art. III, n. 6 delle regole dell'Aja-Visby è pari in Italia a un anno e 45 giorni.
([19]) Effetto peraltro indiscutibile, visto l'esplicito riferimento contenuto nel I comma dell'art. 2943 cod. civ.
([20]) In questo senso cfr.: Cass. 6 febbraio 1987, n. 1182 in Mass. foro it., 1987; Cass. 6 febbraio 1989, n. 724, in Foro it., 1989, I, 3166 e Giur.it., 1989, I, 1, 1723; App. Palermo 19 giugno 1990, in Temi siciliana, 1990, 319; App. Milano 24 maggio 1991, in Foro pad., 1992, I, 69; Cass. 29 marzo 1994, n. 3082, in Mass.foro it., 1994; Trib. Cagliari 20 maggio 1994, in Banca, borsa e tit.cred.,, 1997, II, 71; Cass. 23 gennaio 1997, n. 696, in Giust.civ., 1997, I, 1285; Cass. 16 marzo 2000, n. 3045, in Mass. Foro it., 4/2000, 332.
([21]) Sullo specifico punto, nel settore marittimo, si veda cass. 15 novembre 1954, in Dir. Mar. 1955, 226, con nota contraria di GRECO, Procedimento di istruzione preventiva e interruzione della prescrizione (ivi, 227), il quale rileva, con riferimento all'art. 2945 cod. civ., che se si trattasse di un giudizio per il quale la prescrizione rimane sospesa, allora dovrebbe sussistere un provvedimento suscettibile d passare in giudicato, e la sospensione dovrebbe decorrere sino a tale momento; non potendosi identificare tale provvedimento, l'introduzione di un procedimento di accertamento tecnico preventivo avrebbe solo efficacia interruttiva istantanea.
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